Ciò che è essenziale per il rilancio di una opzione di sinistra “popolare, per il superamento delle disuguaglianze e delle ingiustizie” (questo ultimo termine assai vago che può includere…

Ciò che è essenziale per il rilancio di una opzione di sinistra “popolare, per il superamento delle disuguaglianze e delle ingiustizie” (questo ultimo termine assai vago che può includere tutto e il contrario di tutto a seconda dei punti di vista di chi fa o subisce le ingiustizie) è trovare un accordo su una analisi della società prima di tutto.
Da qui deve ripartire la sinistra di alternativa: dall’alternativa stessa. E, dopo aver scelto di essere “di alternativa”, deve ulteriormente specificare, nel creare il suo programma, che tipo di alternativa intende incarnare.
Perché oggi, col passare degli anni, i confini netti tra i tanti significati che possono assumere aggettivi e sostantivi si sono via via assottigliati sotto il peso di una genericità che ha distrutto identità e progetti che potevano, invece, essere chiari fin da subito.
Così scopriamo che la lotta per definire la nuova sinistra di alternativa tanto alle destre (sia grilline sia classicamente interpretate dal gruppo Forza Italia – Lega Nord – Fratelli d’Italia) quanto alla nuova destra rappresentata dal PD (come bene sottolinea Anna Falcone oggi in una chiara intervista a “La Stampa”) parte dal 4 dicembre scorso, da quella importante e grande lotta popolare che è stata la rimessa in discussione dell’impianto costituzionale e che, nel bene e nel male, ha fatto interessare al testo della Carta del 1948 molti italiani, mettendo nelle loro mani un quesito che poteva stravolgere il significato stesso di democrazia in questo Paese.
Ecco, iniziamo proprio da qui: dal dire con nettezza che non vogliamo più assistere a colpi di mano da parte dei governi contro la Costituzione, per relegare il Parlamento della Repubblica a mero esecutore delle direttive degli esecutivi che avrebbero avuto corsie preferenziali alle Camere anche in merito alla discussione delle stesse iniziative di legge.
Iniziamo da qui: da uno spartiacque, dal NO al referendum che ci proponeva una controriforma devastante e che è stato battuto da una unione trasversale di opposizioni che non era contraddittoria, semplicemente perché si è formata su una delle due opzioni in campo: la contraddizione è, semmai, tutta di chi ha sempre sostenuto posizioni presidenzialiste, autoritarie e antidemocratiche e si è trovato – per mera contrarietà (anche se giusta) nei confronti del capo del governo di allora – a schierarsi dalla parte del NO.
Chi ha condiviso quella controriforma e si è espresso per il SI’ è automaticamente escluso dalla partecipazione ad un nuovo percorso di aggregazione popolare per la ricostruzione di una sinistra di alternativa. Questo deve essere uno degli elementi fondanti, un antefatto, un preambolo necessario nella carta di costituzione di ciò che si deciderà debba essere il soggetto che riunirà chiunque in Italia voglia riconoscersi in altro rispetto a Grillo, Salvini, Berlusconi, Meloni, Renzi, Alfano e via dicendo…
Il secondo punto dirimente, imprescindibile e, quindi, da mettere in testa (in tutti i sensi) è quello del ripristino del ruolo sociale delle istituzioni, della valorizzazione del pubblico, del collegamento tra Repubblica e popolo, tra politica e lavoro, tra politica e disagio sociale, tra politica dell’interpretazione e politica della vita quotidiana fatta di disperazione, assenza di prospettive di futuro e tutta proiettata ad una desolante rassegnazione alla sopravvivenza con moderne forme di schiavismo lavorativo come quella dei voucher.
A proposito di ciò, se quella del 4 dicembre è una discriminante generale che investe la cultura politica della nuova aggregazione, con la Costituzione “senza se e senza ma”, la discriminante sulla difesa del lavoro e sulla lotta contro ogni forma di sfruttamento e di ingiustizia sociale è la conseguenza.
Dalla Carta infatti discende il principio di riconoscimento per tutta la popolazione di avere una vita degna d’essere vissuta proprio sul lavoro come valore fondante della Repubblica. E l’articolo 1 così va interpretato e non affermando di essere contrari ai voucher per poi uscire dall’Aula del Senato al momento del voto sulla fiducia al governo Gentiloni sull’intero pacchetto di correzione della manovra economica.
La sinistra delle ambiguità non è sinistra ma è già qualcosa di profondamente differente da una necessaria chiarezza di intenti e, quindi, di volontà da mettere in pratica con decisione, senza tentennamenti tutti dediti alla propensione governista da attuare con le primarie per la fondazione di un impossibile nuovo “centrosinistra”.
Il centrosinistra è archiviato. Deve esserlo per noi. Convintamente. Senza queste certezze, finiremo per lacerare ancora una volta una ricomposizione di volontà politiche dettate da convincimenti anche ideologici (ed è bene che si ritorni un po’ a pensare a quale visione si ha del mondo e della società in cui si sopravvive…) fermi sul punto di rappresentare davvero qualcosa di differente rispetto a tutte le altre forze politiche oggi in campo: praticamente quelle famose “tre destre” di cui vado parlando da tempo e che non possono registrare da parte nostra alcun interesse.
Per questo ciò che speriamo è che oggi, a Roma, si pongano le basi per il lancio di un progetto anche di lungo termine che sappia comunque calarsi nei momenti elettorali senza la frenesia di dover governare sulla scorta di compromissioni che ci hanno mostrato anche nel recente passato come siano deleterie nel creare incertezza, confusione e smarrimento in un vasto popolo di sinistra, fatto di comuniste e comunisti, anche di chi non è comunista ma preferisce una etichetta meno precisa ma comunque ascrivibile al contesto del riconoscimento ormai palese dell’estensione della destra politica ad uno schieramento che prova a mostrarsi “di sinistra” e “a sinistra” ma che rivela sé stesso con le politiche di tagli al sociale e di protezione dei profitti fatti da anni e anni a questa parte.
Dunque, ancora una volta proviamo a ripartire. Con calma, come affermava Antonio Gramsci, sapendo “che ci si deve mettere tranquillamente all’opera” proprio quando tutto è crollato, anche da molto tempo, anche quando sembra non esserci nel Paese quella “domanda di sinistra” che pure esiste e che è sepolta sotto mille inganni.
Riproviamo, ripartiamo uniti nelle differenze reciproche, valorizzandole. Ogni apporto è un valore aggiunto ad un progetto che non deve essere un moloch inamovibile, ma dinamico, dialettico, polemico. Con un pregio finale: la sintesi in nome dell’alternativa antiliberista per una società spinta verso l’autodistruzione del singolo e del collettivo.

lasinistraquotidiana

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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