La storia la scrivono i vincitori. E’ una massima ormai consolidata ma non corrisponde sempre al vero. Oggi i “vinti” o quelli che potrebbero essere tali hanno mezzi eguali a quelli dei vincitori per poter dirigere le coscienze popolari e, quindi, cambiare l’etica prevalente, il comune modo di sentire, la terribile e impalpabile figura dell’”opinione pubblica”.
In queste ore in Venezuela, ad esempio, si stanno vivendo momenti drammatici: militari lanciano appelli via Internet incitando alla rivolta contro il legittimo governo di Maduro e lo fanno dopo mesi di martellamento mediatico in cui molti morti per vicende altre, spesso del tutto private e non legate a manifestazioni antigovernative, sono stati mostrati come martiri di una repressione che non è mai avvenuta.
Quando la discordanza delle versioni esiste e quando questa riguarda un paese che ha una impronta di riforme socialiste e comunque popolari e proletarie, allora la grande macchina dell’informazione si mette in moto per distruggere la verità fattuale e per mostrare “quei comunisti del Venezuela” come i soliti sovvertitori del benessere mondialmente stabilito.
Sono d’accordo con chi sostiene che il Venezuela non è un paese che si piega con facilità alla volontà dell’imperialismo. Nemmeno il Cile di Allende era disposto ad accettare le influenze americane quando intraprese, con una certa audacia, la via della nazionalizzazione delle industrie, un programma di redistribuzione della ricchezza a favore delle lavoratrici e dei lavoratori.
I tempi sono diversi, si potrà dire. Ed in effetti è così, ma le reazioni delle grandi centrali del potere economico contro un popolo che tenta di autogovernarsi senza intromissioni capitalistiche sono sempre reazioni incontrollabili, ingestibili se non con una generale rivolta che appoggi il governo e che lo sostenga.
Nel 1871 la Comune di Parigi, primo esperimento di governo proletario, venne soffocata nel sangue proprio dagli antesignani di coloro che oggi dicono, come allora sostenevano Thiers e i suoi referenti borghesi, che l’ordine andava ristabilito per il bene della nazione, per la Francia intera.
C’è sempre, al centro di tutta questa propaganda mediatico-politica, il tema del bene comune, del benessere collettivo che è l’espediente dei veri “buonisti” di sempre: coloro che spacciano per comunità l’interesse esclusivamente privato ed utilizzano istituzioni, governi locali e centrali per sostenere i loro affari.
Del resto l’analisi marxiana su struttura e sovrastruttura è lì nei testi del Moro, a disposizione dell’acquisizione mentale di ciascuno. E sarebbe bene ritornare ad analizzare la società di oggi con le categorie scientifiche nate con lo studio meticoloso contenuto ne “Il Capitale”: si comprenderebbero non solo i meccanismi che fanno muovere l’economia di mercato e l’accumulazione profittuale ma anche i motivi per cui non si sfugge alla complessità del sistema e ognuno deve necessariamente svolgere la sua parte.
Ciò non è un alibi per i padroni e non è una colpa per i proletari. E’ la semplicissima constatazione che viviamo in un regime in cui non è possibile l’obiettività in merito al bene comune e al suo sviluppo nella società medesima se questo viene da chi ha interesse a non capovolgere lo stato di cose presente.
Proprio oggi, leggevo tra le notizie del mattino, di un padrone che si lamenta perché non può entrare in possesso di un terreno che, a suo dire, sarebbe stato indebitamente utilizzato da un comune di questa Repubblica.
Il padroncino edile si lamenta, piagnucola e si è rivolto alla magistratura perché vuole poter far fruttare il suo terreno che, attualmente, è adibito a parcheggio e quindi svolge una funzione, se vogliamo, di “bene comune”.
E, nel lagnarsi, esprime un concetto perfetto, chiaro, esemplare nella sua sintesi di ciò che è il capitalismo in ogni suo ambito: “Noi siamo imprenditori. Il nostro interesse è fare impresa e non curare gli interessi pubblici.“.
In questa frase c’è tutto. Senza ipocrisie, con grande franchezza e anche grande cinismo – che è una necessaria derivata di molti “imprenditori” (scusate, ma io preferisco chiamare le cose e le persone col loro nome e questi sono e restano dei “padroni”) – questo signore ha detto la verità oggettiva dei fatti: tanto in Italia quanto in Venezuela chi sostiene politiche per il “bene comune” e non è un comunista (la parola non a caso questo vuol dire: rendere tutto comune, far sì che tutto sia pubblico e fruibile liberamente senza la mediazione fittizia del denaro, eliminando la trasformazione d’ogni cosa e persona in “merce” sfruttabile economicamente), mente necessariamente.
Un padrone che vuole rovesciare il governo Maduro per “il bene comune” non lo fa per il popolo ma perché ritiene che le politiche socialisteggianti dei rivoluzionari bolivariani siano un danno per la sua di economia, per le sue tasche.
Per questo bisogna reagire ovunque e smetterla di credere che la parola “sinistra” possa adattarsi a partiti che sono i più diretti interpreti delle politiche di Bruxelles e del liberismo moderno.
Se “sinistra” significa eguaglianza sociale e civile, allora non tutte le forze che oggi si dicono di sinistra lo sono. E nemmeno la categoria del “centrosinistra” è restaurabile oggi: ha portato, per la maggiore, a depotenziare i valori di solidarietà, civismo, uguaglianza e giustizia sociale, nel complesso, che si erano formati in decenni di conquiste del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Riconoscere il proprio nemico di classe è fondamentale per recuperare una chiara distinzione tra chi sfrutta e chi è sfruttato.
Chi oggi ha assaltato la Corte suprema venezuelana con un elicottero e vi ha sganciato sopra delle granate non è dalla parte del popolo ma dalla parte dell’imperialismo, del grande potere economico, di ogni padrone che vuole veder terminare l’esperienza di riscatto popolare che Chavez aveva portato avanti con durezza, indubbiamente, ma con la volontà di capovolgere una società misera in cui versava il suo paese.
Sostenere il governo venezuelano oggi vuol dire aiutare la causa della liberazione dell’uomo dalla schiavitù del capitale. Sono tutti piccoli passi, magari per noi. Ma per i venezuelani sono la possibilità di non precipitare, come accadde al Cile del 1973, in un vortice di paura, miseria e di piena restaurazione dell’”ordine”. Quello del padrone.

lasinistraquotidiana

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

Un pensiero su “Con il Venezuela bolivariano, contro ogni restaurazione capitalista”

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