Alcuni anni fa ci siamo emozionati per un film intitolato “La marcia dei pinguini”, ci sembravano eroici quegli animali che attraversavano regioni inospitali per raggiungere finalmente il luogo dove poter riprodursi, ci siamo stupiti di come quei pinguini sapessero esattamente dove dovevano andare, anche se non c’erano mai andati. Noi ci dimentichiamo spesso di essere animali, di far parte di questo mondo come qualunque altro essere vivente e di essere in qualche modo sottoposti alle stesse leggi di natura a cui sono sottoposti gli altri animali. Le donne e gli uomini che lasciano le città e i paesi in cui sono nati e cresciuti, in cui sono nati e morti i loro genitori, lo fanno perché sentono che è arrivato il momento di farlo, perché sentono che per i loro figli non c’è più un futuro possibile in quella terra e ne cercano semplicemente un altro, pur con tutti i rischi che questa ricerca comporta. Le persone che si mettono in cammino sanno benissimo che possono morire in questo viaggio, eppure lo cominciano lo stesso: quindi è qualcosa che noi non possiamo fermare, per quanto tentiamo di alzare barriere, di costruire muri, per quanto diciamo che non li potremo accogliere, che qui non c’è posto per loro; loro ormai sono partiti, sanno dove stanno andando, anche se non ci sono mai andati, e noi non possiamo più farci niente. Possiamo camminare come loro, con loro.
A dire la verità, qualcosa possiamo fare, dobbiamo fare. Come i nostri avi qui nella pianura padana sapevano che l’acqua non poteva essere fermata, ma doveva almeno essere guidata, condotta, irregimentata, affinché producesse meno danni e meno morti, così noi abbiamo il compito storico di gestire le persone che arrivano, che hanno cominciato quel cammino. E dobbiamo farlo adesso, che sono poche, pochissime, rispetto a quello che potrebbe ancora succedere. Dobbiamo organizzare da subito dei corridoi umanitari legali, per stroncare il traffico di esseri umani, per impedire che troppe persone muoiano nel Mediterraneo, nei Balcani o, prima ancora, nel Sahara.
Ci sono già delle proposte. I migranti potrebbero presentare direttamente la domanda nei paesi di origine – o nei paesi di transito e di prima accoglienza – presso una delle sedi dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati oppure potrebbero far richiedere una sorta di visto umanitario ai loro familiari che risiedono già in Europa. In questo modo tutti loro potrebbero avere un visto legale, per quanto temporaneo, per arrivare in uno dei paesi europei, che li dovrebbero accogliere in base a una ripartizione basata sul reddito pro capite e sulla densità abitativa.
Uno slogan che sentiamo ripetere sempre è aiutiamoli a casa loro. A parte che molti di loro una casa là non ce l’hanno, o non ce l’hanno più, la prima cosa che dovremmo fare davvero è cambiare la nostra politica estera, smettere di sostenere i peggiori governi, in nome dei nostri presunti interessi, che sono invece gli interessi di pochissimi. Aiutarli in casa loro significa prima di tutto smettere di finanziare le guerre in quei paesi, smettere di far nascere gruppi come l’Isis, smettere di sostenere quei dittatori.
Adesso le grandi multinazionali non hanno neppure più bisogno dei governi e delle cancellerie per gestire i loro affari in quei paesi, sono diventate autonome, il loro potere è ormai ben più globale e ramificato di quello della politica. E naturalmente i loro interessi non combaciano mai con gli interessi di quei popoli, come non combaciano mai con i nostri interessi. Per questo dovremmo combattere tutti dalla stessa parte, perché il nemico è sempre quello, il capitale, potente, crudele, che ogni giorno combatte contro di noi, di cui ogni giorno sentiamo la forza sempre più spietata, che ci vuole consumatori e vittime, schiavi e clienti, lavoratori senza diritti e senza cultura.
Non basta commuoversi davanti ai morti. Dobbiamo avere la consapevolezza che quei morti siamo noi. Noi sappiamo chi ha provocato la loro morte, chi li ha voluti sempre più poveri, chi li ha costretti a fare un viaggio che non avrebbero dovuto fare, che non avrebbero voluto fare. Gli animali fanno di tutto per difendere i cuccioli della loro specie, noi uomini invece permettiamo che le forze del capitale uccidano i nostri figli. E le ringraziamo dell’elemosina che ci offrono. E’ il momento di dire basta, e possiamo essere in tanti, stanno arrivando in tanti che hanno voglia di dire basta, che vogliono un altro futuro. Per questo la loro lotta è la nostra lotta, il loro futuro è il nostro.

 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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