di Gianni Proiettis

Traduzione di Francesco Cecchini

Fonte dell’articolo: https://www.alainet.org/es/articulo/189376

Una singola famiglia può paralizzare le dinamiche politiche di un’intera nazione, occupare il centro delle istituzioni e stabilire un governo parallelo, condizionando il vero esecutivo? Se la famiglia si chiama Fujimori e il paese è il Perù, la risposta è sì. Dopo aver perso le elezioni presidenziali nel giugno dello scorso anno, ma vincendo la maggioranza assoluta al Congresso, Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore incarcerato per crimini contro l’umanità, ha fatto di tutto, e con abbastanza successo, per ostacolare il governo di Pedro Pablo Kuczynski (PPK), costringendo i suoi migliori uomini alle dimissioni e rivelando la fragilità di un governo di tecnocrati senza alcuna abilità politica. Il risentimento patologico di Keiko per essere stato privata, e per un ridicolo 0,24 per cento, di una presidenza che si sentiva già in tasca dopo due campagne molto costose, ha portato a quindici mesi di feroce boicottaggio dell’attività dell’esecutivo, a un uso prepotente e al rialzo della sua maggioranza assoluta nel parlamento unicamerale di 130 deputati. “Una banda di spregiudicati cavernicoli”, “scimmie con fucili mitragliatori” sono stati definiti i 71 membri del Congresso arancioni il colore del loro partito, Fuerza Popular di Keiko, che si dedicano a interrogare, censurare, insultare, i parlamentari più competenti del governo. Vi sono già molte dimissioni. L’ attività di Fuerza Popuar è stata quella di promuovere leggi retrograde come quelle sulle donne vittime di violenza e sulla comunità gay o quella che concede generose esenzioni fiscali alle grandi aziende, provocando un clima di instabilità e ingovernabilità che non aiuta il necessario recupero economico. Piovendo sul bagnato, le inondazioni all’inizio dell’anno causate dal fenomeno del Niño costero, che ha devastato vaste regioni del nord del paese, le devastazioni politiche del caso Odebrecht, con l’ex presidente Ollanta Humala e la sua ex-first lady imprigionata, l’ex presidente Alejandro Toledo e sua moglie in fuga dalla giustizia e difficoltà legali anche per Alan Garcia e per la stessa Keiko Fujimori, hanno aggravato un sentimento di delusione per il primo anno del governo del PKK. Un esordio di un governo così debole e genuflesso di fronte alle bizze vendicative della signora Fujimori spiega le ragioni della clamorosa caduta della popolarità dell’attuale presidente. Al contrario, vi è l’irresistibile ascesa della famiglia Fujimori, nonostante il fatto che il loro patriarca sia stato condannato a 25 anni di carcere per i crimini commessi (forse alla vigilia di una possibile liberazione) che non si è fermata dalla fine degli anni ’80, quando un oscuro Rettore dell’Università Agraria La Molina ha fatto irruzione in politica e ha vinto le presidenziali contro un rivale famoso come Mario Vargas Llosa. L’illusione che un outsider della politica potesse portare il paese fuori dalla gravissima crisi provocata dalla presidenza di Alan García, è durata pochissimo tempo. Il 5 aprile 1992, meno di due anni dopo aver assunto la presidenza, Alberto Fujimori, con un improvviso auto colpo di stato, stabilì una dittatura che sembrò ispirata a uno shogunato giapponese e durò fino alla fine del 2000, grazie a una rielezione fraudolenta.  Con quasi un decennio di sospensione delle libertà fondamentali, chiusura del Congresso, chirurgia istituzionale (imposizione di una nuova Costituzione, istituzione di una modalità legislativa unicamerale, intervento della magistratura), repressione o cooptazione di tutte le opposizioni, una guerra sporca contro Sendero Luminoso che causò migliaia di morti innocenti, comunità sterminate dall’esercito,  corruzione galoppante a tutti i livelli (famosi i video di Vladimiro Montesinos, Rasputin del regime, che filmò  le tangenti a molti deputati), collusione con il traffico di droga (un aereo presidenziale trovato con 176 chili di cocaina non è una cosa di tutti i giorni), il saccheggio delle casse pubbliche (stimato in 6 miliardi di dollari), migliaia di sterilizzazioni forzate nelle regioni andine e una lunga serie di altre infamie. Vi sono sono stati crimini particolarmente ripugnanti nella carriera autocratica di Alberto Fujimori. Quando sua moglie, Susana Higuchi, denunciò che le sue cognate si erano appropriate di aiuti umanitari provenienti dal Giappone, il dittatore la fece sequestrare e tenere prigioniera quattro mesi nel Servizio di intelligence dell’esercito, dove è stata picchiata, sottoposta a scosse elettriche e iniezione di sostanze sconosciute. Susana Higuchi, che una volta dichiarò che sua figlia Keiko “ha il volto del diavolo”, divenne mentalmente incapace di vivere. Invece D’assumere la difesa della madre, i figli mantennero un silenzio complice e Keiko,  futura leader, dispotica e affamata di potere, assunse volentieri il ruolo di first lady accanto al padre. Tuttavia, i crimini della ex dittatore, “errori”, come dice la sua figlia maggiore Keiko, vanno ben oltre le torture alla moglie e lo strangolamento della democrazia. La creazione del gruppo Colina, una banda di assassini utilizzato per far fuori i dissidenti e gli oppositori scomodi, ha portato a una serie di omicidi del tutto ingiustificati come La Cantuta (un professore universitario e nove studenti rapiti, torturati e giustiziati perché sospettati di simpatie per Sendero Luminoso) e quello di Barrios Alto (15 persone che partecipavano a una festa, tra cui un bambino di 8 anni, uccisi per errore, credendo fossero terroristi). La parte discendente della parabola fujimorista, non senza connotazioni romanzesche, inizia 19 novembre 2000, quando era ancora presidente del Perù, dopo un viaggio in Brunei per una riunione di APEC, dà le dimissioni via fax dal Giappone, dove, con la protezione della potente Yakuza, tenta senza successo corsa per il Senato. I suoi misfatti oramai conosciuti, traboccano le fogne che sono diventate le principali istituzioni del Perù. Catturato nel 2005, durante un viaggio in Cile, ed estradato due anni più tardi, Alberto Fujimori è stato condannato dopo un processo, a 25 anni di carcere per i reati di omicidio con premeditazione, sequestro di persona aggravato, lesioni gravi, più sette anni e mezzo di prigione per appropriazione indebita fraudolenta, appropriazione indebita di fondi pubblici e falsificazioni contro lo stato. Sebbene non abbia mai espresso il minimo rimorso per i crimini commessi e non ha pagato un centesimo di $ 16 milioni dovuti per i danni civili, l’ex dittatore sta ancora implorando il perdono umanitario qualsiasi attuale presidente. Il perdono, che si basa su un discutibile cancro alla lingua, è stato sempre negato. Tuttavia, ultimamente, il presidente Kuczynski, ignorando che radicati anti-Fujimori lo hanno portato alla presidenza, sembra orientato a concederlo. Paradossalmente un Fujimori perdonato non conviene a sua figlia Keiko, che vedrebbe inevitabilmente minata la sua attuale leadership, già minacciato dal fratello Kenji, immagine del figlio fedele, che prevede esplicitamente la liberazione del padre e critica tutte le iniziative legislative di Fuerza Popul al punto di rischiare l’espulsione del partito.                                          Sia come sia i Fujimori continuano a occupare le prime pagine dei giornali, sia che s tratti delle intemperanze di Kenji, dei lamenti dalla prigione del patriarca o le minacce di Keiko, sporcata dalle rivelazioni che Marcelo Odebrecht abbia finanziato segretamente le sue due campagne elettorali.                  Se si uniscono gli attacchi contro la Corte costituzionale e il pubblico ministero della Nazione, le intimidazione alla stampa, le minacce di denunce penali e ripetuti attacchi contro lo stesso presidente Kuczynski, è più che valida la preoccupante affermazione del politologo Nelson Manrique: “La principale sfida per la democrazia peruviana oggi è l’offensiva dei Fujimori, che cerca di distruggere le istituzioni deboli esistenti per garantire l’impunità di Keiko Fujimori “.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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