di Ben Norton

Mercati di schiavi nel ventunesimo secolo. Esseri umani venduti per poche centinaia di dollari. Grandi proteste in tutto il mondo.

I media statunitensi e britannici si sono svegliati alla cupa realtà in Libia, dove profughi africani sono in vendita in mercati di schiavi all’aria aperta. Tuttavia un dettaglio cruciale di questo scandalo è stato minimizzato o persino ignorato in molti articoli della stampa dominante: il ruolo dell’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (NATO) nel portare lo schiavismo nella nazione nordafricana.

Nel marzo del 2011 la NATO ha lanciato una guerra in Libia espressamente mirata o rovesciare il governo del leader di lungo corso Muammar Gheddafi. Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno attuato circa 26.000 missioni aeree sulla Libia e lanciato centinaia di missili da crociera, distruggendo la capacità del governo di opporsi alle forze ribelli.

Il presidente statunitense Barack Obama e il Segretario di Stato Hillary Clinton, assieme ai loro omologhi europei, hanno insistito che l’intervento militare era attuato per motivi umanitari. Ma il politologo Micah Zenko (Foreign Policy, 22 marzo 2016)  ha utilizzato materiali della stessa NATO per dimostrare come “l’intervento libico sia stato mirato sin dall’inizio al cambiamento di regime”.

La NATO ha appoggiato una molteplicità di gruppi ribelli in lotta sul campo in Libia, molti dei quali erano dominati da estremisti islamisti e che coltivano visione violentemente razziste. I militanti della roccaforte ribelle, appoggiata dalla NATO, di Misurata si riferivano addirittura a sé stessi nel 2011 come “la brigata per l’epurazione degli schiavi di pelle nera”, un’inquietante presagio di ciò che stava per accadere.

La guerra è finita nell’ottobre del 2011. L’aviazione statunitense ed europea ha attaccato il convoglio di Gheddafi ed egli è stato brutalmente assassinato da estremisti ribelli, sodomizzato con una baionetta. Il Segretario Clinton, che aveva avuto un ruolo decisivo nella guerra, ha dichiarato a CBS News (20 ottobre 2011) “Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto!” Il governo libico si è dissolto subito dopo.

Nei sei anni da allora la Libia è stata intorbidita da caos e bagni di sangue. Molti aspiranti governi sono in competizione per il controllo del paese ricco di petrolio e in alcune aree non c’è ancora nessuna autorità centrale funzionante. Sono morte molte migliaia di persone anche se i numeri reali sono impossibili da verificare. Milioni di libici sono finiti sfollati; un numero sbalorditivo, quasi un terzo della popolazione, era fuggito nella vicina Tunisia a tutto il 2014.

I media industriali, tuttavia, hanno in larga misura dimenticato il ruolo chiave svolto dalla NATO nel distruggere il governo della Libia, destabilizzando il paese e dando potere ai trafficanti di esseri umani.

Inoltre persino i pochi servizi giornalistici che in effetti riconoscono la complicità della NATO nel caos in Libia non fanno un passo ulteriore per dettagliare il violento razzismo, ben documentato, dei ribelli libici appoggiati dalla NATO che ha introdotto lo schiavismo dopo aver attuato la pulizia etnica e aver commesso crimini brutali contro i libici neri.

 

NATO, dove sei?

A metà novembre la CNN (14 novembre 2017) ha pubblicato un servizio esplosivo che ha offerto uno sguardo di prima mano sul mercato degli schiavi in Libia. La rete mediatica ha ottenuto un video terrificante che mostra giovani profughi africani messi all’asta, “ragazzi grandi e forti per lavoro contadino”, venduti per la ridicola cifra di 400 dollari.

Il vistoso rapporto multimediale della CNN includeva un’abbondanza di bonus: due video, due immagini animate, due fotografie e una mappa. Ma mancava qualcosa: la narrazione di mille parole non faceva alcuna menzione della NATO o della guerra del 2011 che aveva distrutto il governo libico, o Muammar Gheddafi, o di un qualunque contesto storico e politico.

Nonostante queste enormi carenze, il rapporto della CNN è stato diffusamente celebrato e ha avuto un impatto sull’apparato dei media industriale che diversamente si preoccupa poco dell’Africa del Nord. E’ seguito un turbine di servizi mediatici. Quei servizi hanno parlato in misura prevalente dello schiavismo in Libia come di un problema apolitico e immemorabile di diritti umani, non come di un problema politico radicato nella storia molto recente.

In narrazioni successive, quando dirigenti libici e delle Nazioni Unite hanno annunciato che avrebbero avviato un’indagine sulle aste di schiavi, la CNN (17 novembre 201720 novembre 2017) ha nuovamente mancato di citare la guerra del 2011, per non parlare del ruolo della NATO in essa.

Un servizio della CNN (21 novembre 2017) su una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha segnalato: “Ambasciatori del Senegal e della Svezia hanno anche biasimato le cause alla radice del traffico: paesi instabili, povertà, profitti dal commercio di schiavi e assenza di forze dell’ordine”. Ma non ha spiegato perché la Libia è instabile.

Un altro articolo di approfondimento di 1.200 parole della CNN (23 novembre 2017) è stato altrettanto opaco.  Solo nel trentacinquesimo paragrafo di questo articolo di trentasei, il ricercatore di Human Rights Watch ha osservato: “Le autorità provvisorie libiche hanno menato il can per l’aia in virtualmente tutte le indagini supposte avviate da esse, e tuttavia mai concluse, dopo la rivolta del 2011”. La guida della NATO in quella rivolta del 2011 è stata tuttavia ignorata.

Un dispaccio dell’Agence France-Press pubblicato dalla Voice of America (17 novembre 2017) e da altri siti della rete ha analogamente mancato di fornire un contesto storico per la situazione politica in Libia. “Testimonianze raccolte da AFP in anni recenti hanno rivelato una litania di violazioni di diritti per mano di capi di bande, trafficanti di esseri umani e forze di polizia libiche”, diceva l’articolo, ma senza raccontare nulla di quanto avvenuto prima del 2017.

Anche servizi di BBC (18 novembre 2017), New York Times (20 novembre 2017), Deutsche Welle (ripresa da USA Today, 23 novembre 2017) e Associated Press (ripresa dal Washington Post, 23 novembre 2017) hanno mancato di citare la guerra del 2011, per non parlare del ruolo della NATO in essa.

Un altro articolo del New York Times (19 novembre 2017) ha in effetti fornito un po’ di contesto:

“Dopo che la rivolta della Primavera Araba del 2011 ha posto fine al dominio brutale del colonnello Muammar el-Gheddafi, la costa libica è diventata un centro di traffici e di contrabbando di esseri umani. Ciò ha alimentato la crisi dei migranti illegali che l’Europa si affanna a contenere dal 2014. La Libia, finita nel caos e nella guerra civile dopo la rivolta, è oggi divisa tra tre fazioni principali.

Tuttavia il Times ha continuato a cancellare il ruolo chiave della NATO nella rivolta del 2011.

In un resoconto delle vaste proteste scoppiate all’esterno di ambasciate libiche in Europa e Africa in reazione a notizie delle aste di schiavi la Reuters (20 novembre 2017) ha indicato: “Sei anni dopo la caduta di Muammar Gheddafi la Libia è ancora uno stato privo di legge dove gruppi armati competono per terre e risorse e reti di contrabbando di esseri umani operano impunemente”. Ma non ha fornito alcuna ulteriore informazione su come Gheddafi è stato rovesciato.

Un articolo dell’Huffington Post (22 novembre 2017), in seguito ripubblicato all’AOL (27 novembre 2017), ha in realtà ammesso che la Libia è “uno dei più instabili del mondo [sic], infangata in un conflitto da quando il dittatore Muammar Gheddafi è stato deposto e ucciso nel 2001”. Non ha fatto alcuna menzione della guida della NATO in tale deposizione e uccisione.

Parte del problema è stato l’indisponibilità di organizzazioni internazionali e segnalare la responsabilità di potenti governi occidentali. Nella sua dichiarazione sulle notizie di schiavismo in Libia, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres (20 novembre 2017)  non ha detto nulla riguardo a quanto è accaduto politicamente all’interno della nazione nordafricana negli ultimi sei anni. L’articolo del New Centre dell’ONU (20 novembre 2017) sui commenti di Guterres è stato semplicemente altrettanto privo di contesto e non informativo, così come il comunicato stampa (21 novembre 2017) sull’argomento dell’Organizzazione Internazionale per i Migranti (IOM).

Al Jazeera (26 novembre 2017) ha in effetti citato un dirigente dell’IOM che ha suggerito, nelle parole di Al Jazeera, che “la comunità internazionale dovrebbe dedicare più attenzione alla Libia post Gheddafi”. Ma il canale mediatico non ha fornito alcun contesto su come la Libia è diventata post Gheddafi, tanto per cominciare. In realtà la fonte di Al Jazeera ha fatto di tutto per rendere apolitico il tema: “Lo schiavismo del giorno d’oggi è diffuso in tutto il mondo e la Libia non è assolutamente un caso unico”.

Anche se è vero che lo schiavismo e il traffico di esseri umani sono attuati in altri paesi, questa diffusa narrativa mediatica depoliticizza il problema in Libia, che ha le sue radici in decisioni politiche esplicite prese da governi e dai loro leader: cioè la scelta di rovesciare lo stabile governo libico, trasformando la nazione nordafricana ricca di petrolio in uno stato fallito, governato da signori della guerra e milizie in competizione tra loro, alcune delle quali sono coinvolte nello schiavismo e nel traffico di esseri umani e ne lucrano.

 

Attenzione selettiva al dopo NATO in Libia

La copertura mediatica industriale sulla Libia rispecchia in larga misura quella sullo Yemen (FAIR.org, 20 novembre 201731 agosto 201727 febbraio 2017), sulla Siria (FAIR.org, 4 aprile 20175 settembre 2017) e oltre: il ruolo del governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel creare caos all’estero e minimizzato, se non del tutto ignorato.

Notevolmente, una delle sole eccezioni a questa prevalente tendenza dei media è arrivata in aprile dal, di tutti, comitato editoriale del New York Times. Il comitato editoriale del Times (14 aprile 2017) non ha usato mezzi termini nel collegare l’operazione militare appoggiata dagli USA alla catastrofe in corso:

“Nulla di tutto questo sarebbe possibile se non fosse per il caos politico in Libia dalla guerra civile nel 2011 quando, con il coinvolgimento della coalizione NATO comprendente gli Stati Uniti, è stato rovesciato il colonnello Muammar el-Gheddafi. I migranti sono diventati l’oro che finanzia le fazioni in guerra in Libia”.

Questa è una considerevole inversione di marcia. Immediatamente dopo l’avvio della guerra della NATO in Libia nel marzo del 2011 l’editoriale del Times (21 marzo 2011) aveva applaudito il bombardamento, sperticandosi: “Il colonnello Muammar el-Gheddafi è da molto un violento e un assassino che non ha mai pagato per i suoi crimini”. Aveva riversato poesia sullo “straordinario”, “sbalorditivo” intervento militare e sperava in una caduta imminente di Gheddafi.

L’editoriale del Times dell’aprile 2017 ha mancato poco di essere un mea culpa, tuttavia è rimasto una rara ammissione della verità.

All’epoca in cui era stato scritto questo editoriale sorprendentemente onesto, c’era stata brevemente un po’ di attenzione mediatica nei confronti della Libia. L’Organizzazione Internazionale per i Migranti aveva appena condotto un’inchiesta sullo schiavismo nel cambiamento della Libia post regime, determinando una serie di articoli giornalistici sul Guardian (10 aprile 2017) e altrove. In pratica non appena questa vicenda terribile aveva suscitato l’interesse dei media industriali, tuttavia, era presto scomparsa. L’attenzione era tornata alla Russia, alla Corea del Nord e allo spauracchio di turno.

Quando i governi occidentali speravano di intervenire militarmente nel paese nell’imminenza del 19 marzo 2011, ci fu un costante torrente di notizie mediatiche sulle malvagità di Gheddafi e del suo governo – compresa una sana dose di notizie false (Salon, 16 settembre 2016). I principali giornali appoggiarono devotamente l’intervento NATO e non fecero mistero delle loro linee editoriali favorevoli alla guerra.

Quando il governo statunitense e i suoi alleati si stavano preparando alla guerra, l’apparato mediatico industriale fece quello che sa fare meglio, e contribuì a spacciare al pubblico un altro intervento militare.

Negli anni da allora, d’altro canto, c’è stato un interesse esponenzialmente minore al disastroso seguito della guerra della NATO. Ci saranno brevi picchi d’interesse, com’è stato agli inizi del 2017. Il più recente spruzzo di copertura della stampa è stato ispirato dalle sconvolgenti riprese della CNN. Ma la copertura invariabilmente raggiunte un picco e poi svanisce.

 

L’estremo razzismo dei ribelli libici

La catastrofe che la Libia avrebbe potuto subire dopo il crollo del suo stato era prevedibile all’epoca. Lo stesso Gheddafi aveva avvertito i paesi membri della NATO, mentre stavano conducendo la guerra contro di lui, che avrebbero scatenato il caos in tutta la regione. Tuttavia i leader occidentali – Barack Obama e Hillary Clinton negli USA, David Cameron nel Regno Unito, Nicolas Sarkozy in Francia, Stephen Harper in Canada – ignorarono l’ammonimento di Gheddafi e rovesciarono il suo governo con la violenza.

Persino nel piccolo numero di servizi mediatici sullo schiavismo in Libia che riescono a riconoscere la responsabilità della NATO nella destabilizzazione del paese, tuttavia, manca ancora qualcosa.

Guardando indietro ai ribelli libici anti Gheddafi, sia durante sia dopo la guerra del 2011, è chiarissimo che un duro razzismo contro i neri era diffuso nell’opposizione appoggiata dalla NATO. Un’indagine del 2016 del Comitato Affari Esteri della Camera dei Comuni britannica (Salon, 16 settembre 2016) riconosceva che “milizie islamiste militanti hanno avuto un ruolo critico nella ribellione dal febbraio 2011 in poi”. Ma molti ribelli non erano solo fondamentalisti; erano anche violentemente razzisti.

Purtroppo non è una sorpresa che questi militanti libici estremisti abbiano successivamente schiavizzato profughi e migranti africani. Vi alludevano fin dall’inizio.

La maggior parte della copertura mediatica statunitense ed europea all’epoca dell’intervento militare della NATO era decisamente a favore dei ribelli. Quando i giornalisti arrivarono sul campo, tuttavia, cominciarono a pubblicare alcuni testi più sfumati che alludevano alla realtà dell’opposizione. Furono insignificanti come numero, ma sono illuminanti e meritano di essere rivisitati.

Tre mesi dopo l’inizio della guerra della NATO, nel giugno del 2011, Sam Dagher del Wall Street Journal (21 giugno 2011) scrisse da Misurata, la terza città più vasta della Libia e un importante centro dell’opposizione, dove segnalava di aver visto slogan dei ribelli quali “la brigata per purgare gli schiavi, i neri”.

Dagher segnalava che la roccaforte ribelle di Misurata era dominata da “famiglie strettamente collegate di mercanti bianchi”, mentre “il sud del paese, prevalentemente nero, principalmente sostiene il colonnello Gheddafi”.

Un altro graffito a Misurata diceva “Traditori state alla larga”. Con “traditori” i ribelli si riferivano ai libici della cittadina di Tawergha, che il Journal spiegava è “abitata prevalentemente da libici neri, un’eredità delle sue origini nel diciannovesimo secolo come città di transito del commercio degli schiavi”.

Dagher scriveva che alcuni leader libici ribelli stavano “sollecitando l’espulsione degli abitanti di Tawergha dall’area” e “la messa al bando dei nativi di Tawergha dal lavorare, risiedere o mandare i loro figli in scuole di Misurata”. Aggiungeva che i quartieri prevalentemente Tawergha di Misurata erano già stati svuotati. I libici neri erano “andati via o si erano nascosti, temendo attacchi vendicativi dai cittadini di Misurata, in mezzo a notizie di taglie per la loro cattura”.

Il comandante ribelle Ibrahim al-Halbous dichiarò al Journal: “Tawergha non esiste più; solo Misurata”.

Al-Halbous sarebbe in seguito ricomparso in un articolo del Sunday Telegraph (11 settembre 2011) ripetendo al giornale britannico: “Tawergha non esiste più”.  (Quando Halbous rimase ferito a settembre, il New York Times (20 settembre 2011) lo dipinse con simpatia come un martire dell’eroica lotta contro Gheddafi. La brigata Halbous negli anni da allora è diventata una milizia influente in Libia).

Come Dagher, Andrew Gilligan del Telegraph attirò l’attenzione sullo slogan dipinto sulla strada tra Misurata e Tawergha: “la brigata per purgare gli schiavi [e i] neri”.

Gilligan scriveva da Tawergha, o piuttosto di quel che restava della cittadina a maggioranza nera, che egli riferiva come “svuotata dalla sua popolazione, vandalizzata e in parte data alle fiamme da forze ribelli”. Un leader ribelle disse dei residenti dalla pelle nera: “Abbiamo detto che se non se ne fossero andati sarebbero stati conquistati e incarcerati. Ciascuno di loro se n’è andato e non permetteremo mai loro di tornare”.

Gilligan segnalava “un’avvisaglia razzista. Molti di Tawergha, anche se né immigrati né manifestamente mercenari di Gheddafi, sono discendenti di schiavi e hanno la pelle più scura della maggior parte dei libici”.

L’Organizzazione del Trattato Nord-atlantico ha assistito questi virulenti ribelli razzisti a Misurata. Forze della NATO hanno frequentemente lanciato attacchi aereicontro la città. Caccia da combattimento francesi hanno abbattuto aerei libici sopra Misurata. Gli USA e la Gran Bretagna hanno lanciato missili da crociera contro bersagli del governo libico e gli USA hanno lanciato attacchi di droni Predator. Anche l’aviazione canadese ha attaccato forze libiche, allontanandole da Misurata.

In un video di propaganda della NATO pubblicato nel maggio del 2011, agli inizi della guerra in Libia, l’alleanza militare occidentale ha ammesso apertamente di aver intenzionalmente permesso a “ribelli libici di trasportare armi da Bengasi a Misurata”. Il politologo Micah Zenko (Foreign Policy, 23 marzo 2016) ha segnalato le implicazioni di tale video: “Una nave NATO, di stazione nel Mediterraneo per forzare un embargo degli armamenti, ha fatto esattamente il contrario e la NATO si è sentita a proprio agio nel pubblicare un video che dimostrava la sua ipocrisia”.

Nel corso dell’intera guerra e dopo di essa ribelli libici hanno continuato a condurre attacchi settari razzisti contro i loro compatrioti neri. Tali attacchi sono stati ben documentati da organizzazioni prevalenti per i diritti umani.

Il direttore esecutivo di lungo corso di Human Rights Watch,  Kenneth Roth,  ha plaudito all’intervento della NATO in Libia nel 2011, definendo l’unanime avallo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a una zona d’interdizione al volo, una “rimarchevole” conferma della dottrina della cosiddetta “responsabilità di proteggere”.

L’organizzazione di Roth, tuttavia, non ha potuto ignorare i crimini commessi dai militanti anti Gheddafi contro libici e migranti dalla pelle nera.

Nel settembre del 2011, quando la guerra era ancora in corso, Human Rights Watch riferìdi “arresti arbitrari e violenze [di ribelli libici] contro lavoratori migranti africani e libici neri supposti mercenari [filo-Gheddafi]”.

Poi a ottobre la maggior organizzazione statunitense per i diritti umani ha segnalato che milizie libiche stavano “terrorizzando i residenti sfollati della città vicina di Tawergha”, la comunità a maggioranza nera che era stata una roccaforte a sostegno di Gheddafi. “L’intera cittadina di 30.000 persone è stata abbandonata – in parte saccheggiata e incendiata – e i comandanti della brigata di Misurata affermano che i residenti di Tawergha non dovrebbero tornare mai”, ha aggiunto HRW. Testimoni “hanno fornito resoconti credibili di alcune milizie di Misurata che hanno sparato contro abitanti disarmati di Tawergha e di arresti e maltrattamenti arbitrati di detenuti di Tawergha, in alcuni casi causa di morte”.

Nel 2013 HRW ha ulteriormente riferito sulla pulizia etnica della comunità nera di Tawergha. L’organizzazione per i diritti umani, il cui capo aveva così calorosamente appoggiato l’intervento militare, ha scritto: “La cacciata a forza di circa 40.000 persone, le detenzioni arbitrarie le torture e le uccisioni sono diffuse, sistematiche e sufficientemente organizzate da costituire crimini contro l’umanità”.

Tali atrocità sono innegabili e aprono una via diretta alla schiavizzazione di profughi e migranti africani. Ma per riconoscere la complicità della NATO nel dare potere a questi militanti estremisti razzisti i media dell’industria dovrebbero innanzitutto riconoscere il ruolo della NATO nella guerra del 2011 in Libia per il cambiamento del regime.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fontehttps://zcomm.org/znetarticle/nato-role-in-bringing-slave-markets-to-libya/

Originale: FAIR.org  

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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