Per molti versi questa paura è giustificata: comunismo è una parolaccia nella cultura inglese. Mi ricordo di quando ho ricevuto la mia copia della “International Socialist Review” per posta negli Stati Uniti – arrivò in un pacchettino di carta marrone, come se fosse materiale pornografico.

(Vi prego di notare: le pratiche della posta americana riguardanti la pornografia sono state racimolate solo da informazioni di seconda mano, naturalmente, quindi potrei sbagliarmi su questo punto).

Ma forse, sarebbe stato meglio che il mio postino pensasse che io avevo ricevuto un giornale porno piuttosto che sapesse che io ero un comunista. C’è da ridere, vero? Perché nessuno viene gettato in prigione, spiato, molestato, privato dell’accesso al credito, degradato, licenziato, evitato, insultato o deportato a causa della pornografia negli Stati Uniti, ma sicuramente lo è se sostiene il comunismo nella “terra della libertà”.

Francia, Italia, i paesi latini dell’Occidente – non hanno un pregiudizio così forte, cosa che è la ragione principale per cui ho scelto di vivere a Parigi.

Ma poiché la paura anglofona è (purtroppo) comprensibile, molti preminenti esponenti di sinistra intelligenti e benintenzionati, semplicemente non possono sostenere il comunismo o il socialismo, o per lo meno, non possono farlo apertamente.

Ciò li conduce a grosse dissonanze cognitive, dissimulazioni, contorti giochi di parole e, inevitabilmente, a rinunce almeno parziali dei controlli economici di ispirazione comunista che sono vitali per la creazione e la conservazione del progresso umano.

Una persona di questo genere, affetta da tale fenomeno è l’ex Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Ho scritto una serie di articoli basati sul suo libro del 2016, “I poveri sono destinati a soffrire?” perché è necessario confutarne l’economia falsamente di sinistra.

Naturalmente, i media mainstream in lingua inglese – rabbiosamente anti-comunisti – promuoveranno un “economista di sinistra” se lui o lei, tanto per iniziare, lo è per finta. Joseph Stiglitz, con cui condividevo la mia precedente città di residenza, Gary nell’Indiana, –  una città di acciaierie spaventosamente povera e violenta, una piaga persistente del capitalismo moderno – è stato anche da me smitizzato come falso uomo di sinistra in quest’articolo qui [in inglese].

Mentre Varoufakis è estremamente encomiabile per aver ripetutamente lanciato allarmi sulla natura scandalosamente antidemocratica dell’eurozona (qui il mio articolo di apprezzamento), scrivo quest’articolo per evidenziare cosa in effetti sia la soluzione proposta da Varoufakis alla crisi, ancora senza rimedio, dell’eurozona: semplice comunismo.

La frase indispensabile per Varoufakis: riciclo ‘politico’ del sovrappiù

Questa frase puntella l’intera teoria economica del suo libro. La sua assenza è il motivo per cui l’eurozona ha fallito, secondo Varoufakis – realizzarla renderebbe tutto migliore.

Non potrò ma evidenziare a sufficienza quanto questa frase di quattro parole sia presente in tutto il suo libro dall’inizio alla fine, e lui sarà sicuramente d’accordo sul fatto che io abbia sottolineato il suo punto di vista per quanto sia importante.

Però, le virgolette attorno a “politico” nel sottotitolo qua sopra sono mie e sono necessarie, perché pongono l’enfasi dove deve stare al fine di arrivare davvero al cuore di ciò che egli sostiene. Per parafrasare:

Poiché i deficit e i surplus sono inevitabili negli scambi tra due nazioni, si dovrà porre in essere un meccanismo multi-nazionale/Parlamento/capo che ridistribuisca la ricchezza dalle nazioni in avanzo a quelle in disavanzo, al fine di assicurare il bilanciamento economico e l’armonia sociale/regionale. In assenza di tale meccanismo, un progetto multi-nazionale come l’eurozona non può essere funzionale alla creazione di crescita o uguaglianza per i suoi membri in condizione di inferiorità come la Grecia – essi sarebbero condannati allo stato permanente di debitore/nazione in deficit, con tutte le perdite di reale influenza politica che ciò comporta all’interno del suddetto progetto multi-nazionale.

L’impalcatura comunista di questo concetto dovrebbe essere del tutto ovvia a chi fosse iniziato alla politica….

Però, proprio perché Varoufakis vuole chiamarla con un nome differente – riciclo “politico” del sovrappiù – il principio rimane il medesimo: anche a livello internazionale ci deve essere una ridistribuzione (un riciclo) pianificata (politicamente) e coordinata dei profitti prodotti dal lavoro (il sovrappiù).

Ma questo (concetto) non è mai espresso in questo modo chiaro-anche-se-non-originale da Varoufakis, che evidentemente rifiuta di farsi sostenitore della frase famosa in tutto il mondo: “ridistribuzione della ricchezza”.

Forse perché il mondo anglofono in cui ha vissuto per circa metà della sua vita, fondamentalmente scollega il cervello non appena sente questo slogan rivoluzionario e umanitario. O forse Varoufakis sta semplicemente cercando di dare alla propria idea una patina di originalità? In ogni caso, trovo sorprendente fino a che punto possano spingersi gli Occidentali – e non solo gli anglofoni – pur di negare il fatto che i comunisti hanno trovato ogni genere di risposta, tutt’ora valide nel 2017.

Eppure questo principio economico rimane del tutto vero sia al livello del signorotto feudale locale, o a quello di un proprietario di una piccola fabbrica, o di una pizzeria, come a quello delle relazioni socioeconomiche internazionali tra le 19 nazioni dell’eurozona.

Le mie virgolette attorno a “politico” rendono la sua frase più chiara perché Varoufakis implicitamente si rende conto che solo l’intervento governativo – un accordo/decisione politica – può creare uguaglianza e crescita, una crescita uguale in tutte le regioni.

Ciò significa che noi siamo – esattamente come aveva dimostrato Marx – di nuovo alla questione del necessario controllo “politico” sull’economia. Tutti sappiamo che “La Mano Invisibile” è un mito. Anche se molti potranno restare silenti su questo punto, a causa del timore sociale, qualunque persona di media intelligenza strabuzzerà gli occhi se costretta ad ascoltare a lungo un evangelista della “Mano Invisibile”.

Quindi il “riciclo politico del sovrappiù” implica non soltanto la “ridistribuzione della ricchezza” ma anche “pianificazione centralizzata”, che è anche una parte indispensabile di qualunque nazione socialista. Questa pianificazione ha consentito alle varie Cuba, Iran e Cina del mondo di mantenere una crescita stabile nonostante la Grande Recessione la cui esclusiva responsabilità sembra essere delle nazioni capitaliste.

Trovo sconvolgente che questi modelli vengano costantemente ignorati, in special modo quello dell’Iran [in inglese], e anche che gli idoli degli anglofoni come Varoufakis siano incapaci o semplicemente non vogliano chiamare una cosa col suo nome e dire semplicemente, “Il comunismo tutt’ora fornisce la chiave per la stabilità economica in qualunque economia moderna e morale.”

Perché anche se Varoufakis rifiuta altri punti chiave del comunismo – sistema monopartitico, divieto del capitalismo, messa al bando di gruppi di estrema destra e delle incitazioni all’odio, messa al bando dei media divisivi – tutto il suo libro si basa sulla frase di quattro parole che è un eufemismo sottilmente velato per l’espressione più comune “ridistribuzione dai ricchi ai poveri” e “pianificazione centralizzata”.

Amico, dillo apertamente!

Da lettore, per molti versi provo risentimento nei confronti di Varoufakis per aver fatto perdere a me e a tutti quanti il nostro maledetto tempo.

‘Il riciclo del sovrappiù nelle belle giornate’… anche noto come ‘capitalismo’, è il seme del problema

Varoufakis afferma che il catalizzatore per i problemi dell’Europa – la cattiva politica socioeconomica – si basa sul riciclo del sovrappiù “nelle belle giornate” (di nuovo, virgolette mie per chiarezza). Parafrasando:

I sovrappiù che sono stati generati (da governo, profitti, lavoro schiavistico – quello che si vuole) sono mandati dai banchieri – o forse da attori politici – nei paesi in disavanzo… ovviamente al fine di ottenere il massimo ritorno sugli investimenti e non per aiuti dovuti a benevolenza. Ciò ovviamente rende le nazioni già in deficit ancora più indebitate. Ma, al momento meno opportuno per le nazioni in disavanzo – i prestatori chiudono i rubinetti: i crediti finiscono. Viene richiesto il rientro dai debiti. La loro restituzione è ovviamente ancora più difficile di prima.

Questo è un concetto molto importante perché rivela l’immoralità delle nazioni più ricche dell’Europa del Nord.

Varoufakis questo lo chiama riciclo del sovrappiù “delle belle giornate” perché quando il tempo diventa brutto (a causa di crisi, shock, panico, guerra, ecc.) i prestiti terminano nel momento peggiore possibile. Quelli che erano stati incoraggiati a contrarre debiti (con la piena consapevolezza che non avrebbero potuto ripagarli in caso di crisi, e che le crisi sono garantite nel capitalismo) vengono all’improvviso privati dei fondi e sono totalmente in debito coi propri creditori.

Per questo motivo, il cattivo clima economico serve solo a rafforzare ancora di più i creditori. Il brutto tempo in economia è quindi bello… per l’1%. Questa realtà nascosta è a fondamento dell’articolo finale di questa serie, “Recessione forzata come strumento di guerra sociale contro il 99%”.

Questo sistema a due facce delle banche internazionali è il modo in cui la Grecia dei giorni d’oggi è stata messa sotto controllo, ma così è stato anche per l’Egitto del XIX secolo, per la Tunisia, per il continente di cultura indiana, e una serie di centinaia di altre società, che possono essere esplicitamente nominate, della storia post-industriale.

Ma in special modo all’interno dell’eurozona:

“Il riciclo nelle belle giornate, scritto grande, aveva sostituito a livello globale il riciclo politico pianificato che era l’essenza del sistema di Bretton Woods. Nonostante si sapesse che non sarebbe mai finita bene, è stato in grado di inserire l’economia globale in un flusso di spese folli che è durato tre decenni prima di schiantarsi nel 2008”.

Solo un economista falsamente di sinistra, filo-occidentale (o semplicemente anglofilo) come Varoufakis crederebbe ad uno scopo teoricamente benevolo nel “privilegio esorbitante” del sistema di Bretton Woods imposto dagli USA… ma io trovo moralmente irresponsabile che egli utilizzi una frase benevola come “belle giornate” per descrivere un processo che si riduce a: intrappolarli, spremerli per anni, tagliarli fuori all’improvviso, rifiutare qualunque responsabilità, buttarli fuori ma non del tutto perché devono essere spremuti per anni/decenni/vite/generazioni/il più a lungo possibile.. negando contemporaneamente democrazia al Popolo, e continuando ipocritamente ancora e ancora a sostenere che il comunismo sia il più grande killer… come ho sentito proprio oggi su Radio RMC a Parigi.

(Il tassista nero che ascoltava la radio con me era d’accordo: i francesi (i bianchi) sono volutamente ciechi, ipocriti, estremamente legati al proprio clan, la loro arroganza provoca lo spreco del talento di tanti milioni di persone e di miliardi, ecc. ecc. I bianchi non sono inclini a conversazioni di questo genere, immagino, e questo è un peccato – ma io posso garantire che sono di routine tra quelli di colore. I comunisti bianchi spero che facciano conversazioni di questo genere con quelli di colore, me lo aspetterei…).

Ma questo sistema che domina l’Europa Occidentale – la stessa Europa Occidentale in cui è nato il comunismo (ma in cui, purtroppo, mai si è realizzato) – è lo stesso processo utilizzato nei crediti usurari degli squali mafiosi o delle agenzie di credito predatorie, e non è necessario essere musulmano – o di colore – per esserne scandalizzato.

La confusione nei confronti dei concetti economici è inerente al mondo anglofono

Se Varoufakis avesse usato un linguaggio marxista – se questo auto-dichiarato “marxista irregolare” avesse osato riferirsi allo stesso Marx più delle due sole volte in cui lo ha fatto nel suo libro – non saremmo stati costretti a passare tanto tempo a ridefinire le solite vecchie basi economiche.

È vitale riconoscere che – anche se le macchine possono cambiare – in economia non c’è niente di nuovo sotto il sole e Varoufakis non dovrebbe alimentare l’illusione che invece ci sia: tutti abbiamo provato a inventarci qualcosa di nuovo, eppure siamo solo stati capaci di migliorare le nostre critiche ai fondamenti stabiliti dagli economisti del XVIII e del XIX secolo.

Purtroppo questi concetti essenziali sono andati totalmente persi in Occidente, in cui governa la tecnocrazia (e governa molto male), in cui regna supremo il desiderio di innovazione, e l’idea che avere un dottorato implichi in qualche modo che non si possa essere un immorale e avido bastardo senza anima (chi più dei tedeschi ama fare mostra di titoli accademici? Chi più della classe politica francese ama mostrare di aver pubblicato un libro?).

Perché la nostra non originalità dovrebbe farci umili; perché il fatto che noi sosteniamo la dignità degli altri è vitale per l’unità sociale; è dovere di tutti i Varoufakis del mondo parlare il più onestamente possibile di questioni serie, come lo è anche mio e vostro.

Inoltre, in un senso realmente foucaultiano, il conflitto tra economia e lingua inglese sembra essere profondamente incorporato nel subconscio culturale (degli anglofoni):

Borgheseproletariatorentier – queste (per gli anglofoni) sono tutte parole di origine straniera. Io trovo che in special modo questo fatto sia sorprendente, dato che l’inglese è il linguaggio che ha di gran lunga la più grande quantità di parole.

Si può obiettare che utilizzare questi termini stranieri li internazionalizzi, ma io dissento su questo: l’anglofono medio non ha idea di cosa sia un “rentier”, nonostante lui o lei, mandi loro un assegno per interessi composti molte volte al mese. “Proletariato” è un termine datato in un tempo in cui fannulloni da cubicolo ne fanno definitivamente parte, anche se la maggior parte di essi non lo pensa semplicemente perché non lavora in fabbrica.

Questo fallimento degli anglofoni – perfino dei verbosi irlandesi – nel contestualizzare culturalmente i termini chiave dell’economia moderna nel proprio linguaggio indica quanto poco interesse ci sia nei confronti del comunismo nei loro paesi, ma anche quanto siano stati soggetti alla soppressione culturale del comunismo.

Naturalmente, molti paesi usano le stesse parole di origine straniera per questi concetti economici, quindi… sottraiamo un punto per Foucault e un altro per la psicologia.

In ogni caso, questa mancanza di chiarezza ha generato un tremendo malinteso riguardo l’economia specialmente in tutto il mondo espansionista e imperialista anglofono.

Gli anglofoni devono accettarlo: sono già comunisti, solo che non ci credono

“La pianificazione centralizzata” esiste già negli stati capitalisti/anglofoni: negli Stati Uniti la loro economia è guidata dal Pentagono, il più grande datore di lavoro del mondo; che consegna i frutti della propria ricerca pagata dai contribuenti alle compagnie private; che arricchisce la propria borghesia autoctona con contratti enormemente corrotti; che crea lavori in modo terribilmente inefficiente – in contrasto agli investimenti governativi virtualmente nulli in altri settori – ma arricchisce in modo molto efficiente l’1%.

L’arrivo del globalista Emmanuel Macron è probabilmente la morte del concetto dell’” economia mista” francese, che si basava sull’idea che il governo stabilisse ed eseguisse delle azioni per assegnare (pianificare centralmente) chiari obiettivi industriali/economici/agricoli all’economia nazionale. Questo concetto aveva permesso alla Francia di avere successo in una misura tale per cui i tassi di povertà e di produttività sono tuttora migliori di quelli della Germania, ma le cose adesso cambieranno certamente in peggio.

E solo un momento di riflessione vi farà concordare sul fatto che l’economia giapponese del dopoguerra abbia prodotto i più sensazionali risultati a livello globale, senza dubbio – chi avrebbe previsto che sarebbero emersi dalla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale avendo i numeri per arrivare al secondo posto tra le economie globali? Questo perché la loro economia era basata ancor più che quella francese sulla guida governativa.

Quando il Giappone abbandonò questa formula a metà degli anni ’80 – quando il capitalismo neoliberale divenne l’ideologia americana da esportare e imporre – è in questo momento che vennero poste le basi per il “Decennio Perso” degli anni ’90 in Giappone, che da allora si è trasformato nel “Ventennio Perso”. Discuterò questo ovvio “precedente giapponese” per l’eurozona nell’articolo finale di questa serie.

Riguardo al comunismo già presente nel mondo anglofono: serve che vi parli della previdenza per gli anziani, le settimane lavorative da 40 ore, il salario minimo, la sanità pubblica, il tetto sugli affitti, le pensioni d’anzianità, la tassazione sulle rendite finanziarie, la tassazione progressiva, l’assistenza all’infanzia, la pubblica istruzione, l’istruzione superiore gratuita e così via? Non potrebbe essere più bianco e nero intellettualmente: ognuno dei punti precedenti è un trionfo dell’ideologia comunista, ed ognuno di essi va contro l’ideologia capitalista, e sono tutti indicati come elementi da abrogare da parte della moderna versione neoliberale del capitalismo.

Queste sono verità auto-evidenti che non andrò a elaborare ulteriormente.

L’ostinazione occidentale nel rifiutarsi di chiamare “comunismo” quello che è – “comunismo” – è ignoranza o codardia, ma certamente causa confusione, e la confusione ha un prezzo.

Inoltre, ad un certo punto, e stava per succedere già nel 1992, la gente si renderà conto che la caduta dell’Unione Sovietica non ha per nulla costretto all’abbandono di questi specifici e già esistenti programmi di ispirazione comunista in Occidente e nel mondo anglofono. È un ovvio problema socio-culturale che il comunismo non possa neanche essere ammirato per la propria “eredità” nonostante sia ipoteticamente “morto”! (Sono solo ipotesi, ve lo garantiamo…).

Un altro fatto ironico è che nonostante per molti in Occidente sia impensabile rinunciare a molti di questi programmi – lottano addirittura per suoi pallidi facsimile come l’Obamacare – gli Occidentali e specialmente gli anglofoni sembrano non essere in grado di rendersi conto della loro reale paternità comunista. Ed è una famiglia mono-genitoriale….

Ci vorrà il sacrificio di una generazione – specificamente della mia generazione – ma la generazione più giovane afferrerà di nuovo lo stendardo del comunismo. Questo è certo perché tutte le strade conducono a Roma (imperiale).

Forse dipende dal fatto che io sono iraniano, e il 500 A.C. è una presenza diffusa dal punto di vista culturale/psicologico, ma la costante ossessione dell’Ovest con il rifiuto/negazione della storia “antica” semplicemente non è applicabile ai fondamenti della filosofia economica… questa ossessione per l’innovazione è soltanto una chimera quando si tratta di economia. Dico di nuovo, “habeas corpus, intellettualmente” – non si può sostenere sul serio che il capitalismo neoliberale rappresenti un progresso morale/culturale rispetto al socialismo (che ridere, non si può neanche sostenere seriamente che sia un progresso economico), e non si riesce neanche a indicare il nome di una filosofia economica moralmente superiore che sia stata nel frattempo inventata.

In ogni caso, la Grande Recessione alla fine ricorderà all’Occidente che l’umanità può volare col socialismo, o essere schiacciata dal capitalismo, e che non ci sono altre scelte.

La politica è morale, culturale & economica: il fallimento in un campo porta al fallimento negli altri

Non a tutti piace essere “uno orgogliosamente di sinistra” – discutere di politica o di religione è verboten nella cultura irlandese e in quella scoto-irlandese, per esempio. Questo è un fattore molto importante in tutto il mondo anglofono, con la sola eccezione dell’Inghilterra. Gli analisti contemporanei concordano sul fatto che la cultura dominante negli Stati Uniti sia essenzialmente quella scoto-irlandese, ne è così tanto impregnata che essere “Americano” in effetti vuol dire essere ancora e ancora “Scoto-Irlandese”.

Il problema grosso qui è che gli scoto-irlandesi, dopo tutto, erano già imperialisti e colonizzatori in Irlanda (ancora divisa)!

Tutti sanno che i “veri” irlandesi sono cattolici; un irlandese protestante era molto probabilmente un invasore colonialista 13 generazioni fa, e solo raramente un convertito. Ma quanti scoto-irlandesi in America riescono a capire la propria storia…?

Le persone di cultura anglofona pensano che questa “storia antica” non abbia conseguenze culturali nel 2017 – essi non sono solamente ciechi e in errore, ma facilmente confutati: la britannica Theresa May è stata in grado di formare una coalizione solo perché si è alleata con gli estremisti di destra dell’Ulster [in inglese]per ottenere il controllo del governo del Regno Unito e continuare a imporre l’economia neoliberale. Questa è una prova innegabile che la divisione imperialista dell’Irlanda tutt’oggi è uno strumento utilizzato dall’1% per opprimere il 99% nel 2017 all’interno dello stesso mondo anglofono. Non è per nulla “storia antica” ma… come volete, continuate con la vostra negazione e continuate pure a rubare il Giorno di San Patrizio….

Tutti questi errori – la falsa affermazione di essere irlandesi, la negazione del fatto che un’Irlanda divisa non abbia più importanza, la negazione di quelli che sono chiaramente programmi comunisti – mostra che c’è una sorta di tremenda disfunzione nell’anglo-sfera che impedisce loro di discutere argomenti socialmente importanti come l’economia e l’imperialismo, argomenti il cui fondamento ultimo è la moralità. Come sappiamo tutti – gli scoto-irlandesi notoriamente “non parlano di religione o di politica”.

Immagino che sia così in tutti gli stati anglofoni: anche se nessuno di essi è stato reso vittima dell’imperialismo (gli irlandesi parlano, o parlavano, gaelico), e anche se nessuno di essi al momento ha subito l’imposizione di marionette che impediscano la politica democratica. Eppure, incredibilmente non possono discutere questioni economiche/politiche (che sono sempre questioni morali e per molti religiose) senza scaldarsi, e quindi il loro 99% in effetti impone un bando sociale informale su questi argomenti, ovvero sulla realizzazione della moralità economica.

Gli iraniani sono l’opposto, ed è tutto contenuto in una battuta: “Un iraniano gioca da solo. Due iraniani giocano tra di loro. Tre iraniani parlano di politica!”

Non sto cercando di affermare una superiorità culturale: semplicemente noto che queste reali, attuali, tangibili generazioni o due di iraniani adulti sono state capaci di lottare democraticamente precisamente per questo perché tutti quanti si sono riuniti, ne hanno parlato, e hanno deciso di comune accordo.

Lo stesso vale per la Cina: come sono arrivati al punto in cui i suoi cittadini riferiscono che la loro democrazia è divenuta così tanto superiore [in inglese] alla sua versione occidentale? Semplice, è stata guidata da innumerevoli sondaggi, dati e discussioni che hanno prodotto consenso; tutto in questa risposta/volontà del 99% è il cuore del socialismo; il vero totalitarismo serve al capitalismo.

Preso dal link sotto

Finanziariamente, il novantacinque per cento dei poveri cinesi possiede la propria casa e la terra [in inglese] e i cinesi posseggono, in comune, le istituzioni che comandano la loro economia – banche, compagnie assicurative e i servizi pubblici.”

Non si riesce a fare in modo che i poveri della Spazzatura Cinese posseggano il loro carrello, né che i poveri della Spazzatura Iraniana nazionalizzino quasi tutta la propria industria pesante oltre che un’enorme quantità di banche, compagnie assicurative e terreni agricoli senza aver precedentemente e posteriormente fatto UNA GROSSA discussione su ciò che costituisce un’equa divisione.

Non penso che la battuta che vi ho riferito  risalga all’era di Ciro il Grande, cosa che prova il cambiamento culturale, un concetto che io trovo incoraggiante (ma molti francesi bianchi invece assolutamente no, il tassista di oggi sarebbe d’accordo). Ma indubbiamente l’Iran ha avuto molti decenni di monarchia arretrata quando invece altre nazioni erano già moderne e avevano rovesciato le loro più o meno da un secolo (ma non di più).

Il modello anglofono/scoto-irlandese è per certi versi ottimo, ma da altre parti terribilmente antimoderno (cosa che lo rende simile ad altre culture): parlare onestamente e apertamente di questioni socioeconomiche – di religione, politica ed economia – è il solo modo in cui si può attuare un cambiamento sociale duraturo.

Spero che quest’articolo ponga questa semplice ma vitale verità un po’ più in evidenza per le menti dei nostri lettori, perché è per questo che il socialismo continua a crescere oggi.

Oppure, potete essere d’accordo con Varoufakis e credere che lui abbia re-inventato la ruota con il “riciclo politico del surplus”, che le idee marxiste siano morte e sepolte e che la storia umana non solo non importi ma che non si ripeta mai.

Se così, vi prego di mettere fra i preferiti questa pagina per quando avrà luogo la vostra prossima crisi.

Questa piccola ma necessaria deviazione precede l’articolo finale di questa serie di sette, “Recessione forzata come strumento di guerra sociale contro il 99%”. Quell’articolo proverà anche a mostrare l’immutabilità e l’applicabilità internazionale dei concetti economici moderni oltre all’immutabilità delle tattiche antisociali utilizzate dall’1% per negarvi democrazia, uguaglianza economica e sviluppo personale.

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Questo è il sesto di una serie di 7 articoli sull’Eurozona attuale che combinerà alcune delle idee di Varoufakis con i miei 8 anni di esperienza fatta occupandomi direttamente della crisi da Parigi.

Eccovi la lista degli articoli che verranno pubblicati, spero che li troverete utili nella vostra lotta da sinistra!

Recensione del libro di Varoufakis: economista rock star, ma finto politico di sinistra

Perché no il Petroeuro? O la tensione storica della Francia per un’Eurozona anti-austerità

La struttura irrimediabilmente corrotta dell’Eurozona

L’Eurozona: ancora e come sempre pronta al crollo

L’Eurozona è probabilmente nel suo anno finale, contrazione in arrivo

La paura del mondo anglofono di chiamare ‘comunismo’ il comunismo

Recessione forzata come strumento di guerra sociale contro il 99%

Ramin Mazaheri è il capo corrispondente a Parigi di Press TV e ha vissuto in Francia dal 2009. Ha fatto il cronista per vari quotidiani negli Stati Uniti ed ha svolto la sua attività in Iran, Cuba, Egitto, Tunisia, Corea del Sud e in altri paesi. I suoi lavori sono stati pubblicati in svariati giornali, riviste e siti web, oltre che alla radio e in televisione.

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Articolo di Ramin Mazaheri pubblicato il 25/10/2017 su TheSaker.is

Traduzione in italiano a cura di Mario B. per Sakeritalia.it

[Le note in questo formato sono del traduttore]

http://sakeritalia.it/mondo/la-paura-del-mondo-anglofono-di-chiamare-comunismo-il-comunismo/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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