Il Pd lo attacca, e non è una sorpresa. Ma il presidente del Senato deve fronteggiare anche l’insofferenza dei suoi alleati. Qualcuno dice che ha un profilo poco televisivo, altri lo accusano per la nomina di Rossella Muroni. Dietro alle polemiche si nascondono gli scontri sulle liste elettorali
Gli attacchi degli avversari, le incognite di una difficile scommessa politica, adesso persino l’insofferenza degli alleati. Chissà se Pietro Grasso si aspettava tutte queste difficoltà. Da magistrato è stato procuratore nazionale antimafia, da presidente del Senato ha guidato una delle legislature più burrascose della storia repubblicana. Forse pensava di averle viste davvero tutte. Ma da quando è sceso in campo il leader di Liberi e Uguali ha incontrato un ostacolo dopo l’altro. Alle polemiche con il Partito democratico, largamente prevedibili, adesso si aggiunge la crescente impazienza dei suoi. Intanto la campagna elettorale è già entrata nel vivo. Come definire altrimenti l’antipatico scambio di accuse – consegnato via lettera alle pagine di Repubblica – con il tesoriere dem Francesco Bonifazi? Accusato di non aver versato 83.250 euro alle casse del partito che lo ha fatto eleggere in Parlamento, l’ex magistrato è stato costretto a un’infastidita giustificazione. Una vicenda antipatica, nel migliore dei casi, che da giorni lo espone a critiche e malignità. Almeno Matteo Renzi è stato più diretto. Nell’intervista di lunedì sera a Otto e mezzo il segretario Pd ha anticipato quello che sarà il leitmotiv dei prossimi mesi. Per sfilare voti a LeU, il centrosinistra intende appellarsi ossessivamente al voto utile. «Ogni voto che va a Liberi e Uguali – le parole di Renzi – non è che fa scattare il seggio per la Boldrini, va a Salvini». Messaggio più o meno condivisibile, ma destinato a colpire nel segno. È facile pensare che alla lunga la strategia del Nazareno potrà significativamente erodere il consenso conquistato da Grasso.
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