Intervista del blog mcc43 a Mohamed Dihani

Pubblichiamo su gentile concessione dell’autore

Di mcc43

Il 28 aprile 2010 Mohamed Dihani veniva rapito, imprigionato e torturato dai servizi segreti del Marocco, determinati usarlo per infamare la politica dei Saharawi contro l’illegale occupazione del Sahara Occidentale. Il 29 ottobre 2015 è uscito dalla prigione: libero nel modo in cui noi intendiamo la libertà?

Oggi Mohamed è un giovane di 31 anni sul quale pesano le conseguenze fisiche della tortura, che ha già subito un intervento chirurgico e un altro ne attende per poter guarire, che è ogni giorno alle prese con i crimini di cui è vittima il suo popolo e che aspira a riabilitare il suo nome dopo un processo basato su false accuse. 

Mohamed, fatti conoscere, racconta perché parli così bene l’italiano.
Perché ho bruciato una bandiera del Marocco!! Sembra una battuta invece è la verità. Sono cresciuto in una famiglia che si è sempre opposta all’occupazione marocchina della nostra terra e fin da piccolo andavo alle manifestazioni. Nel ’96, avevo dieci anni, mi hanno arrestato la prima volta, poi di nuovo nel 2001 per aver bruciato la bandiera. Avevo anche scritto sui muri slogan contro lo stato e la “sacralità” del re! Troppo giovane per il carcere, mi hanno condannato a una multa, ma ero nel mirino della polizia, così mio padre, il migliore dei padri posso dire con riconoscenza per tutto quello che anche in seguito ha fatto per me, mi ha portato in Italia. Ci sono rimasto dal 2002 al 2008 e lavoravo, mi ero anche fatto la ragazza, così ho imparato discretamente la lingua.

Però il Makhzen, la monarchia e la lobby interna, ha la  memoria lunga e nel 2010 ci sono il rapimento, le torture, le accuse di jhadismo, tutto quello che abbiamo raccontato nell’articolo precedente …
Era solo il principio. Dal centro torture di Tamara, a novembre mi hanno trasferito al carcere di Sale1, dopo sei mesi è scoppiata una rivolta … più di 400 feriti perché gli agenti hanno sparato per 36 ore. Dopo, insieme ad altri, sono stato spostato a Sale2 chiamata la “Guantanamo del Marocco”. Chiaro, no?

Purtroppo è chiaro. Intanto era iniziato il processo.
Sì, il 28 ottobre 2011 sono stato condannato a 10 anni. Stavo aspettando il processo di appello quando, a settembre 2012, ho saputo che sarebbe arrivata una delegazione del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu. Da un prigioniero “di lusso”, uno di quelli ricchi che conservano dei privilegi, con una scusa mi sono fatto prestare un cellulare e ho girato un video sul mio caso, ma  non sono riuscito a consegnarlo ai delegati.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=446&v=xrvS879kDSE

Ci sono voluti 5 mesi per farlo uscire, ma è stato un bene, perché è stato pubblicato il 12 aprile 2013, tre giorni prima del processo di appello!

Nel video racconti anche ciò che era avvenuto prima del tuo arresto, cioè le tue azioni a sostegno di altri attivisti. Sapevi che era pericoloso girare quel video, ma come dici a un certo momento: la lotta del tuo popolo era più importante dei rischi che correva la tua persona. Come hanno reagito le autorità?
Mi hanno subito sbattuto in isolamento! Una cella che era poco più di un buco, per anni ho visto solo la faccia di quattro secondini, non dico altro, ma tu immagina cosa significa non parlare con nessuno, non sapere niente di cosa accade fuori. Per fortuna Amnesty Internationalpresenziava alle udienze e ha pubblicato un rapporto. E’ servito perché mi hanno ridotto la pena a 6 anni.
Poi i miei avvocati hanno contattato il Working Group on Arbitrary Detention dell’Onu, ma voglio dire che molto ha fatto anche mio fratello Ibrahim, che è un attivista, un osservatore di una ong per i diritti umani e conosce bene sia le leggi marocchine che internazionali. Per farla breve: è stato richiesto di rifare il processo e il Marocco ha dovuto accordarlo rapidamente invece della solita attesa di due o tre anni, ma non hanno mai smesso coi tentativi di comprarmi con promesse di soldi, di un pezzo di terra, di aiuti alla mia famiglia, purché accettassi di dichiarare quello che volevano loro. Potrei scrivere un romanzo su quegli anni! 
Finalmente l’1 settembre 2014 c’è stato il nuovo processo e la pena è stata ridotta a 5 anni… Negli ultimi tempi della prigionia mi hanno spostato nel carcere di un’altra città, la stessa dove abita mia sorella così lei mi portava da mangiare perché ero ridotto a uno scheletro …


Una condanna a 5 anni sconfessa automaticamente le accuse  terrificanti, come la pianificazione di attentati in Vaticano, contro le navi da crociera, i Mac Donald… Mi è difficile immaginare che dall’isola d’Elba o qualsiasi altro posto in Italia si potessero avere ambizioni jihadiste così ambiziose….
Dopo la lettura della sentenza ho parlato per 40 minuti, denunciato tutte le falsità e detto che nemmeno le grandi nazioni coalizzate avrebbero potuto realizzare quegli attentati. Gli osservatori internazionali si sono messi a ridere! Il giudice mi interrompeva appena attaccavo a fare i nomi di quelli che mi avevano torturato…
Ma ormai è il passato, quello che mi pesa è che in rete ci sono gli articoli della propaganda marocchina e ogni tanto qualcuno mi manda i link dove si dice che ero capo di una cellula terrorista ecc… Mettiti nei miei panni, dopo tutto quello che mi hanno fatto per cercare di farmi confessare azioni mai fatte, me le trovo scritte come se fossero vere… Vorrei gridare al mondo che è il sistema del Marocco per screditare il Polisario e i Saharawi come popolo  prendendoci di mira uno per uno…

mohamed-dihani-liberato-marocco-saharawiOra pensiamo al giorno bello: il 29 ottobre 2015, le porte della prigione si aprono, sei libero Credo di immaginare la felicità tua e dei tuoi famigliari.
Di tutti! Davanti al carcere c’era una folla perché la mia vittoria contro la Giustizia, che non è giusta per niente, dello stato marocchino è stata una vittoria di tutti i Saharawi. Mi hanno fatto una serata di festa e non ti dico quanti poliziotti intorno alla casa, minacce d’arresto alle persone, sabotaggi. Ci hanno perfino tolto la luce elettrica!

https://www.youtube.com/watch?v=w6xwE52XNyM&feature=youtu.be

Si vede nel video,  una festa tanto allegra quanto commovente, ti hanno sommerso di abbracci, musica, sventolio di bandiere…. Ora parlaci del presente, come vivi?
Faccio molte cose e … aspetto. Aspetto che si realizzi il sogno di andare all’estero per  l’intervento necessario per riprendere la vita normale, senza le precauzioni che devo avere per non peggiorare e senza la paura di quegli attacchi dolorosi che a volte mi costringono al ricovero in ospedale. La prima operazione non è andata bene perchè gli ospedali del Marocco non sono tecnicamente attrezzati per un intervento delicato come quello che devo subire io.
Però il morale è alto perché sono occupatissimo. Prima di tutto amministro Wesatimes, il sito di notizie sui Saharawi, insieme al mio amico Omar  che vive in Italia e altri collaboratori. Avremo presto dei seri problemi perché il Marocco ha emesso una nuova legge con la quale bloccherà i siti che non sono autorizzati. Figurati … già Facebook ogni tanto ci blocca la possibilità di condividere gli articoli nei gruppi… 
In qualche modo ce la faremo perché siamo gente molto attiva, uomini e donne. Teniamo continuamente riunioni politiche e ogni volta per entrare e uscire dalla sala dobbiamo superare uno sbarramento delle forze di polizia. Non s’accontentano di controllare chi c’è, spesso insultano e picchiano anche le donne.


Sì in questo video tu traduci la dichiarazione in 
cui Mariam Elbourhimi, una coraggiosa e tenace attivista, denuncia l’aggressione subita insieme ad altre compagne. 

https://www.youtube.com/watch?v=4ms1oW7LTNk

E’ la nostra vita ogni giorno, ma c’è un aspetto da considerare: noi siamo l’incubo della cricca Makhzen! Fino a quando continuerà a bloccare il referendum sull’indipendenza saremo la sua spina nel fianco. Sai che siamo per la lotta pacifica, però non molliamo. E’ una vita dura la nostra, ma la libertà non te la regala nessuno! 

Attivista Saharawi dopo la prigione: le ferite nel corpo e nell’anima

Di Mohamed Dihani/Omar Zein Bachir

Mohamed Dihani Sono un ragazzo saharawi del laayoune la capitale del Sahara Occidentale. Sono il responsabile generale del sito www.wesatimes.com Piattaforma di informazione sul popolo saharawi in 5 lingue. Attivista lotto per i diritti umani collaboro con l'associazione ASVDH (Associazione Saharawi per le vittime di gravi violazioni dei diritti umani) Omar Zein Bachir ragazzo saharawi dei campi profughi di Tindouf - Algeria. Abito a Modena dove ho studiato Tecnico Informatico aziendale e lavoro all'Avis di Modena. Collaboro con l'associazione Kabara Lagdaf di Modena per far conoscere la questione del Sahara Occidentale. Responsabile del sito in italiano Wesatimes piattaforma di informazione sul popolo saharawi.

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