“Occorre che i siciliani risolvano da soli i loro problemi e decidano se siano più importanti quelle pietre allineate o cento posti di lavoro nella provincia italiana in cui la disoccupazione giovanile è la più alta del paese”, con queste parole il presidente della Fassa Bortolo ha commentato il parere negativo della Sovrintendenza regionale siciliana ai beni archeologici alla realizzazione di un nuovo impianto estrattivo ad Agira, in provincia di Enna, in quanto in quell’area è stato ritrovato un insediamento umano pre-ellenico.

Al di là dell’arroganza di questo padrone delle ferriere – a cui io, da comunista e da amante delle civiltà antiche, vorrei reagire di getto dicendo che la sua fabbrica se la può anche infilare su per il culo – la questione credo meriti di essere affrontata con più calma, perché questa domanda è stata posta molte volte nel nostro paese e lo sarà molte altre volte, magari senza questi toni ultimativi, chiedendoci di scegliere tra sviluppo e conservazione. Spesso è stato preferito salvaguardare quelle “pietre” e questo ha in qualche modo reso più aspro questo conflitto. Anche perché – e questo credo sia doveroso sottolinearlo – troppe volte il divieto di costruire una strada o una fabbrica o qualsiasi nuova infrastruttura in nome della salvaguardia dei beni archeologici e storici non è stato poi seguito da un lavoro serio su quei resti. Va bene che decidiamo di fermare una nuova costruzione perché lì ci sono dei reperti, ma poi occorre trovare le risorse per studiarli e valorizzarli, altrimenti avranno sempre ragione i padroni come Paolo Fassa e quelle persone che legittimamente speravano che quella fabbrica avrebbe portato nuovo lavoro e che vedono frustrate le loro aspettative in nome di qualche pietra che viene lasciata lì e alla fine dimenticata.
Agira è uno dei primi insediamenti umani in Sicilia, quando quella regione non era ancora un’isola ed era attaccata al resto della penisola. Fu scelto da quei popoli antichissimi perché era facilmente difendibile e perché in quei terreni c’erano ricchezze naturali. E per queste stesse ragioni quel luogo è sempre stato abitato, dai ciclopi e dai lestrigoni – come i greci chiamavano quei popoli antichi, che diventarono protagonisti della loro poesia – dai sicani, dai greci, dai romani e poi da tutti quelli che sono venuti dopo di loro. E per questa stessa ricchezza naturale è stato scelto come sito estrattivo dalla Fassa Bortolo.
Agira è anche la città in cui nacque Diodoro Siculo, l’autore di una monumentale storia universale. E, anche attraverso l’opera di questo illustre figlio della Sicilia, sappiamo che nessuno di quei popoli si preoccupò di conservare ciò che avevano fatto quelli che li avevano preceduti, a meno che non servisse loro e, anche in quel caso, modificandolo in maniera sostanziale. Noi siamo i primi a pensare come conservare davvero il patrimonio lasciato da chi ci ha preceduto, lo facciamo spesso male, ma almeno siamo consapevoli che dobbiamo farlo, anche quando non ha un valore artistico, ma solo storico e documentale. Per questo quelle “pietre allineate” sono importanti, perché testimoniano qualcosa che sappiamo già, ossia che in quella terra gli uomini ci sono sempre stati e perché non sono state distrutte o riutilizzate da quelli che sono venuti dopo.
Se però la domanda continua a essere posta in questo modo, come un aut aut tra sviluppo e conservazione, continueremo a dare una riposta sbagliata, perché non si può dare una risposta corretta a una domanda errata. E alla lunga, una domanda così articolata, anche se apparentemente vince la conservazione, la memoria, la cultura – perché la Sovrintendenza ha il potere per fermare quei lavori e il giorno dopo perfino il padrone della fabbrica ha dovuto ridimensionare la propria stizzita dichiarazione – finisce per indebolire la necessità di conservare la memoria, perché il buon senso ci dice che garantire il lavoro a cento famiglie è meglio che tutelare un sito archeologico. Il buon senso ci dice che avevano ragione i sicani quando distrussero le povere case dei ciclopi e dei lestrigoni per costruirne di più solide e sicure e poi che ebbero ragione i greci a distruggere quelle dei sicani e poi i romani e così via tutti gli altri.
La domanda è sbagliata perché non possiamo continuare a considerare la conservazione del patrimonio storico come un elemento che frena lo sviluppo. E credo che su questo dovrebbero fare una seria riflessione molte persone che questo lo fanno di mestiere, dai sovrintendenti agli archeologi, dagli storici agli esperti di restauro. Quell’impianto estrattivo secondo me andava realizzato e proprio lì, ma rispettando dei vincoli precisi. Io sono convinto che una soluzione poteva essere trovata, anche se ovviamente è più facile da una parte dire no e dall’altra prendere cappello e decidere di costruire da un’altra parte.
Si poteva fare lì, perché non sta scritto da nessuna parte che una fabbrica o un sito industriale debba per forza essere brutto. Non è sempre stato così: c’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui c’erano architetti e ingegneri che pensavano a come costruire fabbriche che fossero anche belle. Se abbiamo la pazienza di cercarle, ne possiamo trovare molti esempi nelle nostre città, anche se spesso, proprio perché erano in contesti densamente urbani, sono diventate altre cose. Ovviamente costa di più fare una fabbrica bella che uno “scatolone”, ma se decidi di costruire in un luogo in cui ci sono cose belle – e la Sicilia è senz’altro uno di questi, perché è una terra dalla storia incredibile – ti devi adattare a seguire certi parametri. E’ vero che noi siamo i primi a conservare quello che ci hanno lasciato i nostro progenitori, ma rischiamo di essere anche i primi che non lasciano nulla di bello a quelli che verranno dopo di noi.
Poi si poteva trovare il modo di salvare quelle pietre, ad esempio collocandole da un’altra parte. E’ finito il tempo in cui le pietre degli edifici più antichi venivano usate per costruire quelli nuovi: immagino che la Fassa Bortolo non abbia bisogno di quelle pietre per costruire la propria fabbrica. E’ importante sapere che quelle pietre sono state trovate lì e come erano collocate, ma non è fondamentale vederle in quel luogo. Anche in questo caso occorrevano risorse e persone capaci di spenderle. La Bibliotecha historica di Diodoro è un testo fondamentale per conoscere la storia antica, nonostante il suo autore – che pure millantava di aver fatto moltissimi viaggi in Europa e in Asia – non si sia mai mosso dalle biblioteche, da cui traeva spunto per la sua opera. Tante informazioni di libri più antichi sarebbero andate perdute se non ci fosse stato il lavoro paziente di Diodoro che spesso si limitò a copiarli. Pensate cosa farebbe oggi Diodoro, con le possibilità date dalle tecnologie moderne: basterebbe avere la pazienza e la passione di quello storico.
Per sopravvivere e per non fare la fine dei ciclopi e dei lestrigoni, la nostra società avrebbe bisogno di fabbriche, possibilmente ben costruite, e di scavi archeologici, possibilmente ben fatti. Il fatto che manchino le une e gli altri ci dice chiaramente a cosa siamo destinati.
se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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