Questa è una delle mie storie etimologiche preferite e non vedevo l’ora di trovare un pretesto per raccontarvela. Nel 1825 Stanislas Baudry trasformò un vecchio mulino ad acqua, che si trovava nei sobborghi di Nantes, facendolo azionare da una potente macchina a vapore. Poco dopo l’intraprendente uomo d’affari, che non voleva sprecare tutta l’acqua calda che serviva per far funzionare il mulino, si rese conto che si potevano aprire lì accanto dei bagni pubblici, dove i cittadini di Nantes avrebbero potuto trovare in qualunque giorno e a qualunque ora acqua bollente. Gli affari però non andavano come egli sperava, perché il mulino e i bagni erano troppo lontani dal centro; allora decise di organizzare un servizio di trasporto: acquistò una vettura a cavalli che ogni giorno, a orari regolari, portava gratuitamente i cittadini di Nantes dal centro della città ai suoi bagni di Richebourg. I concittadini di Baudry apprezzarono molto questa vettura, che però non usavano solo per andare ai bagni, ma semplicemente per spostarsi da una parte all’altra della città. Quando era in centro questa vettura era ferma davanti alla cappelleria di un artigiano che si chiamava Omnès, che, giocando con il proprio cognome e le declinazioni del termine latino omnis, aveva fatto realizzare una grande insegna su cui era scritto Omnes omnibus, letteralmente tutto per tutti; e così quando i cittadini di Nantes volevano prendere la vettura di Baudry cominciarono a dire “je vais à l’omnibus”. Baudry, vedendo la situazione, capì che poteva guadagnarci e così, ottenuta l’autorizzazione municipale, istituì il primo servizio di trasporto pubblico della città. Fu un successo, tanto che nel 1828 fondò l’Entreprise générale des omnibus de Paris che, in pochi anni poteva contare già su 89 vetture, 200 impiegati e 800 cavalli. Il figlio di Stanislas aprì analoghe società a Lione e a Bordeaux. Era nato il trasporto pubblico ed era nata la parola bus, forma abbreviata di omnibus, che dall’inglese è arrivata in italiano. Quando incontro Roberto Fico sul bus questa storia gliela voglio proprio raccontare.
Ovviamente a me fa piacere che i nostri rappresentanti utilizzino il trasporto pubblico, così come sono contento che accompagnino i figli a scuola – pubblica naturalmente – che vadano a comprare i comodini all’Ikea, che passino i giorni di vacanza al bagno Miramare, insomma che facciano le cose che facciamo più o meno tutti noi. Naturalmente hanno anche il diritto di non subire la nostra maleducazione, hanno il diritto di non essere importunati per un selfie, e hanno lo stesso diritto alla “non rottura dei coglioni” le persone che lavorano con loro, ad esempio quelle che ne garantiscono la sicurezza.
Ma credo soprattutto che i nostri rappresentanti quando utilizzano i mezzi pubblici abbiano anche un dovere, quello di guardarsi intorno, quello di provare a capire come vivono e di cosa hanno bisogno quelle altre persone che usano quello stesso bus. E’ anche un nostro dovere. Perché anche noi, quasi sempre, appena saliamo sulla carrozza di un treno o sull’autobus bus, prendiamo in mano lo smartphone e il tablet e ci estraiamo dagli altri oppure cominciamo a telefonare e, se siamo educati, parliamo delle nostre faccende a bassa voce, oppure più spesso costringiamo tutti gli altri ad ascoltare le nostre beghe familiari o i nostri problemi al lavoro. Poi arriva la nostra fermata e scendiamo; e gli altri continuano la loro vita.
A me non interessa tanto che mezzi di trasporto usino per andare al lavoro i nostri rappresentanti – anche se preferirei che non ci prendessero per il culo, facendo i “democratici” i primi giorni mostrandoci le loro foto in autobus o in bicicletta, per poi dimenticarsene i giorni successivi – ma credo sia più importante che riescano a capire cosa significa vivere con un solo stipendio e il mutuo o dover accudire i propri genitori anziani o vivere da sola, dovendo mantenere i figli. E per conoscere come vivono le persone non basta andare al lavoro in autobus – anche se aiuta – occorre avere una sensibilità, occorre avere voglia di sapere cosa succede intorno a noi, occorre essere consapevoli. E vi assicuro che è estremamente più difficile fare questo che sottoporsi ogni mattina e ogni sera allo strazio di un regionale di Trenitalia.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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