Esiste l’inferno? Grazie alla scienza possiamo dire che certamente non esiste quel vasto regno sotterraneo, con i suoi fiumi e le sue fonti, di cui ci parla Omero, a cui si poteva accedere da un ingresso misterioso nel paese dei Cimmeri, nella regione del Caucaso. E, con lo stesso rigore, possiamo escludere che esista sotto Gerusalemme un grande pozzo dalla forma a imbuto, digradante fino al centro della terra, di cui pure Dante Alighieri ci ha descritto con dovizia di particolari la topografia.
Anche se la scienza non può darci la stessa incontrovertibile certezza che non esista nessun altro tipo di inferno, personalmente non credo ci sia un luogo del genere, semplicemente perché non esiste un’anima destinata a sopravvivere alla nostra morte. In polvere ritorneremo e l’unica possibilità, per quanto effimera, di resistere dopo la morte è legata alla memoria delle persone che ci hanno voluto bene e alle cose, buone o cattive, che abbiamo fatto; ma anche tutto questo è destinato a scomparire.
Eppure l’inferno esiste. L’inferno sono le fabbriche della Cina in cui vengono costruiti i nostri telefoni, dove lavorano e vivono migliaia di persone, spesso per molti anni, a volte fino alla morte, in cui i lavoratori finiscono per diventare gli ingranaggi, facilmente intercambiabili, di una macchina sempre più complessa. L’inferno sono le case dove le donne sono violate e picchiate dai loro mariti, dai loro padri, dai loro fratelli, fino a essere annullate come persone. L’inferno sono le periferie di tante città in cui i corpi delle bambine e dei bambini diventano merce per ogni genere di traffico. L’inferno sono le ingiustizie, i soprusi, le torture, di cui il potere si serve per tenersi in piedi. L’inferno è Gaza, in quella terra dove comincia il racconto di Dante, la cui terra poverissima è contesa in nome di valori ipocriti e mendaci ed è teatro di uno scontro le cui vittime sono sempre i più deboli. L’inferno sono i consigli di amministrazione delle multinazionali e delle banche che considerano le donne e gli uomini come numeri su un grafico, come statistiche, come oggetti da vendere e da comprare, L’inferno sono le barche dei migranti che nel Mediterraneo ripercorrono le rotte di Odisseo e che, come lui, sono in balia di forze che non possono controllare, ma che alla fine sono destinati a soccombere e sono condannati all’oblio. L’inferno sono le miniere dell’Africa, gli enormi depositi di rifiuti dell’India, i latifondi dell’America latina strappati alle foreste e inquinati dai prodotti della Monsanto, le dighe che sommergono ettari di terreni in tutto il mondo, costringendo alla fuga centinaia di migliaia di famiglia.
L’inferno è questa terra e lo sapevano bene anche Omero e Dante che, pur credendo – forse – all’inferno che stavano descrivendo, quando dovevano raccontare cosa c’era dentro, narravano le guerre, le viltà, le ipocrisie, le ingiustizie, quello che gli uomini facevano agli altri uomini.
Non credere all’inferno di Omero e di Dante, all’inferno che ci raccontano i preti di tutte le religioni, credere solo all’inferno in cui viviamo, ci offre però un vantaggio. Ci spinge a combatterlo inferno, a provare a cambiarlo, a rendere questo mondo un po’ meno crudele e violento di come lo abbiamo trovato. Per lo più non ci riusciamo, quando non contribuiamo noi stessi a costruire questo inferno – succede anche questo – ma almeno ci offre un obiettivo per cui vale la pena vivere.

 

 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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