Il lavoro, e più nello specifico i diritti sul luogo di lavoro sono stati i grandi assenti di questa campagna elettorale. Eppure i recentissimi fatti di cronaca, con la morte di due lavoratori a Livorno in seguito all’esplosione di un serbatoio di carburanti nell’area del porto, a cui si è aggiunto la notte successiva il decesso a Bologna di un operaio rimasto folgorato mentre lavorava alla manutenzione della linea ferroviaria, riportano anche solo per un attimo, all’onor delle cronache, il bilancio di una vera e propria strage silenziosa.

di Adriano Manna

 

Solo dal 1 gennaio 2018 i morti sul lavoro nel nostro paese sono stati 143, 1,6 al giorno. Una carneficina. Numeri impressionanti, che tuttavia rappresentano anche una parziale diminuzione se raffrontati a quelli del 2017, quando dopo anni di inversione di tendenza (dovuta probabilmente al forte calo degli occupati) i morti sul lavoro hanno sfiorato la media di 3 al giorno.

Se poi andiamo a vedere i dati delle denunce complessive arrivate all’Inail nel 2017, comprendenti non solo i casi di decesso ma anche gli infortuni di varia entità sul luogo di lavoro, le cifre raggiungono quelle di una vera e propria guerra interna: 589.495 casi certificati.

Numeri impressionanti, totalmente rimossi dal dibattito politico, che tuttavia hanno delle responsabilità ben precise: l’abbassamento generalizzato dei livelli di sicurezza, la sempre minore formazione professionale. La precarietà, lavorativa e anche psicologica dei lavoratori. In altre parole, la disarticolazione dei tradizionali rapporti di produzione, che ha inaugurato una fase che vede l’allargamento, in quantità e qualità, del conflitto di interessi fra Capitale e Lavoro, in una società dove l’egemonia culturale delle classi dominanti è riuscita ad affermare un senso comune che suggerisce addirittura la rimozione completa del conflitto principale.

L’innovazione tecnologica, con l’aumento della produttività del lavoro che ne consegue, è stata utilizzata dal Capitale non già per alleviare le fatiche del lavoratore, ma per ridurre i costi al produttore.

La stessa evoluzione dei mezzi di produzione ha permesso al Capitale di spostarsi là dove la forza lavoro costa meno, mentre è proprio l’avanzamento della tecnologia nel campo della comunicazione quella che permette di conoscere praticamente in tempo reale dove si trova la forza lavoro più a buon mercato.

L’indebolimento di qualsiasi controparte di massa, con la crisi del sindacato tradizionale e quella delle forze politiche espressione del lavoro organizzato non ha offerto alcun freno o contrappeso a questo processo.

Sarebbe forse il caso, per la sinistra italiana, di cogliere questi strazianti fatti di cronaca per riflettere sulle proprie responsabilità, sui propri errori, tradimenti e sulle proprie mancanze. E sarebbe forse anche opportuno lasciarsi alle spalle quell’atteggiamento snob, con cui si giudica il comportamento elettorale delle classi subalterne del nostro paese, che di fronte ad un disarmamento organizzativo e politico-culturale su cui la stessa sinistra ha pesantissime responsabilità, si rivolgono naturalmente a proposte politiche inneggianti alla guerra tra poveri, o al baratto degli ultimi rimasugli di Welfare diretto con forme assistenziali di supporto al reddito.

http://www.sinistraineuropa.it/approfondimenti/143-morti-sul-lavoro-da-gennaio-2018/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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