Ce la farà l’Italia a diventare socialista, ci si chiedeva un tempo. Poi se sarebbe mai diventata almeno un “paese moderno”. Infine, ci si dovette acconciare all’idea che il nostro era un “paese senza”.

Senza la capacità di costruire una vera comunità, senza il rispetto per la propria storia, senza la volontà di fare i conti con quei capitoli poco onorevoli di quella storia, un paese privo di identità, dunque anche di futuro. E una delle spiegazioni era l’assenza di autentici valori condivisi. Non pochi commentatori hanno almanaccato, con gusto per le sciocche banalizzazioni, che l’Italia è sempre stata divisa, tirando in ballo i Guelfi e i Ghibellini, i Capuleti e i Montecchi per arrivare poi, come se niente fosse, al conflitto fascisti/antifascisti, che con il biennio ’43-45 assumeva il tratto della “guerra civile”.

In occasione del 70° della Liberazione, con un messaggio assai nitido il presidente Mattarella aveva chiarito che non sussisteva alcuna possibilità, storica e politica, di porre sul medesimo piano fascismo e antifascismo, resistenti e oppressori, repubblichini e partigiani. Eppure nel triennio successivo, forse mai come in passato, nuovi e vecchi gruppi della galassia nera hanno mostrato segni via via più consistenti di una presenza nella vita politica che è parsa assai attiva, e producente di risultati sullo stesso piano istituzionale, oltre che su quello sociale, culturale e ideologico. Casa Pound è diventato un interlocutore costante nei talk show televisivi, e suoi esponenti ce li siamo trovati in amministrazioni locali, oltre che candidati a seggi elettorali, in sede locale o nazionale. Tutto ciò mentre questi giovanotti e ex tali, non rinunciavano a manifestare le proprie “idee” aggredendo, minacciando, pestando secondo l’intima, e irriducibile logica del fascismo: la violenza.

Lo “sdoganamento” dei neofascisti, risalente a Bettino Craxi, ha proceduto di pari passo con il venir meno delle autentiche barriere contro il fascismo: i partiti politici di tradizione democratica e antifascista, le scuole di partito, i giornali di partito (e anche quelli di opinione, con sempre meno eccezioni, ovviamente a partire dal manifesto), ma anche la scuola, aziendalizzata, e scempiata da una serie di riforme devastanti sul piano didattico e pericolose su quello sociale e culturale e, last but not least, l’università, che ha progressivamente rinunciato al compito di formare culturalmente cittadini e cittadine, invece che automi pronti per essere buttati e maciullati nel mercato del lavoro.

La crisi dell’antifascismo, denunciata ormai parecchi anni or sono, è la crisi della democrazia, o detto altrimenti lo specchio della post-democrazia. La televisione, le forze politiche, i media hanno abdicato quasi completamente alla loro funzione civica, perdendo di vista quel baricentro indispensabile che è stato, che deve essere, per l’Italia la Resistenza e il suo punto culminante: il XXV Aprile.

Sicché, ad esempio, passa quasi sotto silenzio il fatto, sconcertante, che un’Amministrazione comunale, quella di Todi – un comune tradizionalmente “rosso” finito alla destra con le ultime elezioni – ritiri il patrocinio all’Anpi per la manifestazione che ogni anno si organizza per ravvivare la memoria troppo debole del popolo italiano, precisamente per il XXV Aprile. La motivazione è che non si intende avallare, neppure con un semplice logo del Comune, manifestazioni “di parte”, o “divisive”.

Siamo al rovesciamento bell’e buono. Se il XXV Aprile è “divisivo”, quali sono le date che possono unire il nostro popolo, oggi? E quali saranno mai le icone da issare sui nostri stendardi, se non le immagini dei partigiani che la fotografia, la letteratura, la memorialistica, fuori da ogni retorica meramente celebrativa, ci hanno consegnato? La faccia serafica di “Don Matteo”, nell’omonima seria tv? Se volgiamo lo sguardo verso Todi, e la sua amministrazione, non faticheremo a renderci conto del livello miserando che essa esprime, sul piano culturale, prima che politico. Solo qualche mese fa la stessa amministrazione tentò di imporre una censura preventiva nella biblioteca civica sui libri in cui si affrontano le “questioni di genere”.

Il problema va ben al di là dei piccoli uomini e delle piccole donne che amministrano Todi (con la collaborazione di Casa Pound…). Il problema è la totale disgregazione del senso civico del paese Italia, nella crisi paurosa (mi verrebbe da scrivere irreversibile) della sinistra, antico baluardo della Costituzione e della Resistenza. Non vedo altra via che far rivivere lo spirito del 4 dicembre, di quel referendum che ci fece vedere, finalmente, un “patriottismo della Costituzione”.

http://www.sinistraineuropa.it/approfondimenti/il-25-aprile-sdoganamento-post-democratico/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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