di Fabrizio Poggi

 

Riesce difficile pensare a casualità o pura coincidenza: due giorni prima del 4° anniversario del terroristico attacco ucraino all’aeroporto di Donetsk, il 26 maggio 2014, da molti considerato l’inizio vero e proprio dell’aggressione di Kiev al Donbass, la cosiddetta “commissione internazionale” d’inchiesta, per bocca dei rappresentanti australiano e olandese, ha accusato Mosca dell’abbattimento, sopra il Donbass, del Boeing civile MH17 sulla rotta Amsterdam-Kuala Lumpur, nel luglio 2014. Dopo silenzi, insinuazioni, rifiuti di prendere in considerazione qualsiasi ipotesi che contraddicesse la “tesi” evidentemente stabilita sin dall’inizio, la commissione composta da rappresentanti australiani, belgi, malesi, olandesi e ucraini ha reso pubbliche il 24 maggio scorso le conclusioni ufficiali dell’indagine: il razzo “Buk” che abbatté l’areo civile malese non era ucraino, ma era senz’altro russo.
Immediatamente dopo la sparata australiana, NATO e UE (ma davvero?!) si sono unite all’accusa contro la Russia e il solito Boris Johnson, Ministro degli esteri britannico, ha sentenziato che Mosca deve fornire spiegazioni e non sfuggirà alle proprie responsabilità.
L’ambasciatore russo in Australia, Grigorij Logvinov, definendo la tesi australiana “una sporca provocazione”, ha detto di ritenere che il capo del governo Malcolm Turnbull e Ministro degli esteri Julie Bishop sostengano un’accusa “più che controversa”, esigendo da Mosca un atto di “pentimento”, oltre al risarcimento per i familiari delle 298 vittime. Logvinov ha dichiarato che la cosiddetta “indagine” è stata condotta quasi solamente sulla base di “notizie” ricavate dai social network e da alcune ONG già ampiamente screditate, mentre sin dall’inizio sono state respinte le proposte russe di indagini congiunte: tutto ciò, ha detto, si inserisce nella scia delle accuse mai provate quali il caso Skripal, il “dossier chimico” siriano, i pretesti addotti per gli attacchi a Jugoslavia, Iraq, Libia.  E, comunque, scrive la TASS, Logvinov ha ribadito che Mosca rimane pronta a collaborare all’inchiesta, ricordando l’esempio dell’altro Boeing malese, sulla rotta MH370 Kuala Lumpur-Pechino, scomparso nell’Oceano Indiano nel marzo 2014. E’ significativo, ha detto l’ambasciatore russo, che le indagini sul volo MN370 siano state riaperte, dopo le conclusioni di nuovi esperti che documentano i possibili errori della precedente inchiesta internazionale; mentre non si avanzano dubbi sulla tragedia del MH17 “.

Anche il Ministero della difesa russo ha respinto ogni addebito, ribadendo l’inverosimilità della “tesi” secondo cui un sistema terra-aria russo sarebbe transitato avanti e indietro tra i territori russo e ucraino.

 

E’ il caso di ricordare come, già sin dagli inizi dell’indagine, i tecnici dell’industria “Almaz-Antej”, produttrice del sistema d’arma ritenuto responsabile dell’abbattimento del Boeing malese, abbiano più volte ricordato le ricostruzioni da loro presentate, ribadendo che, secondo i loro studi, nel caso del Boeing MH17, si sarebbe trattato di un razzo da anni non più in servizio alle forze armate russe e invece tuttora in uso tra quelle ucraine. In questo senso, come ignorare che, in quattro anni di “indagini”, ogni altra ipotesi difforme dalle tesi favorevoli a Kiev o a Washington sia stata semplicemente scartata?
Pacata la replica dell’omologo russo, Sergej Lavrov, all’uscita olandese-australiana: già il 25 maggio, ha ribadito la disponibilità di Mosca a partecipare alla commissione d’indagine congiunta, in modo che l’inchiesta sia “equa e trasparente”. “Se gli olandesi hanno deciso di speculare sul tema del Boeing MH17 per qualche obiettivo politico”, ha detto Lavrov, “ciò rimarrà sulla loro coscienza”. Il Ministro russo, da poco confermato nella carica con l’insediamento del nuovo governo Medvedev, ha aggiunto che Mosca ha fornito ai Paesi Bassi “dati dettagliati e molte informazioni fattuali, compresi i dati primari dei radar, rispondendo a tutte le domande della procura olandese”; dati e informazioni che la commissione internazionale ha pressoché completamente ignorato.
Non privo di significato il fatto che, nei periodi più caldi dell’aggressione ucraina al Donbass, le accuse internazionali sulle responsabilità della tragedia si indirizzassero, per la maggior parte, contro le milizie popolari della DNR: dopo esser stato colpito, infatti, il Boeing era poi precipitato nell’area del villaggio di Grabovo, poco sopra Torez, una settantina di km a est di Donetsk. Ora che i media ufficiali, nonostante il proseguimento dell’aggressione di Kiev e le vittime civili che continuano a rimanere sotto le bombe ucraine, tendono a ignorare la sorte del Donbass, molto più comodo addossare ogni responsabilità su Mosca che, nella vulgata NATO e UE, è la diretta responsabile della “invasione del territorio ucraino”.
Non è difficile intravedere la mano di Washington, ufficialmente “neutrale” sulla questione del Boeing, intenta a tenere i microfoni di Amsterdam e Canberra.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cade_la_bufala_skripal_e_la_propaganda_riparte_con_quella_del_boeing_malese_mh17/82_24104/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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