Da 20 mesi non era possibile sentire la voce di Selahattin Demirtas, l’amatissimo leader del partito di sinistra libertaria filocurda HDP, da quando è stato rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Edirne con l’accusa di sostegno all’organizzazione curda armata PKK.

Si definisce un prigioniero politico in questo anomalo primo discorso di un’altrettanto anomala campagna elettorale che sta conducendo da dietro le sbarre. Una telefonata di 10 minuti alla sua famiglia, quella che gli viene concessa un giorno a settimana, che poi è stata diffusa con un video sui social media. Il video comincia con la moglie Başak, che apre la porta di casa sua ai parenti e gli amici accorsi per l’occasione. Poi suona il telefono e il leader curdo comincia subito a parlare. “Per prima cosa voglio mandare il mio affetto e mie ringraziamenti a tutti quelli che mi stanno ascoltando, ovunque essi siano”. Queste sono state le prime parole, a cui è seguita la denuncia della condizione sua e di altri compagni, detenuti senza che un vero processo sia mai iniziato. Una detenzione illegale e fuori legge, dice, frutto di una volontà politica che ha rotto ogni regola del diritto. Un ingiustizia diffusa che si perpetua non solo nei tribunali ma ovunque, dalle università agli ospedali, dalle fabbriche alle strade, dagli uffici statali ai mezzi d’informazione.

Demirtaş prosegue nella descrizione di un paese, la Turchia, diventata la società e l’impero della paura. Un paese bellissimo ma infelice e povero, che nessuno merita.

Ma ciononostante secondo Selahattin Demirtaş, leader di un partito che per quanto massacrato da arresti e destituzioni coatte è ancora in grado di impensierire il Presidente Erdoğan, questo non è il momento di perdere la speranza. Il suo discorso prosegue pieno di parole come pace, uguaglianza, solidarietà, invitando a lavorare insieme mano nella mano per un paese diverso, libero dalle divisioni e dall’isolamento. “Nonostante io mi ritrovi rinchiuso fra queste 4 mura”, dice, ”Io sono ovunque. In una manifestazione, in uno sciopero, in una conferenza. Ci sono migliaia di Demirtaş in questo paese: Demirtaş è un povero, è un disoccupato, è un giovane, è una donna, è un bambino, è un turco, un curdo ,un armeno, Demirtaş è chiunque voglia essere fiducioso e determinato”.

Sono centinaia di migliaia i sostenitori del carismatico leader che sui social hanno seguito, commentato, condiviso la sua telefonata. Ed a breve i turchi potranno anche vederlo in televisione.

Infatti in seguito alle proteste delle opposizioni e le denuce dell’OSCE e della delegazione dell’assemblea parlamentare del consiglio d’Europa,   lo YKS ( la Suprema commissione elettorale)  è stata costretta ad imporre alle tv di stato  una più equa distribuzione della visibilità dei candidati in corsa.  Secondo le statistiche, fino a questo momento il 65% dello spazio televisivo è stato occupato dalla coalizione fra il partito del presidente Erdoğan e gli estremisti di destra;  solo il 22% per il candidato del principale partito di opposizione, il laico e repubblicano CHP, e pochi punti percentuali per gli altri 2 candidati. Zero assoluto per il partito democratico dei popoli (HDP) di Demirtaş. Che invece adesso potrà usufruire come gli altri candidati da quanto disposto dalla suprema corte elettorale, cioè due interventi di 10 minuti. Presto quindi le telecamere della TRT la tv nazionale turca , dovranno attraversare  le porte del carcere di Edirne.