«Elezioni europee: la France Insoumise(1) si permette qualche mossa»: questo è il titolo di un articolo pubblicato su L’Humanité a seguito degli Amfis d’été di FI, organizzato a Marsiglia dal 23 al 26 agosto(2). Delle «mosse» che confermano che l’«insubordinazione» versione Mélenchon si sta spostando sempre più verso la ricerca della «rispettabilità» e la rivendicazione della «responsabilità». Sfortunatamente, questa tendenza può essere vista, tra le altre cose, sulla questione dei migranti.

Invitato agli Amfis d’été per un dibattito sulla questione delle pensioni («madre di tutte le battaglie»), al fianco di Adrien Quatennens (deputato di FI), Christine Marty (membro del Consiglio Scientifico di Attac) e Bernard Borgialli (ferroviere, candidato FI alle elezioni europee), l’NPA ha ovviamente risposto positivamente(3). La nostra compagna Christine Poupin ha insistito, tra le altre cose, sulla necessità di organizzare assieme una risposta collettiva su larga scala ai progetti ultraliberali della start-up Macron, le leggi sulle pensioni, sull’assicurazione contro la disoccupazione, sulla sicurezza, ecc. come l’avevamo difeso durante la contro-riforma della SNCF, iniziando quindi un quadro unitario di sostegno alla lotta delle ferrovie e alla difesa dei servizi pubblici.

Un po’ più d’acqua istituzionale nel vino ribelle (4)

Un approccio che non significa, in alcun modo, la negazione dei disaccordi che esistono tra le organizzazioni. È per questo motivo che non ci siamo mai privati della possibilità di criticare le posizioni di FI e di confrontare pubblicamente le nostre idee, specialmente quando queste riguardavano argomenti dibattuti all’interno della sinistra, che questi siano anticapitalisti o meno.

In questo caso, è chiaro che ciò che alcun* hanno salutato come una «scossa» di FI sulle questioni europee è più come un ulteriore passo nella ricerca di rispettabilità del «movimento ribelle». Una ricerca passata quest’estate, tra l’altro, dall’invito di deputati di destra agli Amfis d’été, in seguito a una singolare presa di posizione di Jean-Luc Mélenchon al culmine del caso Benalla, riportato da Le Monde del 20-21 luglio: «Quando si tratta di proteggere lo Stato e di far rispettare la norma repubblicana, c’è una convergenza con la destra, presumo»(5).

Non è certo una scoperta che Jean-Luc Mélenchon aspira a governare e prova un profondo rispetto per lo Stato, ma palesemente versa sempre più «acqua istituzionale» nel suo «vino ribelle», presumendo una «convergenza» con la destra e i difensori dell’ordine stabilito. Per poi annunciare, inoltre, un’ulteriore inversione di rotta sulla questione della rottura con le istituzioni europee, operando un passo indietro sul «Plan B» (interpretato da alcuni «ribelli», come un abbandono puro e semplice) e tendendo una mano alla «sinistra» del partito socialista incarnato da Emmanuel Maurel – queste due «mosse» essendo evidentemente legate – come espresso da Manuel Bompard: «Un intero gruppo all’interno del PS ha un orientamento sulla questione europea che è vicino al nostro. È sicuro che sarebbero più al loro posto qui che in una lista guidata da Pierre Moscovici»(6).

Siamo ormai lontani dal programma delle elezioni presidenziali («L’UE, la cambiamo o la lasciamo»), dalle dichiarazioni tonanti del settembre 2017 («Il ritorno della schifezza, mai!») e dell’ostilità ai «ribelli» interni al PS (di cui uno dei leader era nientemeno che un certo…Emmanuel Maurel) a proposito dei quali Jean-Luc Mélenchon affermava dopo le elezioni presidenziali «[che]loro hanno rappresentato tutto ciò che i francesi detestano»(7). Ecco le spiegazioni del capofila dei e delle parlamentari di FI: «Siamo ruvidi nella polemica, nella parola, ma abbiamo interesse nel fatto che le cose non vadano più in là di così»(8). E di andare un po’ oltre il 9 settembre dichiarando, sempre all’indirizzo della «sinistra» del PS: «Amici miei, mi mancavate»(9). Perché no? Dopotutto, come diceva l’altro, non sono le banderuole a girare, è il vento…

Accogliere i migranti? «Sì, ma …»

Pronti a rinunciare a una parte essenziale del loro programma (il «Plan B») e al loro rifiuto della «schifezza» per prendere in considerazione l’alleanza con uno dei nemici di ieri e porsi in una maggioranza di governo alternativa, Jean-Luc Mélenchon e FI non si sono permessi alcuna «mossa», d’altra parte, sulla questione dei e delle migranti. Perché pur criticando, a ragione, la politica anti-migranti del governo Macron e denunciando in particolare la legge in materia di asilo-immigrazione, Jean-Luc Mélenchon ha ripetuto più volte questa estate, la sua ostilità alla libertà di movimento e installazione. Ad esempio su BFM-TV il 2 settembre: «Non dico alle persone che sono d’accordo affinché ognuno faccia quello che vuole, vada dove vuole, si stabilisca dove vuole».

E giustifica questa posizione in nome della «responsabilità»: «Nessuno di noi è un gentile sognatore che direbbe “Beh, sì, tutti devono farlo, spostarsi”»(10). È la «ragione» che viene qui convocata («Siamo persone ragionevoli»), mantenendo così il mito che la Francia e l’UE non avrebbero i mezzi per accogliere tutti coloro che, in modo obbligato o per scelta, vorrebbero stabilirsi lì… anche se che non c’è mai stata così tanta ricchezza prodotta e potenzialmente disponibile. L’accoglienza non è una questione di capacità «tecniche», quanto piuttosto di scelte politiche: riduzione dell’orario di lavoro, distribuzione della ricchezza, requisizione di abitazioni vuote… Queste sono misure di buon senso che, lungi dall’essere opposte alle questioni legate alla migrazione, o anche a far parte di un settore diverso da quest’ultimo, si combinano con la richiesta di libertà di movimento e installazione all’interno di un’unica prospettiva globale: una vera condivisione della ricchezza, una politica a favore della maggioranza e non di una piccola minoranza predatoria.

Peggio ancora, per giustificare il suo rifiuto a una vera e propria apertura dei confini, Jean-Luc Mélenchon utilizza l’argomento dell’uso di immigrazione, da parte della borghesia, «per fare pressione sui salari e benefici sociali»(11). Che alcuni datori di lavoro e leader politici strumentalizzino l’immigrazione per rafforzare le logiche dello sfruttamento è innegabile. Ma da qui a dedurre che l’immigrazione sarebbe «organizzata dai trattati di libero commercio»(12) al fine di abbattere i salari e ridurre i guadagni sociali, c’è una bella differenza… tanto grande quanto poi è difficile superarla. Perché non si tratta solo di una confusione tra un effetto di inerzia e una politica organizzata, alla quale torneremo, ma anche della legittimazione dell’idea di una concorrenza de facto tra lavoratori e lavoratrici francesi e stranieri e, quindi, la messa in dubbio che essa sia volontaria o meno, della possibilità di lotte comuni contro i datori di lavoro. Ora, la lotta contro le pressioni dei capitalisti, determinati ad aumentare i loro tassi di profitto a qualsiasi costo, non comporta certamente la messa in discussione, anche indirettamente, dei fenomeni migratori («Dire che [le ondate di immigrazione]possono gravare sui salari e avvantaggiare i datori di lavoro non è un ragionamento del tutto assurdo»)(13), ma solo mettendo in discussione il sistema capitalista stesso e la sua frenetica corsa al profitto. A parità di condizioni, si penserebbe di ascoltare le argomentazioni di alcuni sindacalisti dell’inizio del 20° secolo secondo i quali l’ingresso di donne, meno qualificate degli uomini, nel mercato del lavoro sarebbe stato utilizzate dai padroni per abbassare gli stipendi…

No, i padroni non sono pro-migranti!

Non c’è in realtà alcun legame meccanico tra immigrazione e abbassamento dei salari, come ricorda ad esempio l’economista Anthony Edo, specialista in questioni migratorie, in un intervista al Tribune nel febbraio 2017: «Gli immigrati non sono solo lavoratori, consumano, intraprendono, innovano e quindi partecipano alla creazione di ricchezza ed esercitano, di conseguenza, degli effetti positivi su crescita, salari ed occupazione»(14). Aggiungiamo inoltre, come ha sottolineato Roger Martelli, che in un sistema economico globalizzato come oggi, sono i bassi costi salariali nei paesi «del Sud del mondo» che servono come mezzo principale di pressione per i capitalisti, non la presenza di lavoratori immigrati nelle principali potenze economiche del mondo(15)…

In Francia, l’opportunismo di alcuni settori del padronato nei confronti dei e delle migranti non corrisponde ad un’adesione collettiva della borghesia principio di libertà di movimento e installazione. Sarebbe difficile, altrimenti, comprendere perché Macron e il suo governo, di cui non è necessario dimostrare la fedeltà agli interessi dei ricchi e del Medef(16), sono anche ostili ai e alle migranti, e combattono instancabilmente per scoraggiarli dal viaggiare verso l’Europa in generale, e in Francia in particolar modo… Si tratta ancora una volta di scelte politiche, ed è deplorevole che Jean-Luc Mélenchon e FI abbiano ricorso a una argomentazione che, de facto, implica che l’apertura delle frontiere avrebbe conseguenze negative per lavoratori e lavoratrici «già presenti» sul suolo francese.

L’argomento secondo cui i profitti realizzati dai capitalisti alle spalle dei e delle migranti che riescono a raggiungere i paesi europei può anche essere rovesciato, tanto che alcuni grandi gruppi industriali, e non dei meno importanti, fanno profitto… impedendo ai migranti di raggiungere i paesi europei. Claire Rodier, autrice di un libro di riferimento sulla questione (Xénophobie business : à quoi servent les contrôles migratoires ?) evocava così, nel 2014, il «business della migrazione»(17): «Si pensi ai profitti derivanti dallo sviluppo della tecnologia securitaria nel settore della sorveglianza delle frontiere, ma anche a tutto ciò che emerge nei paesi d’immigrazione dalle legislazioni in materia di accoglienza, alloggio, detenzione ed espulsione delle straniere e degli stranieri. In entrambi i casi, i beneficiari di questa manna sono principalmente società private: industrie d’armamento e aeronautiche, compagnie assicurative, società di sicurezza, fornitori privati di gestione dei visti e un gran numero di operatori coinvolti nell’applicazione delle politiche di migrazione e asilo».

E in gioco ci sono somme di denaro colossali: il mercato per la sicurezza delle frontiere in Europa era pari a 15 miliardi di euro nel 2015 e dovrebbe, secondo alcune stime, raggiungere una cifra superiore ai 29 miliardi di euro per l’anno 2022, a vantaggio di multinazionali come G4S, Thales, Finmeccanica o Siemens… Ecco cosa c’è che non combacia bene con la tesi di un patronato «pro-migranti», anche se questa questione è in realtà secondaria nella discussione di cui ci occupiamo, rispetto alla necessità ricordare costantemente che la Francia e l’Europa hanno ampiamente i mezzi per accogliere i e le migranti, e che quindi la discussione è e rimane politica, non tecnica o economica.

Per un internazionalismo consistente

Si noterà di sfuggita che il secondo asse del discorso di Jean-Luc Mélenchon e FI a proposito dei e delle migranti (che consiste nello spiegare che se dobbiamo accogliere «le persone [che]hanno toccato il sacro terreno della terra della patria» [sic]è anche necessario «assicurare che vivano dignitosamente a casa loro»(18) affinché non abbiano motivo di lasciare il loro paese) rassomiglia di più ad un diversivo «internazionalista» che a un programma politico consistente. Difficile infatti trovare una coerenza tra la volontà dichiarata di «lasciare che i paesi del Sud si sviluppino» (attraverso la denuncia dei trattati di libero scambio) e l’assenza di rivendicazioni tali quali quelle dell’abolizione dei debiti (limitandosi alla loro «ristrutturazione»), dell’espropriazione delle multinazionali francesi che saccheggiano la ricchezza dei paesi africani, dello smantellamento delle basi e delle installazioni militari che assicurano alla Francia un ruolo di «gendarme dell’Africa»; senza neanche parlare dei discorsi entusiastici sulla «Francia, presente in tutti i continenti» o sulla «Francia, secondo territorio marittimo del mondo», situazione che è soprattutto un eredità costantemente aggiornata del colonialismo francese.

E aggiungiamo che la posizione secondo cui sarebbe necessario «creare le condizioni affinché le persone rimangano a casa loro» non è priva di ambiguità, dato che mantiene l’idea che l’obiettivo sia limitare i flussi migratori, o addirittura di «prosciugarli» utilizzando le parole di Djordje Kuzmanovic, consigliere di Jean-Luc Mélenchon e futuro candidato di FI alle elezioni europee(19). Noi preferiamo da parte nostra dire che ci stiamo muovendo verso l’obiettivo di creare le condizioni affinché le migrazioni siano libera e non forzate. E non ci dimentichiamo, inoltre, che secondo tutte le previsioni, una grande maggioranza di rifugiati e rifugiate saranno, in futuro, rifugiati e rifugiate climatici, e che è futile fingere che sia possibile, anche abrogando gli accordi di libero scambio, gettare le basi per un rallentamento globale dei flussi migratori, per quanto il processo di riscaldamento globale è avanzato, quand’anche continuiamo a lottare per combattere il cambiamento climatico.

Chiunque capirà che queste critiche internazionaliste, che si basano su una difesa della libertà di circolazione e di installazione, hanno lo scopo di alimentare la discussione a sinistra e non di aderire alle posizioni dei funzionari della LREM(20) che, dalla fine dell’estate, attaccano il «nazionalismo» di Jean-Luc Mélenchon. Un’offensiva opportunista, patetica e cinica, proveniente da un governo e una maggioranza la cui ossessione anti-migrante, in particolare concretizzata nella legge «asilo-immigrazione», testimonia un allineamento sempre più forte con le correnti ultra-nazionaliste, francesi o europei.

In un momento in cui, in Germania, alcuni pretendono di combattere l’estrema destra creando un movimento il cui unico marcatore è di denunciare l’«ingenuità» della sinistra sulle questioni legate all’immigrazione, e cioè riprendendo il discorso della destra e dell’estrema destra, non si può più tergiversare. Accogliere i e le migranti, TUTTI e TUTTE i e le migranti, senza stabilire una gerarchia tra «rifugiati e rifugiate politici» e «migranti economici». Regolarizzare chi è privo di documenti, tutti e tutte coloro che sono senza documenti, senza operare una selezione tra «chi lavora» e «chi non lavora». Rifiutare di dare il benché minimo spazio ai teorici reazionari della «presa d’aria» o della «concorrenza sleale». Difendere una libertà incondizionata di circolazione e d’installazione, ricordando che non si tratta d’altro che di una questione di scelte politiche e di lotta per una reale redistribuzione della ricchezza.

Delle prospettive alle quali non abbiamo rinunciato e che continueremo, con molti altri e altre, a difendere, all’interno di un’Europa in cui brutti venti stanno soffiando sempre più forte. Proponiamo esattamente, qui e ora, che si costituiscano quei fronti che riuniscono tutte e tutti coloro (e sappiamo che ce ne sono in numero in FI) che si rifiutano di rimanere passivi a fronte dell’impresa di distruzione metodica dell’insieme delle nostre conquiste sociali, contro il sicuro proseguimento dell’offensiva securitaria e repressiva, contro le politiche razziste e la criminalizzazione della solidarietà… e che non intendono aspettare il 2019 per dare uno schiaffo a Macron

https://www.popoffquotidiano.it/2018/09/28/melenchon-leuropa-e-soprattutto-i-migranti/