L'avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, mostra delle foto durante il dibattimento del processo d'appello per la morte di Stefano Cucchi, a Roma 31 ottobre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI
L’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, mostra delle foto durante il dibattimento del processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi, a Roma 31 ottobre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Caso Cucchi: il comandante dei carabinieri pronto a scusarsi ma solo se non si parla più di «violenza di Stato». Altri militari indagati dopo le denunce di Tedesco

Circa mille persone, in gran parte ragazze e ragazzi, hanno accolto con un lungo applauso Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo al centro sociale La Strada a Garbatella, a Roma (qui il servizio di Massimo Lauria per la Tv svizzera), per la proiezione del film su Stefano Cucchi “Sulla mia pelle”, all’indomani della svolta nel processo sulla morte del giovane nel 2009. Seicento persone hanno riempito la sala interna, altrettante almeno erano assiepate fuori. E’ una delle centinaia di iniziative costruite in poche settimane in tutta Italia per condividere la visione del film. Una pratica che i produttori hanno provato a bloccare ma che è inarrestabile, specie il giorno dopo delle rivelazioni processuali.

«All’inizio Fabio ed io eravamo soli, poi non lo siamo stati più – ha detto Cucchi, molto emozionata – ora siamo fiduciosi che chi ha ridotto Stefano in quella maniera pagherà. Tante cose farò fatica a perdonare, ma soprattutto che mio fratello sia stato ignorato da persone che potevano aiutarlo. Mai più diritti umani sacrificabili nel silenzio generale»

«Non è mai accaduto che chi ha partecipato a questi atti abbia poi raccontato la verità. Questa la vera novità. Un fatto nuovo e clamoroso – ha detto Anselmo – per il resto sapevamo già tutto prima del racconto del carabiniere Tedesco. Voglio vedere alla sbarra chi ha dato ordini per stendere un velo su questa vicenda e credo che succederà. Non so che grado abbia, ma penso che la procura lo sappia. Deve pagare come gli esecutori materiali». «Tutto questo è successo proprio con il ministro degli Interni più reazionario – ha detto il presidente dell’Ottavo Municipio di Roma, Amedeo Ciaccheri – non sarebbe mai successo senza il vostro coraggio. Quanto successo cambia la storia di questo Paese. Siamo felici se potremo intitolare una strada a Stefano in questo territorio».

Le scuse del generale che si scusa

Poche ore dopo qualcun altro parlerà di «spiraglio di luce», peccato che si tratti di un generale dei Carabinieri, anzi proprio del capo dell’Arma che offre le scuse alla famiglia in cambio, però, che non si parli pù di «violenza di stato». Giovanni Nistri parla dai microfoni di Radio Capital, del gruppo Repubblica. «Forse si è aperto uno spiraglio di luce: mi sembra che sia la prima volta che un militare di quelli presenti quella sera ha riferito la sua verità, che ora dovrà passare al vaglio dell’autorità giudiziaria, ma noi siamo al fianco dell’autorità giudiziaria, perché è ora che siano accertate tutte le cause e le dinamiche di quanto successe quella sera». «Quei carabinieri sono stati sospesi e nel momento in cui saranno accertate le responsabilità, l’Arma prenderà le decisioni che le competono», fino alla «destituzione: non vogliamo guarderemo in faccia a nessuno». Nistri sottolinea però che parlare di «violenza di Stato è una sintesi giornalistica, ma non si tratta di una violenza dello Stato ma di alcuni appartenenti dello Stato: lo Stato non può essere chiamato come responsabile della irresponsabilità di qualcuno».

In realtà in questa vicenda s’è parlato spesso delle pressioni di Viale Romania, a partire dall’anatema del ministro La Russa, indimenticabile statista alla Difesa nel secondo governo Berlusconi. Disse, poche ore dopo la morte, che i carabinieri non c’entravano e i due pm si concentrarono solo sull’operato delle guardie penitenziarie e su quello di medici e infermieri del repartino penitenziario del Pertini costruendo un costoso e inutile castello. Anche la cosiddetta indagine interna sembra, dai racconti di chi c’era fatti in tribunale, un’operazione molto istiuzionale in una struttura iperpiramidale e rigida come quella della Benemerita: il carabiniere Bazzicalupo ha riferito che molti o quasi tutti i colleghi coinvolti insieme a lui nell’arresto di Stefano Cucchi sono stati convocati tutti insieme, pochi giorni dopo la sua morte, dai suoi superiori, alla presenza del comandante provinciale oggi Generale Tommasone. Ci sarebbe stata una discussione collegiale per ricostruire gli avvenimenti. Poi ha parlato di falso in un atto che venne redatto all’epoca dei fatti. «Chi ha ordinato insabbiamenti e depistaggi dovrà venire fuori», ripete Anselmo a Popoff.

Altri carabinieri indagati

Infatti si annunciano altri carabinieri indagati, perquisizioni e la deposizione in aula, entro gennaio, del vice brigadiere Francesco Tedesco, già imputato per omicidio preterintenzionale ma anche accusatore di altri due militari per il pestaggio di Stefano Cucchi. Dopo le dichiarazioni a verbale di Tedesco, che punta il dito sui due coimputati Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, altri mattoni del presunto muro di silenzio cominciano a cadere spianando la strada a nuovi sviluppi sulla morte del geometra morto nel 2009. Le indagini punteranno a capire chi intralciò la verità, cercando di fare luce sulla catena di minacce, omissioni e atti falsificati, almeno stando al racconto di Tedesco e di altri militari. Il nuovo filone di inchiesta sarebbe composto da due fascicoli: uno per falso ideologico e l’altro per soppressione di documento pubblico. Così finiscono indagati i carabinieri che ebbero a che fare con le notazioni sullo stato di salute di Cucchi e col suo fotosegnalamento. Tra loro Francesco Di Sano, in servizio alla stazione di Tor Sapienza che ebbe in custodia Cucchi, e il luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stessa caserma dove Cucchi arrivò dopo essere stato picchiato durante il fotosegnalamento. Colombo sarà interrogato la prossima settimana ed è già stato sottoposto a perquisizione: l’atto istruttorio puntava ad individuare eventuali comunicazioni sulla vicenda tra lui e i suoi superiori dell’epoca.

La posizione dei due indagati si è aggravata dopo le dichiarazioni di Tedesco, che nel verbale punta il dito su una serie di omissioni e atti falsificati sui quali la Procura ha attivato verifiche. Sotto la lente degli inquirenti ci sono infatti gli interlocutori del comandante della stazione Appia, il maresciallo Roberto Mandolini, imputato per falso e calunnia. In particolare l’interlocutore di una telefonata che avvenne alla presenza di Tedesco nella quale il maresciallo Mandolini chiede di modificare le annotazioni redatte dai militari in servizio presso la stazione di Tor Sapienza nella notte del 16 ottobre 2009, quando fu fermato Cucchi. Atti che in effetti furono cambiati togliendo dettagli sulle condizioni di salute di Stefano. Ad ammettere che fossero state modificate era stato lo stesso Di Sano in aula, precisando che si era trattato di «un ordine gerarchico». Su una delle annotazioni modificate è apposta la firma del piantone Gianluca Colicchio, che subentrò nella custodia di Cucchi a Di Sano, anche lui autore di un’ulteriore annotazione alterata. Entrambi sono coinvolti nell’inchiesta. L’ipotesi è che quelle modifiche fossero state richieste per coprire il presunto pestaggio e creare una nuova versione sulle condizioni di Cucchi dopo l’arresto. Annotazioni da fornire poi alla catena gerarchica nell’ambito di un’indagine interna. La lente dei magistrati è anche sugli atti del fotosegnalamento che risultano modificati: dal registro fu cancellato con il bianchetto il nome di Cucchi. Le indagini ora puntano anche a capire se e fino a quale livello viene coinvolta la scala gerarchica in questa vicenda di falsi documenti e omissioni. In questo senso gli accertamenti proseguono anche per capire chi partecipò ad una riunione sul caso Cucchi, dopo la morte del giovane, convocata «da un Alto ufficiale dell’Arma», secondo il racconto di Tedesco. «Diversi militari furono chiamati a rapporto – dice Tedesco nel verbale – nell’ambito di un’indagine interna, io non fui convocato». Tedesco sarà ascoltato in aula a breve. «Ribadirà tutte le accuse», dice il suo avvocato Eugenio Pini. Il muro sta venendo giù.

Tedesco, da imputato a grande accusatore

«Sono rinato – dichiara intanto Francesco Tedesco – ora non mi interessa nulla se sarò condannato o destituito dall’Arma: ho fatto il mio dovere; quello che volevo fare fin dall’inizio e che mi è stato impedito». Da imputato a «grande accusatore». Il velo di Maya dell’omertà su quanto accaduto nella caserma Casilina ha preso a squarciarsi il 20 giugno scorso dopo che Tedesco ha presentato una denuncia contro ignoti. In tre interrogatori, tutti inizialmente secretati dalla Procura e avvenuti negli uffici di piazzale Clodio tra giugno e ottobre, il militare dell’Arma ha ricostruito quanto avvenuto quella notte di ottobre del 2009. Tedesco ha accusato Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, coimputati, di essere stati gli autori del pestaggio di Stefano. Autori di «un’azione combinata», calci anche quando Cucchi era già a terra. Entro gennaio sarà ascoltato in aula. «Confermerò tutto», ha fatto sapere tramite il suo avvocato Eugenio Pini. Dal canto suo Ilaria Cucchi, invitata ufficialmente ieri dal ministro Matteo Salvini al Viminale, chiede prima le vengano presentate le scuse. «Il giorno in cui il ministro dell’Interno chiederà scusa – ha dichiarato oggi la sorella di Cucchi – a me, alla mia famiglia e a Stefano allora potrò pensare di andarci, prima di allora non credo proprio».

Cucchi, le quasi scuse del capo dei carabinieri

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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