Lo scorso 16 ottobre il Comune di Roma ha lanciato una call – si tratta di un termine moderno per indicare un avviso pubblico – rivolto agli artisti di strada che si vorranno esibire durante il periodo delle feste a piazza Navona, da molti anni il “cuore” del Natale nell’Urbe. L’iniziativa – al di là del nome inutilmente stupido – ha un suo valore: ossia dare un qualche ordine a qualcosa che in genere non ce l’ha. E che è bello proprio perché è senza ordine, è per definizione fuori dagli spazi e a suo modo anarchico, anzi che dovrebbe essere sempre senza ordine, ma sappiamo bene che in una realtà complessa come una grande città anche questo aspetto deve avere una qualche regola. Il Comune ha individuato le fasce orarie e soprattutto alcune limitazioni affinché ci sia una rotazione degli artisti durante il mese di dicembre, fino al giorno della befana. Tutto bene, se non fosse per un piccolo particolare: gli artisti che si esibiranno non saranno pagati.
La presentazione della call recita: “Con la scenografia insuperabile della Fontana dei Quattro Fiumi e della storica Piazza, immersi nell’atmosfera magica del Natale, gli Artisti di Strada contribuiranno a regalare ai romani e non un momento di condivisione e di festa.”

Al di là della retorica da ufficio turistico, vediamo di esaminare queste poche righe. Bernini ha fatto la fontana e Borromini la chiesa di sant’Agnese con i soldi di Innocenzo X Pamphili, la magica atmosfera natalizia non è un’invenzione del Comune di Roma: se gli artisti letteralmente regalano ai romani e non dei momenti di condivisione e di festa, l’amministrazione di suo cosa ci mette? Quando sulla pagina Facebook di Roma Capitale un artista ha chiesto, immagino con un filo di ironia, informazioni sui compensi previsti, Roma capitale in persona ha risposto: “compensi?”, stupendosi di tale inopportuna domanda. Leggiamo nell’avviso – pardon nella call – che l’artista può ricevere offerte dal pubblico, ma che non può chiederle: il cappello sarà messo lì, come per caso, come caduto all’artista, lasciato al buon cuore dei passanti, romani e non.
Al di là dell’episodio in sé – peraltro reso grottesco dal fatto che mentre il Comune fa questo bando il Municipio I, guidato dal pd, ha vietato che gli artisti si esibiscano in strada – il problema vero è che in questo paese chi fa l’artista non è considerato uno che lavora e quindi uno che deve essere pagato per il suo lavoro.
Quando mettiamo un euro nel cappello di un artista la cui esibizione ci è piaciuta, non gli stiamo facendo l’elemosina, ma lo stiamo pagando per quello che ha fatto, e quello che ha fatto non è solo la canzone o la giocoleria o qualunque altra cosa abbia fatto lì, davanti a noi, in quei pochi minuti, ma il tempo che ha impiegato a studiare per potersi esibire, il tempo che gli è servito per pensare quel numero, il tempo che gli è stato necessario per provarlo e riprovarlo, ossia tutto quello che noi non vediamo, ma che c’è, anzi che c’è tanto di più quanto più l’artista è bravo. Allo stesso modo quando andiamo a teatro il nostro biglietto non paga la serata degli attori e dei tecnici, ma il loro lavoro e quello dell’autore, del regista, di tanti altri che non sappiamo, durato magari anni, per giungere a quello spettacolo. La differenza è che il biglietto di uno spettacolo teatrale ha un costo definito, che dobbiamo pagare prima, mentre in strada siamo noi, alla fine dell’esibizione, a decidere se e cosa vogliamo pagare.
L’artista di strada si assoggetta in qualche modo alla nostra avarizia, al nostro cattivo umore, alla nostra rabbia momentanea. Rischia e spesso quando riesce a farci spendere un maledetto euro è proprio perché è bravo. L’artista di strada ovviamente sa che questo è il rischio del mestiere che si è scelto, sa qual è il suo ruolo, ma anche noi dobbiamo sapere qual è il nostro ruolo di pubblico. E lo devono sapere la società e le istituzioni che la rappresentano. Se invitiamo un artista a esibirsi in uno spazio pubblico, perché pensiamo, giustamente, che quell’esibizione offra qualcosa in più a tutta la comunità, allora dobbiamo pagarlo, perché sta lavorando per noi.
In Italia pensiamo invece che si debba arrangiare, confidando nell’elemosina che raccoglierà con il suo cappello. Perché in fondo, se stanno in strada, vuol dire che sono dei pezzenti. Fortunatamente negli altri paesi del mondo l’arte di strada ha considerazione e dignità. L’artista che si esibisce in strada ha scelto quello spazio perché è quello in cui meglio riesce a esprimere la propria arte. E il pubblico sa che quando incontra un artista lungo le strade della propria città è qualcuno che sta lavorando. Poi può piacergli quello che fa o non piacergli, esattamente come succede quando va a teatro o al cinema o a un concerto. E soprattutto sa che quel lavoro merita un compenso.
Il problema in questo paese non è che manchino gli artisti – forse ce ne sono perfino troppi – mancano le persone che sappiano fare il pubblico. Imparare a fare il pubblico dovrebbe diventare una materia di studio.

 

 

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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