di  Tracce

Effemèride, anticamente Libro in cui si registravano gli atti del re giorno per giorno, diario, cronaca, brogliaccio, note dell’inaugurazione insediamento del/i re di Macro Asilo 2018-19 in Roma. Fiutati e amplificati dai maggiori quotidiani, le riviste di settore, molti gli estensori che riempiono i cartacei e quelli on line o solo on line con penne allineate quanto basta, nel consenso, dato l’imprimatur di un vicesindaco corredato di assessorato alla crescita culturale, e qualcuna intinta nell’aceto; non è dato capire se questo aceto è una sorta di scelta o è nel dna o dipende da un particolare corso formativo specialistico o solo un modo per distinguersi, emergere. Notatemi, si erge la penna, io non rientro nel gregge da recinto, io non faccio bee, io non mi uniformo, io sono fuori dal coro e, pertanto, io mi pongo bene in mostra.

Strabiliante novità nel mondo dell’arte, al giorno d’oggi c’è qualcuno che non conosce Michelangelo Pistoletto, ne storpia con volgarità il nome, scrive a chiare lettere che non è nessuno. Subito dopo, però, con precisione parla del come e del perché non dice nulla di nuovo (sempre riferito a Pistoletto) e trascura gli inizi e quella famosa sfera di giornali che egli spingeva avanti a sé negli anni di Torino, sceso dalla sua cabrio rossa, se il ricordo è esatto nel 1967 – e che, a dispetto dell’ignoranza sia nel senso di ignorare per mancanza di conoscenza che nell’intento di non considerazione da parte della signora poiché è una penna femminile a  esprimersi, è entrata nella storia a forza di rotolare in ogni parte del mondo, giungendo fino a Cold Spring e ribattezzata walking sculpture. Forse sarebbe giusto ricordare anche il gruppo Lo zoo. Il tempo non manca e la conoscenza. Dopotutto. Innanzi tutto. E’ storia. Una storia in evoluzione poiché Michelangelo Pistoletto non è un artista cristallizzato.

Un’altra considerazione riguarda la rimasticazione, tutto già visto, già fatto, pensato. Ne consegue, sempre ad avviso della signora, un appiattimento totale del progetto Macro Asilo. E’ troppo presto per sentenziare. Meglio e più saggio andare in giro, assaggiare e saggiare, nel corso di questo esperimento che durerà fino a dicembre 2019; prendere dimestichezza con il labirinto di sale che si inseguono e si compenetrano, alcune con il simbolo # davanti alla denominazione. Occorre molta determinazione per riuscire a venirne a capo, tra laboratori atelier – una miriade – forum, sala incontri, sala lettura, stanza nera, project room, auditorium, palco, quadreria, sala parole, sala cinema, libreria, caffetteria, terrazza, atrio via Nizza, ingresso via Reggio Emilia, occorre una bella resistenza fisica, ma ascensori per pigri e affranti o voli col Tappeto Volante, scarpe prego all’esterno.

Questa scatola magica piena di specchi di artista ti strizza l’occhio facendo girare la testa. Colori e palloncini, parole, molte, video che si annunciano quotidiani su maxi schermo, performance, video-art. Questa è stata la serata del 30 settembre: una fiera dell’arte. Pubblico a oltranza, carrozzine con neonati, artisti innocenti con la I maiuscola, una festa coi fiocchi e fisica full immersion. Occhi sgranati, orecchie dilatate, lingue ben lubrificate in movimento.

Confusione totale, una signora che appoggia la borsa su una scatola facente parte dell’istallazione, per cercare il telefono, digitare, parlare, ascoltare, e muovere nel contempo una mano distrattamente e spostare la scatola che sta in equilibrio su altre scatole, con pregiudizio del baricentro; altri che scrivono su una lavagna ritenendo, di essere giustificati nell’esperimento del partecipare, altri che dipingono in un’altra stanza atelier, vuota momentaneamente di artista, e utilizzano i suoi colori e le sue tele privati.

Rimproveri sussurrati discretamente ai custodi perché lo hanno consentito e perentorie raccomandazioni a fior di labbra affinché non si ripeta mai più.

Perché no. Una zona, nei molti spazi non utilizzati nel Macro, questo è un consiglio, non una critica, una stanza a chi è stato marchiato artista per un giorno da Mario Cuppone, all’ingresso, potrebbe/dovrebbe essere a disposizione in permanenza per dare Asilo a chi si sente chiamato in causa. Se no dove va a finire la progettanda comunicazione del museo ai visitatori, c’è molta carta per tappezzare le pareti, tanto cartone, prima di riciclarlo, risultato di scatole e contenitori o come dice Francesco Di Giovanni “scatoli”. Stuff. Perché no?  Anche se il Curatore ha in mente selezionati artisti professionisti progettati non solo per un giorno e autodefinitisi tali: l’invito è rivolto a chi esercita il mestiere di vivere artista. Ma. Se si pensa un nuovo modo di “assemblare” il pubblico con l’istituzione e sperimentare nel corso dell’anno come renderlo partecipativo, il mezzo, lo strumento ha come fine anche il diletto e il dilettante. In caso contrario si rischia il dialogo tra sordi e solo tra iniziati.

Questa è stata la giostra iniziale, bella e divertente e accattivante. Promesse di innovazione, sarà performance, sarà videoart, sarà installazione, sarà chi sa. Immagini che si sgranano e si deformano, frammenti tagliuzzati e suoni che si rincorrono su schermi e maxischermo, tocchi di note emanati da un pianoforte che svaniscono nell’interesse di una due tre file di appassionati prima di essere soffocati dal clamore risonante di un viavai continuato e vociante. Su e giù per le nuove scale. Gli ascensori, fino alla terrazza.

 

 

Sulle critiche che insistono, architettonicamente parlando, su Macro-Asilo, ci sarà modo di insistere. Un esperimento può e deve essere discusso e messo alla prova. Che esperimento sarebbe, è, se si pone subito senza mezzi termini in posizione di indiscutibilità.

Un vantaggio è palese : per prima cosa, la possibilità di fruire per un periodo prolungato di tempo dal 1 ottobre 2018 al 31 dicembre 2019 – salvo errori ed omissioni – di un museo senza biglietto di ingresso è un fattore di pregio. Inusitato.

Secondo, toccare gli Intangibili, ammantati di autorità e di privilegi e come se la mantengono distaccata dal comune genere respirante quella situazione privilegiata di rispetto la Tribù di Esperti, Docenti universitari o delle varie accademie di Belle Arti, Giornalisti, Scrittori, Musicisti, Specialisti, Specializzati, Specializzandi, al sicuro nel sacro Recinto riservato agli eletti: consanguinei, amici, studenti i cui genitori per lo più si svenano a pagare salate tasse universitarie. La complicità che unisce il DOCENTE allo studente o presunto acquisibile studente, la si respira. Il perfetto sconosciuto viene accolto con riserva, lo si può far attendere, fuori dalla linea di demarcazione territoriale. In bilico tra qui e lì, in una zona tempo-spazio; si può rimandare il turno, addirittura dopo un’attesa prolungata, lo si annulla perché, ubi maior minor cessat, c’è la RAI – Cultura e Media Live, partner del Progetto. Oppure, in un’altra stanza e ce ne sono molte, la conversazione coinvolge ma. Punto fermo. Fino a un certo Punto. Stanza delle Parole, Dizionario, Estetica del Rumore. Assaggiato, esperito e documentato.

 

Nota: viene in mente homo sacer, rivisitato in una personalissima accezione uccidibile e sacrificabile che se ne ride dell’accezione scientifica (se la memoria non inganna uccidibile da chiunque ma insacrificabile) e degli studiosi eminenti e degli studi, delle pubblicazioni dei convegni, delle letture in università eccelse, si lasci posto al giuoco homo sacer che in contraddizione col diritto romano e altro può essere ucciso, fatto scomparire e magari offerto come sacrificale. Ah che soddisfazione. Per mettere tutti, molti, in fila, una interminabile processione di homo sacer, al singolare.

Bien sur : si le space est à /\/ous pourquoi  – vale la pena ripetere – meravigliarsi e criticare l’utilizzo improprio, meglio sarebbe definirlo appropriato in concordanza con la definizione di asilo. Macro Asilo. Se l’intento è quello di dare facoltà di collaborare alla mutazione dell’idea museo, perché trovare scorretto che qualcuno abbia agito in una stanza aperta e corredata di pennelli e tele, in conformità ?  Che poi il suo prodotto artistico per un giorno, sia artistico per sempre rientra o dovrebbe rientrare nel giuoco. Al posto di Michelangelo Pistoletto, oltre all’Auditorium, nel quale purtroppo non era facile trovare posto ed è rimasto solo il conforto di fotografare il suo spirito quando tutto era concluso, al posto di Michelangelo Pistoletto, un giro in incognito… Improbabile?

Una volta deposto il cappello, indossati un paio di occhiali e con una scusa qualsiasi eclissatosi, se fosse stato lui, proprio lui Pistoletto in quella stanza a lasciare un segno nello spirito dell’Asilo? In barba alla mancata sorveglianza? E all’isufficienza di comunicazione.

Lo stesso vale per le cassettiere che occupano una parete della quadreria dai più inteso come un servizio da asporto libri cataloghi sinossi documentazione stampa e come tale fruito. E l’autocandidatura mappatura dell’artista e degli spazi fino al 6 ottobre? Difficile da spiegare e recepire. Chi dove e come può proporsi? E’ artista chi ha il bollo impresso  “Accademia di Belle Arti” et similia? Conservatorio? o anche quello marchiato all’ ingresso da Mauro Cuppone, con segno rosso fuoco destinato a scolorarsi sotto la doccia, per chi è uso a farla e/o ad essere coccolato previa pezza impermeabile sopra – qualcuno l’intento l’ha espresso – nell’euforia del momento. La questione non è retorica se lo spazio è /Vostro. Calma prego. Non è un paradosso.

Non tutti sono in grado di afferrare l’esatto pensiero del Curatore circa il procedimento seguito per immaginare come rivoluzionare concretizzare comunicare rendere partecipativo questo Macro Asilo. Certo se il pensiero fin qui esplicitato è in corso d’opera, non resta che attendere

Per tornare all’autocandidatura, un tavolino con dei moduli di liberatoria da riempire, dove fa bella mostra a volte una macchina fotografica designa la postazione del preposto a immortalare gli aspiranti con il debole per quelli belli e giovani. Comprensibile. Meno, l’autovalutazione del suo ruolo: sta lì perché è il prescelto, perché è bravo. Divertenti siparietti con aspiranti fotografe o attrici in cerca di ruolo e autodefinitesi tali, spesso anelanti un-il book. Normale scambio di indirizzi. Il personaggio, aitante con un berretto da baseball, saltella qua e là e occorre andarlo a cercare e se sei una bella ragazza accorre altrimenti continua la sua conversazione e pare ti faccia una concessione lui, il prescelto dalla direzione per quel compito perché bravo. Ci mancherebbe. Poi magari si scioglie un po’. Un pochino. Un cincino. Sceglie un posto, una situazione, no lì no perché stanno montando il palco, poco prima c’è andato con altra persona, ma sono quasi le 20.00 e forse è stanco, il foyer è enorme e il palco in questione dista sei metri. Restiamo qui. Dica il nome e quello che fa. Tale quale nei film americani in caso di arresto. Il nome va bene. Chi sa come ci resta se l’interessato risponde che fa la statuina davanti ad uno famoso e bravo che scatta clic clic, che poi gli piace come la statuina muove le mani e fa qualche scatto in più con un minimo di interesse che appanna l’aria annoiata. Così va il mondo. Avanti un altro. Ce ne sarebbero molte da raccontare, ma il ritmo della pubblicazione Brogliaccio non è regolare e non è aggiornato quotidianamente. Così quel pomeriggiosera, a parte gli innocenti con la I maiuscola che esibiscono in testa la città di Roma e il cui esponente principe si concede un poco stralunato molto e soprattutto ad amici e alla RAI (perdonabile), la foto è dedicata al più anonimo degli Innocenti

e a Francesco Di Giovanni che ancora si stupisce che qualcuno si stupisca della sua, (ironica) delocalizzazione del museo e della fatica che comporta per il performer, ma può e deve restare negli occhi l’accensione di Io sono Giordano Bruno di Ria Lussi, che merita molto più di un breve accenno.

 

 

 

Brogliaccio  = poche critiche. Ma in Italia la critica è d’obbligo per naturale predisposizione, perché a parlare siamo tutti buoni e la rete lo consente.                                                                                                                  Una volta presa la decisione, si dà il via: solo distinguo selezionati e pensati e digeriti nella maniera più concreta e biologica possibile nel corso di una settimana, di un mese, chi sa, senza cadenza regolare come si usa nei blog e nelle pagine per non assoggettarsi ad obblighi di legge. Note, fogli sparsi di quelli bucherellati in cima strappati a un notes, a un taccuino, una cosa del tipo. La macchina, la sfera, e il circo al seguito al via, andiamo a incominciare qui vedrete le cose meno viste udrete suoni poco sentiti, le quasi meraviglie delle meraviglie. Per prima cosa diamo a tutti quanti una visione d’insieme, un orecchio a commenti quali l’arciabusato utilizzato LASCIAMOLI LAVORARE, orribile  MAIUSCOLETTATO condannato ad oltranza dai cruschettari. Domanda: non sono più appropriate le maiuscole degli urli sovrapposti negli approfondimenti dovunque effettuati? Qui, all’Asilo, nei dopo lectio, conversazioni, autoritratti gli urli non ci sono. Per mancanza di sgarbi. Scarsità di pubblico. (Al momento, con l’eccezione della lectio di Michelangelo Pistoletto). Avviene, nel prosieguo una conversazione di pregio da caffè Greco, Rosati, Baretto, Quadri, Aragno, Caffé delle Giubbe Rosse quelli vecchi o che non esistono più salvo errore od omissione. Oppure revival appassionato degli anni dal 68 al 77 da parte di Carlo Infante per la riedizione del testo di Maurizio Calvesi, Avanguardie di massa. Indiani metropolitani in una Roma viva centro di idee.

Se nel dibattito dopo lectio qualcuno cerca di intrufolarsi, il microfono passa ma poi si ferma nell’ambito aristocratico delle prime file. E alla fine la conversazione termina con una passeggiata proposta per il museo fra il relatore il curatore e gli iniziati. o si va a far visita e numero ai colleghi degli altri hashtagspazi. La coperta è stretta, come si usa dire.

La fine con dedica all’artista che molti romani conoscono perché espone le sue opere sotto il cielo di Roma: Stefano Delle Chiaie. Un richiamo a chi si avvicina al percorso circolare che si snoda nel foyer formato da basi che sostengono gli oggetti, qui sottotono ma irrispettosi e quotidiani in Piazza Augusto Imperatore sul parapetto che sostiene la cancellata. Due o tre parole giungono all’orecchio e si fanno strada prima di comprendere che la voce appartiene a un garbato signore, in abito scuro, bel viso sereno e barba bianca, occhi chiari e un sorriso ironico. Per una settimana ha asilo al Macro Asilo, al chiuso. Meritevole della sua bella conferenza stampa presentato da quattro persone autorevoli. Ha trascorso così tutta la vita, costruendo le sue opere, esponendole nel centro storico di Roma che raggiunge ogni giorno, da Sgurgola tramite treno. Quello è l’artista, soggiunge, mostrando la copertina di un libro che lo ritrae. E ancora: il libro è in libreria, lo può trovare lì. Una indicazione, nient’altro.

La cartina al tornasole del Brogliaccio, oggi, finisce qui. Prossimo appuntamento per tentare di riunire le note di un mese, a fine ottobre. Che la crescita culturale continui.

 

 

Di Tracce

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