Diciamoci la verità: se era per quel codardo di Adamo noi saremmo ancora nudi nell’eden, a girare in tondo e a guardare l’erba che cresce, come pesci rossi in una palla di vetro. Tutte le cose belle della vita – l’amore, la poesia, la passione, la musica – le dobbiamo a Eva, a quel suo gesto ribelle di cogliere e mangiare il frutto proibito. Ma come sempre avviene – siccome le storie le scrivono gli uomini – il ruolo della donna è stato sminuito e così ci hanno raccontato che è stato il diavolo – un maschio, ovviamente – a tentarla. E’ ora di dare a Eva quello che è di Eva.
Ma che frutto era il frutto proibito? Probabilmente era una melagrana. L’ignoto cantastorie che girava per i villaggi lungo le rive del Giordano e che si è inventato questa storia – e che certo non poteva immaginarsi che avrebbe avuto una tale fortuna – dovendo raccontare un frutto capace di scatenare un tale finimondo, pensò immediatamente a quello del melograno; e probabilmente fecero lo stesso i suoi ascoltatori: erano talmente tutti certi che fosse una melagrana, che non si sono nemmeno presi la briga di specificarlo, quando alla fine hanno deciso di mettere su papiro quella leggenda. Che altro frutto poteva essere?
La melagrana è il frutto della dea babilonese Ishtar e della divinità anatolica Cibele, in sostanza di quell’antichissima divinità che ebbe nomi diversi e che è conosciuta anche come la Grande madre.
E così, viaggiando da oriente a occidente, questo frutto è arrivato nell’antica Grecia. Ade, il dio degli inferi, si innamorò di Core, la bellissima figlia di Demetra, la dea della fertilità e delle messi. Folle di passione, decise di rapirla e non voleva liberarla, nonostante la giovane piangesse, non toccasse cibo e chiedesse continuamente di tornare dalla madre. Zeus, spaventato dal fatto che gli uomini avevano smesso di fare sacrifici da quando la giovane era stata rapita e Demetra per il dolore aveva inaridito i loro campi e distrutto i raccolti, riuscì a convincere il fratello e finalmente Ade permise a Core di tornare dalla madre, ma a una condizione: che non avesse mangiato nulla mentre era negli inferi. La ragazza era piena di gioia, stava per tornare sulla terra, ai suoi affetti, ma ricordò che – cedendo alla debolezza della sete – aveva mangiato sei chicchi di una melagrana raccolta nel giardino di Ade. Sei chicchi non erano un frutto intero, ma erano pur sempre un cibo degli inferi, e quindi Ade e Demetra dovettero trovare un accordo: per sei mesi all’anno Core – ossia la ragazza, perché questo significa quel nome – sarebbe diventata Persefone, la potente regina degli inferi, la dea a cui le donne si affidavano nel momento di partorire, e per gli altri sei mesi sarebbe tornata sulla terra, insieme alla madre. E’ questo andare e tornare della dea che regola l’alternare dell’estate e dell’inverno e quindi la vita di noi mortali.
La melagrana è il frutto delle donne, del tempo in cui le donne erano dee, prima che gli uomini cominciassero a inventare delle storie per relegarle in una posizione subalterna, al ruolo di comparse. Ma poteva succedere che un maschio pentito raccontasse di nuovo la storia di quando le donne erano dee: e infatti durante il Rinascimento Leonardo e Botticelli dipinsero entrambi una Madonna della melagrana. E quel frutto svelava che quella donna era a un tempo Eva e Maria, Core e Persefone, in sostanza la dea della vita.
Ho ripensato a queste storie così lontane guardando la foto di Amal, la bambina di sette anni morta il 1° novembre scorso in Yemen, in quella terra da dove vengono le melagrane. Amal è morta perché per giorni non ha potuto né mangiare né bere. Amal non è potuta diventare una donna, perché nel suo paese gli uomini stanno facendo una guerra terribile e perché questa guerra – come tutte le guerre – ha distrutto ogni melograno, ogni altro albero, ha seccato ogni sorgente, ha violato l’ordine rigoroso della natura.
Amal deve essere per noi l’immagine di Eva, anche se non ha potuto ribellarsi a quello che qualcun altro ha deciso per lei, e quella di una Maria che ha conosciuto solo la passione. Amal è la figlia che ci è stata rapita, che è stata portata agli inferi e che non siamo più in grado di salvare. E’ la dea che non abbiamo voluto che fosse.

 

 

 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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