di Renato Caputo

I princîpi su cui si fonda lo Stato socialista sovietico sono, osserva Lenin, a tal punto più universali di quelli delle “democrazie” borghesi che esse, sebbene siano incomparabilmente più forti sul piano materiale, “temono come il fuoco il contagio ideologico proveniente da un paese in rovina, affamato, arretrato e, secondo le loro affermazioni, perfino semiselvaggio!” [1]. Tanto più che si tratta, nello Stato socialista, di costruire una democrazia del tutto nuova, un’inedita democrazia per le masse popolari, nel costante stato di eccezione provocato dallo stato d’assedio imposto dalle potenze dell’imperialismo transnazionale di contro al primo tentativo di realizzare una democrazia proletaria. Del resto, come fa notare a ragione Lenin agli ultra-critici “marxisti occidentali” – sempre pronti a condannare, in nome di un astratto e dottrinario marxismo le difficoltà pratiche e imprevedibili imposte dalla concretezza di un contesto storico ostile, con cui il primo effettivo tentativo di transizione al socialismo si doveva necessariamente confrontare – “l’unione della dittatura del proletariato con la nuova democrazia, con la democrazia per i lavoratori, l’unione della guerra civile con la più larga partecipazione delle masse alla politica, non si realizza di colpo e non rientra nelle logore forme dell’abitudinario democraticismo parlamentare. Un mondo nuovo, il mondo del socialismo: ecco come si presenta ai nostri occhi la Repubblica dei Soviet. E non meraviglia che questo mondo non nasca già pronto e d’un sol colpo come Minerva dalla testa di Giove” [2].

I dottrinari marxisti occidentali, nella loro astratta critica alla mancanza di democrazia nel neonato Stato socialista, nella loro fuga dalla concretezza del corso storico, dimenticavano che, come fa notare a ragione Lenin, “quando i repubblicani borghesi rovesciavano i troni non si preoccupavano affatto dell’uguaglianza formale tra i monarchici e i repubblicani”. Proprio per questo, per Lenin, critico implacabile delle “anime belle” del marxismo dottrinario occidentale: “quando si tratta di rovesciare la borghesia, solo i traditori o gli imbecilli possono postulare l’uguaglianza formale per la borghesia” [3].

Per limitarci a qualche esempio, la superiorità della democrazia proletaria è riscontrabile in primo luogo nella conduzione democratica della politica estera sovietica, non più tenuta nascosta ai cittadini come avviene nelle democrazie borghesi e non più improntata solo a parole ai princîpi della pacifica convivenza fra i popoli. Come osserva Lenin, a proposito dell’assenza di democrazia nella conduzione della politica estera da parte degli Stati capitalisti, di contro a quei riformisti che pretendevano che i sovietici dovessero seguire il “glorioso esempio” delle “democrazie” borghesi, “in nessuno Stato, neanche nel più democratico, la politica estera viene condotta pubblicamente. In tutti i paesi democratici, in Francia, Svizzera, in America e in Inghilterra, le masse vengono ingannate in modo cento volte più ampio e raffinato che negli altri paesi. Il potere sovietico con un atto rivoluzionario ha strappato il manto segreto dalla politica estera” [4].

In effetti, già con i primi Decreti di novembre (1917) il governo rivoluzionario “abolisce la diplomazia segreta ed esprime, da parte sua, la ferma intenzione di condurre tutte le trattative in modo assolutamente pubblico, davanti a tutto il popolo, di cominciare subito la pubblicazione integrale dei trattati segreti confermati o conclusi dal governo dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti dal febbraio al 25 ottobre 1917” [5]. In tal modo, il governo rivoluzionario demistifica tutte le giustificazioni addotte dai paesi “democratici” per nascondere ai loro popoli la vera natura della prima guerra imperialistica mondiale. A questo proposito, afferma Lenin: “noi lottiamo contro la mistificazione dei governi che, a parole, sono tutti per la pace, per la giustizia, ma che, di fatto, conducono guerre di conquista e di rapina. Nessun governo dirà tutto quello che pensa. Noi siamo contro la diplomazia segreta e agiremo apertamente davanti a tutto il popolo” [6].

In secondo luogo, scopo economico della transizione al socialismo è la riorganizzazione di produzione e distribuzione non più sulla base anarchica del profitto individuale dei possessori dei mezzi di produzione, ma secondo “criteri scientifici aventi come scopo di garantire a tutti i lavoratori una vita più agevole, procurando loro la possibilità del benessere” [7].

In terzo luogo, la libertà di stampa o di associazione politica, reale nelle società borghesi solo per i proprietari, diviene patrimonio collettivo nel momento in cui i grandi edifici e le grandi tipografie vengono espropriati e resi patrimonio pubblico. In tal modo è solo lo Stato socialista a rendere reale la democrazia destinata a rimanere meramente formalenello Stato borghese. Fa notare a questo proposito Lenin: “mentre le vecchie Costituzioni democratiche borghesi riconoscevano, ad esempio, l’uguaglianza formale e la libertà di riunione, la nostra Costituzione sovietica, proletaria e contadina, respinge l’ipocrisia di un’uguaglianza puramente formale. Quando tutti gli edifici migliori sono accaparrati dalla borghesia, la ‘libertà di riunione’ per gli operai e i contadini non vale un soldo bucato. I nostri Soviet hanno confiscato ai ricchi, nelle città e nelle campagne, tutti gli edifici migliori e li hanno consegnati – tutti – agli operai e ai contadini per le loro associazioni e assemblee. Ecco la nostra libertà di riunione per i lavoratori!” [8].

Dunque, Lenin ci tiene a sottolineare – contro i centristi che come Kautsky criticavano la dittatura del proletariato, di contro alla quale si richiamavano alla “democrazia” borghese – che solo nello Stato socialista “la libertà di stampa cessa di essere un’ipocrisia, perché le tipografie e la carta vengono tolte alla borghesia. Lo stesso accade dei migliori edifici, palazzi, ville, dimore signorili. Il potere sovietico ha requisito subito agli sfruttatori migliaia di questi edifici e ha reso così un milione di volte più ‘democratico’ il diritto di riunione per le masse, quel diritto di riunione senza il quale la democrazia è un inganno” [9].

In quarto luogo, mirando ad una federazione di repubbliche su basi libere e spontanee, si lascia ai lavoratori di ogni nazione la facoltà di decidere in assoluta autonomia “se desiderano, e su quali basi, partecipare al governo federale e alle altre istituzioni federali sovietiche” [10].

In quinto luogo, condannando il benessere occidentale fondato sulla spoliazione dei popoli colonizzati, la Repubblica Sovietica si dichiara pronta a sostenere ogni movimento antimperialista che si batta per l’indipendenza nazionale. Osserva a tal proposito Lenin, di nuovo attaccando i socialdemocratici egemonizzati dalla classe dominante, sempre pronti a lodare la “civiltà borghese” anche di contro alla Rivoluzione d’ottobre: “l’Assemblea costituente insiste per la rottura completa con la barbara politica della civiltà borghese, la quale crea il benessere degli sfruttatori di poche nazioni elette sulla base dell’asservimento di centinaia di milioni di lavoratori dell’Asia, delle colonie in generale e dei piccoli paesi” [11].

In sesto luogo i sogni del socialismo utopista, a partire dallo sviluppo delle cooperative, nello Stato socialista divengono infine realtà. Come osserva a questo proposito Lenin: “i sogni dei vecchi cooperatori abbondano di chimere. Essi sono sovente ridicoli, con le loro fantasticherie. Ma in che consiste la loro irrealtà? Nel non comprendere l’importanza principale, radicale della lotta politica della classe operaia per l’abbattimento del dominio degli sfruttatori. Ora quest’abbattimento da noi ha avuto luogo, ed ora molto di quanto sembrava fantastico, perfino romantico, perfino banale nei sogni dei vecchi cooperatori, diventa una realtà delle più autentiche” [12].

Infine, i pari diritti delle donne sono riconosciuti non solo formalmente, come allora non avveniva in quasi nessuna delle “democrazie” borghesi, ma sono favoriti realmente da una legislazione volta ad eliminare ogni vincolo giuridico che sottometteva la donna al sistema patriarcale. A tali leggi emancipatrici si aggiunge un sistema sociale che solo può iniziare a liberare la donna dalla schiavitù domestica, fatto di mense popolari, nidi e giardini d’infanzia pubblici e gratuiti. Come ricorda Lenin, ancora in polemica con gli apologeti della “democrazia” borghese: “nessun partito democratico al mondo in nessuna delle repubbliche borghesi più progredite ha fatto a questo riguardo in decine d’anni nemmeno la centesima parte di quello che noi abbiamo fatto anche solo nel primo anno del nostro potere. Non abbiamo letteralmente lasciato pietra su pietra di tutte le abiette leggi sulla menomazione dei diritti della donna, sulle limitazioni del divorzio, sulle odiose formalità da cui questo era vincolato, sulla possibilità di non riconoscere i figli naturali, sulla ricerca della paternità, ecc., leggi i cui residui, a vergogna della borghesia e del capitalismo, sono molto numerosi in tutti i paesi civili” [13].

Ancora a proposito dell’emancipazione reale in un paese socialista delle donne dalla schiavitù domestica, di contro a quella solo formale realizzata nelle “democrazie” borghesi, osserva Lenin: “Le mense popolari, i nidi e i giardini d’infanzia: ecco gli esempi di questi germogli, i mezzi semplici, comuni, che non hanno nulla di pomposo, di magniloquente, di solenne, ma che sono realmente in grado di emancipare la donna, sono realmente in grado di diminuire ed eliminare, quanto alla sua funzione nella produzione e nella vita sociale, la sua disuguaglianza nei confronti dell’uomo. Questi mezzi non sono nuovi, sono stati creati (come in generale tutte le premesse materiali del socialismo) dal grande capitalismo; nel capitalismo, però, in primo luogo essi rimanevano una rarità e in secondo luogo – e questo è particolarmente importante – restavano o imprese commerciali, con tutti i lati peggiori della speculazione, o una ‘acrobazia della filantropia borghese’, che a giusta ragione era odiata e disprezzata dai migliori operai” [14].

Note
[1] V.I. Lenin, La III Internazionale e il suo posto nella storia (aprile 1919), in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 29, p. 278
[2] Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 354
[3] Ibidem
[4] Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (ottobre-novembre 1918), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 373
[5] Id., Relazione sulla pace al II Congresso dei soviet dei deputati operai e soldati di tutta la Russia (26 ottobre [8 novembre] 1917),in Sulla rivoluzione op. cit., pp. 266-67
[6] Ivi, p. 269. 
[7] Id., Discorso al I congresso dei consigli dell’economia nazionale (maggio 1918), in Sulla rivoluzione op. cit., p. 329
[8] Id., Lettera… op. cit., in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 354
[9] Id., La rivoluzione proletaria…op. cit., in Sulla rivoluzione… op. cit., pp. 374-75 
[10] Id., Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato (gennaio 1918), in Opere…, cit., vol. 26, p. 405
[11] Ivi, p. 403
[12] Id., Sulla cooperazione (Gennaio 1923),in Sulla rivoluzione op. cit., p. 576
[13] Id., La grande iniziativa (Luglio 1919), in Sulla rivoluzione op. cit., p. 425
[14] Ivi, p. 426.

08/12/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte. 
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Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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