di Richard Falk e Daniel Falcone

Daniel Falcone: Questo mese, un ampio numero di fonti scrivono su Noam Chomsky per la festa del suo 90° compleanno. Quale è stato il suo approccio all’opera di Chomsky? Quale opera l’ha messa, inizialmente, in contatto con Chomsky?

Richard Falk: sono stato consapevole per la prima volta della esistenza di Noam Chomsky alla fine degli anni ’50 mentre insegnavo alla Ohio State Università Statale dell’Ohio. Avevo un amico linguista intelligente che mi parlò del lavoro rivoluzionario di un giovane studioso del MIT che stava completamente trasformando il campo dal lavoro che aveva fatto mentre era ancora un dottorando, sulla  ‘linguistica strutturale’ e sulla ‘grammatica generativa’. Quando ricordo la nostra conversazione mi accorgo che non era stato menzionato nulla sulla politica di Chomsky.

Più tardi, nei primi anni ’60, continuai a sentir parlare di Chomsky come il grande linguista, ma anche di Chomsky come attivista militante contro la guerra del Vietnam. Ci siamo incontrati a metà degli anni ’60 come conseguenza di interessi comuni. Eravamo entrambi profondamente coinvolti nell’opporci alle escalation del coinvolgimento americano in Vietnam, e di fatto,  a qualsiasi coinvolgimento. A quel punto, Chomsky sosteneva fortemente l’opposizione al servizio militare e inoltre  parlava  ad eventi contro la guerra. Sono stato principalmente impegnato negli anni ’60 in dibattiti accademici e insegnamenti dedicati alle questioni sulla legalità del ruolo americano in Vietnam e, dopo il 1965, spesso mi focalizzai  sulla decisione della presidenza di Lyndon Johnson di estendere la guerra al Vietnam del Nord.

In questo decennio abbiamo interagito di frequente e stavamo nelle rispettive case a Lexington a e Princeton quando parlavamo nella sede dell’altro. Ricordo che Chomsky insisteva in riposta a un invito del Dipartimento di Filosofia di Princeton, che avrebbe una serie di conferenze sulla linguistica che gli venivano richieste, se avessero organizzato anche delle sezioni per farlo parlare sui suoi interessi politici. Sembra che mettesse spesso questa condizione, e, dato che era il protagonista assoluto, questa veniva sempre accettata.

Trovavo che le conferenze di Princeton sulle tensioni teoriche nel campo della linguistica, fossero non soltanto astruse, ma anche memorabili dal punto di vista della performance. La prima delle conferenze di linguistica di Chomsky, si tenne in uno dei più grandi auditori dell’Università di Princeton. Prima che Noam venisse presentato, la sala era completamente piena, nell’aspettativa eccitata di venire illuminati da qualsiasi cosa che Chomsky aveva da dire. Lo stile e il modo di parlare di Chomsky erano molto tecnici e presupponevano una comprensione alquanto sofisticata dei complessi argomenti da trattare ed erano molto delle capacità del 90% del pubblico, compreso me.

Alla fine della conferenza erano rimaste meno di 25 persone nell’enorme sala. Ciò che mi ha impressionato è stata l’apparente indifferenza di Chomsky a questa reazione, che è stata sottolineata dal fatto che non è riuscito a modificare il suo stile nelle due conferenze successive. Non sorprende di certo che alla seconda e alla terza conferenza partecipasse solo una piccola cerchia di studenti laureati e docenti con un forte background linguistico.

Quando teneva una conferenza su argomenti politici, lo stile era molto diverso. La sua esposizione aveva lo scopo di arrivare a persone che avessero poche conoscenze precedenti. Le sue interpretazioni erano sostenute da abbondanti prove basate su fatti, ponderate con cura e chiarezza e perfino vivacizzate da ironia di tipo caustico e satirico. Chomsky si impegnava di persona volendo, chiaramente, persuadere l’uditorio ad adottare il suo punto di vista. Di nuovo, una grande sala traboccante di persone, ma questa volta nessuno se ne andò.

La reazione fu entusiasta, riconoscente e me ne andai con la sensazione che le persone presenti avevano sentito che soltanto stando lì avevano condiviso un’esperienza storica. Era anche  un pubblico composto in gran parte da gente della comunità e anche  dell’università e aveva pochissimi membri della facoltà che facevano conferenze sulla linguistica. Ero colpito dai modi calmi e sicuri di sé che aveva Chomsky e dalla sua insistenza di dire la verità al potere anche se le sue verità  non erano ampiamente appoggiate negli ambienti convenzionali.

L’unica riserva che avevo rispetto al fatto che spesso facevo parte del pubblico di Chomsky, era la sua riluttanza a riconoscere perfino le differenze più sottili di opinioni, e ancora meno ad ammettere gli errori. Pensavo che fosse una debolezza e lasciava alcuni di noi con la sensazione che la sua esposizione sarebbe stata più efficace se avesse lascito più spazio ai dubbi e a posizioni divergenti. “A telecamere spente” Noam era sempre cortese e non dogmatico, ma quando “recitava” trovavo che  il suo atteggiamento fosse leonino.

Daniel Falcone: lo studioso Henry Giroux una volta mi ha detto che pensava che Chomsky era “un tesoro nazionale.” In che modo, secondo la sua opinione, Chomsky è  un tesoro nazionale”?

Richard Falk:  Condivido questa forte espressione di apprezzamento per i numerosi contributi di Chomsky al pensiero illuminato e critico. Tali contributi sono essenziali se la vitalità di una società democratica deve essere sostenuta in tempi bui, come ad esempio, nei tempi attuali. Per cavillare un poco,  preferirei identificare Noam ancora più grandiosamente come “un tesoro globale”.

I sostenitori che  Noam ha in tutto il mondo, lo ha identificato come un faro globale di verità e coscienza di cui ci si può fidare, qualunque sia il problema, che esprima le proprie opinioni con onestà, attraverso l’analisi ragionata, e sulla base di un’abbagliante familiarità con una vasta gamma di prove che supportano le sue conclusioni. Trasmette il senso di avere letto e ricordato tutto ciò che è mai stato scritto sull’argomento che gli capita di affrontare in ogni particolare occasione.

Ci sono molte altre persone intelligenti e progressiste nel mondo, ma poche, se non nessuna, che abbiano una documentazione professionale di erudizione la gamma straordinariamente ampia di conoscenze su argomenti che inglobano interessi che ne coprano ogni aspetto. Vale sempre la pena ascoltare Chomsky su qualunque argomento, se sono i fondamenti filosofici della conoscenza e dell’esistenza o i particolari delle atrocità che avvengono in tutto il mondo.

È un tesoro grazie a questa rara mescolanza di qualità: un personaggio affidabile,  conoscenze esaurienti, la padronanza della logica dell’argomentazione e dell’analisi ragionata, uno stile di espressione che misurato e che non fa mai affidamento sul parlare ad alta voce   urli per dire una cosa importante. Chomsky ha una forma speciale di serietà che non ho mai incontrato prima, e che contribuisce a spiegare gli atteggiamenti di riverenza che molte persone da ogni angolo del globo provano in sua presenza.

Daniel Falcone: Quali idee ed attività di Chomsky la hanno influenzata di più nel corso degli anni?

Richard Falk: Sono stato particolarmente influenzato dalla straordinaria perseveranza di Noam, dalla sua spettacolare manifestazione di intellettualità, dalla sua volontà di entrare in campi in cui gli angeli temono di calpestare, e soprattutto dalla sua insistenza nel seguire l’evidenza ovunque essa possa condurre. Noam, in questo senso, è una delle grandi voci morali di tutti i tempi, guidato da un senso di giustizia e  di decoro, e in possesso di una abile voce analitica che rifiuta molta saggezza convenzionale con un movimento del suo polso retorico.

A un livello più dottrinale, ho trovato che il pensiero di Chomsky sia esposto in  modo valido nella sua autorevole rappresentazione di come funzioni “lo “indottrinamento in una società libera”. Questa non è una questione semplice. Esprimerei la linea di critica di Chomsky con una frase più concreta: “come il New York Times trae in inganno, specialmente per quanto riguarda il Medio Oriente”. Chomsky può essere devastante quando mostra come i liberali tradizionali distorcono la realtà con il loro impegno selettivo per il fatto e le norme in gioco, non di più che in relazione a Israele / Palestina nel corso dei decenni o con l’accettazione liberale delle strutture del militarismo e del capitalismo predatore senza un lamento. Come le scimmie che vedono e non sentono alcuna cosa cattiva, così è con la maggior parte dei liberali.

Sono consapevole che le opinioni di Chomsky su Israele / Palestina abbiano suscitato critiche feroci, e non solo da parte dei sionisti. Chomsky è stato fermamente favorevole a una soluzione dei due stati che ha, anche se forse non così chiaramente di recente,  insistito sia l’ unica soluzione praticabile che consentirebbe ai due popoli di vivere in una pace sostenibile. Nella mia comprensione delle recenti riflessioni di Chomsky su questi temi, sembra che stia per affermare che sta nascendo una versione israeliana di una soluzione con un solo stato, e che una serie di sviluppi interni e internazionali rendono ora impossibile raggiungere un qualsiasi tipo di forma accettabile forma di uno stato palestinese nel prossimo futuro.

Nonostante i disaccordi, non ho mai osservato Noam o Edward esprimere qualcosa diversa da sentimenti di rispetto o ammirazione per il lavoro e l’impegno dell’altro.

Chomsky è stato anche criticato per non aver sostenuto il movimento  BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) o la nonviolenza coercitiva come tattica del movimento di solidarietà globale. Non sono sicuro su quali siano le radici profonde di questa riluttanza, anche se so che il suo background familiare era di sionismo di sinistra, secondo il quale Chomsky percepiva che Israele come stato e il sionismo come movimento e progetto avevano seriamente tradito.

Ho anche trovato che la critica di Noam su ciò che definiva ” umanesimo militare ” come un respingimento di coloro che erano favorevoli all’intervento in Kosovo fosse essere stimolante e quasi persuasiva come una contestazione del caso per l’intervento umanitario nel contesto prebellico del 1999.

Chomsky sosteneva che la retorica morale di coloro che chiedevano un intervento era scelta per nascondere le vere ragioni di ricorrere a una guerra non difensiva, che era strategica e amorale. Queste vere motivazioni per la guerra proposta, secondo Chomsky, avevano a che fare con l’estensione dell’esistenza della NATO nel mondo post-Guerra fredda e della sicurezza che ai russi non venisse fornito un pretesto per stabilire una presenza nei Balcani. Poggiava la sua argomentazione sulle incoerenze morali e l’ipocrisia della politica estera americana, sottolineando la prolungata l’indifferenza dell’Occidente nei confronti della difficile situazione curda in Turchia.

Noam si oppose a questa mescolanza di umanitarismo e  militarismo, pur mantenendo un interesse permanente nel descriver gravi abusi dei diritti umani. Ci sono stati molti scenari in cui Noam ha difeso i diritti umani dei popoli vulnerabili e abusati, compresi gli individui. Chomsky ha anche realizzato una serie di validi contributi accademici su questa linea in collaborazione con Edward S. Herman .

Daniel Falcone: In che modo le principali figure intellettuali degli ultimi cento anni si possono paragonare Chomsky? “

Richard Falk: Non ho alcuna consapevolezza delle opinioni di Chomsky al di là della sua opinione che Bertrand Russell fosse una figura ammirevole, forse un modello di vita, e che almeno giustificava una grande fotografia un nello studio del MIT di Noam. Penso che Russell sia una figura antecedente appropriata per comprendere la realtà principale di Chomsky, nonostante il fatto ovvio che questi due uomini straordinari erano molto diversi per classe e ambiente etnico. Tali differenze erano superficiali rispetto alle loro somiglianze: risultati accademici eccezionali, convinzione negli ideali, valori e pratiche dell’Illuminismo e impegno morale in modi che sfidavano sia il sapere convenzionale che il consenso affermato dalla classe politica governativa e le politiche ufficiali in ognuno dei loro rispettivi paesi.

Secondo me i paralleli più vicini a Chomsky sono Jean-Paul Sartre e Edward Said . Più di altri, è stato questo terzetto a farci capire il ruolo e i contributi noti come  “l’intellettuale pubblico “. Ognuno ha preso dei rischi nel proprio lavoro e ha agito con coraggio e chiarezza morale all’interno del contesto politico in cui hanno vissuto prestando totale  attenzione al momento storico. Ognuno si è schierato in accordo con la propria visione di impegno morale  nelle lotte del loro tempo, e ognuno di loro ha risposto incondizionatamente delle proprie convinzioni, anche se ciò significava stare da soli.

Sartre ha rifiutato il premio Nobel e ha rotto con Camus durante la guerra algerina. Said ha respinto la volontà dell’OLP di fidarsi di Washington, ha rassegnato le dimissioni dal Palestinian National Council (PNC) e ha rifiutato fin dall’inizio di sostenere il tradimento degli obiettivi e dei diritti palestinesi, come erano fissati nel Quadro dei Principi di Oslo del 1993 . Chomsky ruppe con il mondo sionista, specialmente dopo la vittoria israeliana nella guerra del 1967, e sostenne astrattamente la libertà accademica di un famigerato negazionista dell’Olocausto in Francia, lo storico britannico Robert Faurisson . Interrogato su questo, Chomsky ha provocatoriamente risposto che la ricerca di Faurisson non era peggiore di quella di molti dei suoi colleghi del MIT.

Ognuno di questi tre ha affrontato il mondo che li circondava con immutata passione, e non ha mai sprecato la propria energia per scusarsi loro scuse o per  esporre auto-giustificazioni. In un’ultima intervista è stato chiesto a Sartre quale fosse il più grande rimpianto della sua vita. Ho trovato la risposta di Sartre suggestiva – non era andato abbastanza lontano nell’articolazione delle sue idee radicali, una risposta che avrebbe potuto anche fare Chomsky, e anche Said. In effetti, piuttosto che arrendersi o pensare che avrebbe potuto essere più moderato, opta per la chiarezza della convinzione e dell’azione.

Se guardo  alla prossima generazione, registro molte voci appassionate e forti, ma nessuna che raggiunge la portata, lo scopo la serietà e l’impatto di queste tre. Più che mai abbiamo bisogno di voci così eccezionali per l’orientamento e l’ispirazione. Viviamo in un momento di crisi bioetica senza precedenti che Chomsky ha imparato a conoscere e discutere nelle sue recenti interviste e scritti. Anche in questi anni che in cui si avvicina ai 90,  la voce di Noam è forte e chiara, e sempre degna di essere ascoltata. Ha ampliato in modo impressionante i suoi interessi per affrontare le sfide più generali che l’umanità deve affrontare e ha prestato meno attenzione alla natura imperfetta della politica estera americana.

Daniel Falcone: Secondo lei, come è cambiata la sinistra nel corso della carriera di Chomsky o ha notato cambiamenti nel suo lavoro nel corso del tempo?

Richard Falk: Questa è una domanda difficile per me poiché non sono sicuro di essere conoscere a sufficienza  l’impegno di Chomsky con la sinistra nelle varie fasi della sua lunga vita. È certamente quello che si potrebbe definire “un progressista radicale”, ma è anche chiaramente a disagio con la sinistra organizzata e non è mai stato un apologeta dell’Unione Sovietica. Sebbene Chomsky abbia familiarità con la letteratura marxista e il pensiero socialista, la sua scrittura e il suo commento non si sono rivolti a questioni teoriche che erano così spesso dibattute nel pensiero di sinistra europeo. La mia impressione è che Chomsky abbia sostenuto i valori socialisti all’interno di un quadro di anarchismo filosofico , cioè caratterizzato da un profondo sospetto rivolto a tutte le forme in cui si materializza l’autorità statalista.

La scrittura e le preoccupazioni di Chomsky sono state costantemente rispondenti alle circostanze storiche. Non vi è alcun problema politico al di fuori del suo dominio, anche se, per quanto ne so, non ha mai commentato ampiamente le questioni culturali nel modo in cui Said ha scritto riguardo all’opera o Sartre alla letteratura. Due anni fa Chomsky e io abbiamo preso parte a un seminario sui pericoli del nucleare, insieme a Daniel Ellsberg , e sono rimasto colpito dai contributi inaspettatamente ottimisti di che Noam ha dato alle discussioni. Sosteneva che c’erano e ci sono molte occasioni mancate che avrebbero potuto affrontare i pericoli posti dalle armi nucleari in modo diverso rispetto ai percorsi scelti dai politici e dai leader. Voleva che credessimo che la geopolitica del potere non  è l’unica scelta e che gli impegni della società civile in nome di ciò che crediamo sia utile, necessario e non precluso.

La percezione che ho delle idee do sinistra di Chomsky è quello di qualcuno che è incredibilmente attento ai richiami di coscienza e dedica energia straordinaria alle mutevoli sfide situazionali, ma pensa e agisce da solo senza prendere parte a nessun tipo di processo collettivo. Allo stato attuale, questa tendenza ha portato Chomsky a criticare Trump e il Trumpismo e a preoccuparsi di una deriva fascista nel comportamento politico mondiale, ma anche di cogliere la minaccia ecologica ed etica del capitalismo globale non regolamentato. Nella mia terminologia, Chomsky è un esemplare “pellegrino cittadino” , che reagisce come un individuo alle ingiustizie di oggi con una speranza costante per un domani migliore.

A un certo punto ho avuto la sensazione che Chomsky fosse troppo pronto per concedere il futuro, almeno in Vietnam, a coloro che dominavano le capacità del  potere militare ed economico. Se ricordo bene, Noam era convinto che gli Stati Uniti avrebbero prevalso in Vietnam a causa degli squilibri sul campo di battaglia, e quindi aveva sottovalutato la profondità del movimento di resistenza nazionale vietnamita. Ha anche minimizzato la reversibilità dell’intervento, non apprezzando pienamente il fatto che se i costi fossero diventati troppo alti per un numero sufficiente di americani, i leader di Washington avrebbero portato a termine la guerra, anche se ciò avrebbe significato una sconfitta imbarazzante. In un certo senso, tali valutazioni derivano da un certo tipo di realismo che è alla base dell’analisi di Chomsky, che riflette la sua fedeltà ai fatti nel modo in cui li comprende e la sua prontezza nel trascurare le sue preferenze più intense, quando la sua lettura dei fatti di una complessa situazione politica indica un esito che è contrario ai suoi desideri.

Allo stesso tempo, Chomsky è pronto a sostenere la solidarietà con qualsiasi persona dedicata che voglia agire in modo illecito per rivelare le bugie e le distorsioni invocate dai governi, incluse le società liberali. Rimase dalla parte di Dan Ellsberg dopo che questi aveva fatto conoscere i Pentagon Papers*, rifiutandosi di testimoniare davanti al Gran Giurì di Boston, e rischiando così una condanna al carcere. In retrospettiva, Ellsberg commise il perfetto “crimine” da una visione del mondo di Chomsky, sfidando lo stato in modo da esporre le realtà cinicamente nascoste alla cittadinanza, amplificate dal contesto di una guerra illegale.

Dovrei aggiungere che l’atteggiamento positivo di Chomsky riguardo al mio lavoro era legato al suo rispetto per il diritto internazionale che legittima il dissenso e l’opposizione non violenta alle caratteristiche militariste della politica estera americana. Ha favorito una politica estera che rispetta il diritto internazionale e che mostrava rispetto per l’ONU e per la sua Carta.

Daniel Falcone: come si  spiega  la capacità di Chomsky di arrivare a così tante persone per così tanto tempo? Che cosa è quello che trovi più interessante riguardo a  lui?

Richard Falk: lei  tocca una delle qualità più peculiari di Chomsky: la sua influenza e la sua popolarità in tutto il mondo. Penso che due caratteristiche del suo atteggiamento e approccio ci aiutino a capire questa capacità globale.

Innanzitutto, l’analisi di Chomsky è accessibile a un pubblico, sofisticato e non. La sua comprensione dei fatti e le interpretazioni coerenti dei reati nei “piani alti”, comunica una comprensione del mondo che ci circonda.

In secondo luogo, il suo stile e la sua esperienza di vita impersonano l’ autenticità. Forse si può non essere d’accordo con Chomsky, ma è impossibile dubitare della sua sincerità e della sua dedizione alla verità. Coloro che sono insoddisfatti dello status quo trovano in Chomsky un resoconto lucido di ciò che è sbagliato e dei motivi di questo,  in un modo che genera fiducia e stimola l’azione.

L’unica riserva che ho è la tendenza che talvolta Chomsky ha di trascurare l’ambiguità e l’incertezza e le linee di pensiero che sono in contrapposizione.. Forse il mio disagio riflette il mio personale contesto, specialmente il mio tirocinio alla facoltà di giurisprudenza che mi ha reso consapevole, forse troppo consapevole, che ci sono almeno due parti in ogni posizione che viene discussa.

Senza l’ambiguità della legge, gli avvocati non avrebbero nessun ruolo e nessun mezzo di sostentamento. Per me la sfida è sempre stata quella di riconoscere questa sfocatura epistemologica, allo stesso tempo facendo delle scelte guidate da fattori etici che possono produrre impegni politici apparentemente unilaterali. Più concretamente, come posso riconoscere l’esistenza di una narrativa israeliana e tuttavia stare  con fermezza dalla parte della lotta dei Palestinesi per i loro diritti fondamentali? La mia risposta a questo apparente dilemma è fare scelte del genere “prendendo sul serio la sofferenza”, il che significa quasi sempre identificarsi con i vulnerabili e gli sfruttati.

Forse alla fine  arriverò vicino alla chiarezza morale associata a Chomsky, Sartre e Said, ma lo faccio in modo più tortuoso a causa della mia continua sottomissione al modo in cui agli avvocati viene insegnato a pensare.

Daniel Falcone: Ci sono posizioni e prospettive che lei si meraviglia che abbia Chomsky? Ha molti libri di Chomsky nel suo studi? Quale di essi ha, in particolare, influenzato, le sue prospettive di politica estera?

Richard Falk: ho uno scaffale pieno di libri di Chomsky, e cerco di essere al livello della sua capacità sinottica di includere tutto quello su cui valga la pena pensare. La gamma e la persistenza della sua produttività sono semplicemente straordinarie. Pochi profeti in tutta la storia sono stati dotati di tale resilienza mentale e longevità fisica!

Per quanto riguarda l’influenza diretta, vorrei menzionare due settori. Ho imparato dall’acuta critica che fa Chomsky delle pratiche del liberalismo e l’importanza fondamentale di comprendere le fonti della sofferenza umana che non possono essere capite senza l’ analisi strutturale. Il fatale difetto intellettuale del liberalismo è di optare per cambiamenti incrementali della politica dando per scontate le strutture egemoniche di potere e le forze economiche alla base.

Chomsky mi ha aiutato a capire perché non sono un liberale. In questo senso, la cosa aiuta a spiegare perché sono stato indignato dal modo in cui il Partito Democratico ha sovvertito la candidatura presidenziale di Bernie Sanders , promuovendo allo stesso tempo quella di Hillary Clinton. Sanders era [considerato] inaccettabile per il Comitato nazionale democratico (DNC)], e [incidentalmente] non coerentemente radicale nella sua prospettiva, e sembrava minacciare le verità di Goldman Sachs e l’ethos del neoliberismo.

E, in secondo luogo, ho imparato da Chomsky l’importanza di non scendere a compromessi quando si tratta di questioni di principio, anche se questo richiede di nuotare controcorrente. Ho trovato le forti critiche iniziali di Chomsky al modo in cui il progetto sionista era stato promulgato in Israele e la complicità americana, non solo persuasive, ma come una sfida per me a smettere di stare nascosto nell’ombra. Penso che la posizione morale di Chomsky sia stata influente quanto le sue opinioni sostanziali. Difendere la verità, rifiutare il consenso liberale e essere sempre solidali con coloro che lottano contro l’ingiustizia sono state le insegne della carriera e della vita oltremodo illustre di Noam Chomsky.

E sarebbe sbagliato non menzionare il senso che aveva Chomsky della responsabilità di un intellettuale di impegnarsi nel dialogo. Nel corso degli anni ho incontrato molte persone ‘ordinarie’ che hanno scritto a Noam dopo averlo sentito parlare o avere letto i suoi libri, e sono stati sorpresi dal ricevere risposte dettagliate e rispettose e dalla sua prontezza a continuare la corrispondenza. Ci vogliono energia e tempo per essere così disponibili, ma questo esprime anche un impegno per la serietà delle idee e della comunicazione condivisa, e il valore di ciò che equivale a un’educazione informale. Ripeto, ho cercato di seguire questa strada tracciata da Noam, non riuscendo a tenergli dietro, ma grato per la grandezza del suo esempio.

*https://it.wikipedia.org/wiki/Daniel_Ellsberg

Richard Falk è uno studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali che ha insegnato all’Università di Princeton per quarant’anni.

Daniel Falcone è un attivista, educatore e giornalista a New York City. Seguite la sua attività su: @ DanielFalcone7.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/sartre-said-chomsky-and-the-meaning-of-the-public-intellectual

Originale: Counterpunch

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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