di Alan MacLeod / FAIR

E’ un segno dei nostri tempi che i nostri media tentino di decifrare la futura politica governativa analizzando i tweet del presidente, come un qualche bizzarro gioco del telefono. Durante tutto novembre ci sono state ipotesi di un’imminente riduzione della spesa militare e quando Donald Trump è passato a Twitter (3.12.18) per descrivere come “folle” il bilancio da 716 miliardi di dollari i media l’hanno preso come una conferma.

La prospettiva di un taglio all’esercito ha suscitato una tempesta di condanne in tutto il panorama mediatico. La National Review (17.11.18) ha scritto che “tagliare le risorse disponibili al Pentagono è una cattiva idea”, osservando che “per decenni gli Stati Uniti hanno imbrogliato l’esercito” intendendo che “la capacità degli Stati Uniti di difendere i loro alleati, partner e i loro interessi vitali è sempre più in dubbio”. In un articolo intitolato “Non tagli la spesa militare, signor Presidente” (Wall Street Journal, 29.11.18) i presidenti del Comitato delle Forze Armate del Senato e della Camera, James Inhofe e Mac Thornberry, hanno affermato che l’esercito è in “crisi” dopo “bilanci inadeguati per quasi un decennio” e che “qualsiasi taglio al bilancio della difesa sarebbe un insensato passo indietro”.

Smythe Richbourg Flickr

Altri canali centristi hanno concordato. Forbes Magazine (26.11.18) ha iniziato il suo articolo con le parole “La sicurezza e il benessere degli Stati Uniti sono a un rischio maggiore di qualsiasi altro momento da decenni”, raccomandando un “razionale e congruo aumento” del bilancio. Bloomberg (19.11.18) ha raccomandato un congruo aumento della spesa militare del 3 per cento sopra l’inflazione per da cinque a dieci anni, mentre Reuters (4.12.18) ha segnalato l’accresciuto “rischio” di un bilancio militare inferiore.

In che cosa consisteva esattamente questo “rischio” di cui i media erano così preoccupati? Max Boot, membro neoconservatore del Comitato per le Relazioni con l’Estero – che apparentemente continua ad appoggiare la guerra dell’Iraq e ne ha chieste altre in Siria e in Libia sostenendocontemporaneamente che gli Stati Uniti dovrebbero diventare un impero mondiale – ha dettagliato il rischio sul Washington Post (12.12.18). Descrivendo una riduzione della spesa militare come un “suicidio” e affermando che gli Stati Uniti sono “in una conclamata crisi della sicurezza nazionale” ha citato il lavoro di un gruppo di alto livello che ha sollecitato continui aumenti della spesa militare:

“Se gli Stati Uniti dovessero combattere la Russia in un’emergenza baltica o la Cina in una guerra per Taiwan gli statunitensi subirebbero una decisiva sconfitta militare”, avverte il rapporto. “Queste due nazioni possiedono potenziali di attacchi di precisione, difese aeree integrate, missili balistici e da crociera, capacità avanzate di guerra cibernetica e anti satellitare, considerevoli forze aeree e navali, e armi nucleari… un insieme di capacità avanzate sin qui possedute solo dagli Stati Uniti”… Dunque siamo in grossi guai. Stiamo perdendo il vantaggio militare che ha sostenuto la nostra sicurezza e prosperità dal 1945.”

Dunque la crisi è che gli Stati Uniti potrebbero non essere certi di distruggere l’esercito russo in una guerra baltica o quello cinese nel Mar Cinese meridionale. E’ importante notare che queste guerre necessarie di difesa non avrebbero luogo nel Maine o in California ma a migliaia di miglia di distanza, sulla porta dei nostri rivali geopolitici. Boot presenta queste guerre sull’altro lato del mondo come impossibili da evitare – “se gli Stati Uniti dovessero combattere” – proseguendo una tradizione di presentare gli Stati Uniti come inciampanti o riluttantemente trascinati in guerre contro la loro volontà, che noi di FAIR (22.6.17) abbiamo catalogato.

In realtà più di metà della spesa discrezionale statunitense va all’esercito e la sua spese legata alla guerra è una percentuale molto più vasta del bilancio rispetto a paesi paragonabili: da 3 a 5 volte più di Canada, Germania o Giappone. Di fatto gli Stati Uniti spendono per il proprio esercito quasi quanto tutti gli altri paesi del mondo messi insieme, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, e hanno circa 800 basi militari (ufficiali) all’estero, situate in ogni continente abitato del mondo.

Persino questi dati non comprendono le pensioni militari e l’assistenza sanitaria ai veterani, o le armi nucleari, e perciò il vero totale è probabilmente maggiore di tutti gli altri paesi messi insieme. La spesa militare si sta avvicinando al massimo nella storia registrata di qualsiasi paese, e il solo aumento della spesa militare approvato da Trump l’anno scorso sarebbe sufficiente a rendere gratuiti per tutti i college e le università di tutti gli Stati Uniti.

Considerando i problemi di disoccupazione, povertà, cambiamento climatico e delle infrastrutture degli Stati Uniti, forse organizzarsi per una guerra intercontinentale contro due superpotenze dotate di armi nucleari non è l’uso più efficace di trilioni di dollari. Che ridurre a 716 miliardi di dollari il budget bellico possa essere presentato come una minaccia alla nazione e che la “difesa” possa riferirsi a guerre a Taiwan o nel Baltico, illustra la profondità della mentalità imperiale dei media e dimostra che l’avvertimento del presidente Dwight Eisenhower riguardo al potere del complesso industriale-militare è rimasto inascoltato.

I media non avevano bisogno di preoccuparsi poiché il complesso industriale-militare solitamente ottiene quel che vuole. Il presidente Trump, “con l’aiuto del senatore Inhofe e del presidente Thornberry”, secondo il Dipartimento della Difesa (Independent di Londra 10.12.18) ha accettato dopotutto un aumento del bilancio militare a 750 miliardi di dollari. Molti si arricchiranno, non ultimo il senatore Inhofe che ha acquistato alla chetichella decine di migliaia di dollari di azioni della Raytheon dopo essersi incontrato con Trump (CNN13.12.18). La Raytheon è il più grande produttore mondiale di missili teleguidati e di certo raccoglierà una manna dal boom della spesa.

Quest’intero affare illustra gli importanti e preoccupanti collegamenti tra i media, gli appaltatori della “difesa” e i politici. Ma almeno il terribile rischio per gli Stati Uniti è stato evitato. Quegli indifesi generale dell’aviazione e appaltatori della difesa possono finalmente dormire tranquilli.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://www.truthdig.com/articles/the-pentagon-doesnt-deserve-the-medias-sympathies/

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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