Colpo di scena. Il reddito di cittadinanza inizia a piacere a Confindustria. Il cavallo di battaglia del M5s sempre dipinto come «un sussidio per chi non vuole lavorare, specie al Sud» si sta trasformando. E sotto la spinta delle picconate leghiste che lo volevano trasformare nell’ennesimo sgravio fiscale per le imprese, inizia a piacere perfino al Sole24Ore.

Nel numero in edicola venerdì le indiscrezioni sulla nuova versione del Reddito di cittadinanza, che dovrebbe diventare decreto a cavallo del 10 gennaio, diventano lodi sperticate: «Le imprese entrano a pieno titolo nell’operazione reddito di cittadinanza», è l’incipit. E poco sotto: «Il reddito di cittadinanza inizia ad avere sempre più la veste di vera politica attiva e formativa oltre che di semplice lotta alla povertà». Perfino l’inviso – fino a ieri – Luigi Di Maio diventa un fautore di questa grande trasformazione che «piace molto al vicepremier e ministro del lavoro».

Come spiegare il repentino cambio di rotta del giornale di Confindustria? Semplice. Il «reddito di cittadinanza» nelle ultime bozze del decreto – per il Sole24Ore i requisiti di urgenza esistono? – si sta sempre più trasformando in sgravi contributivi alle imprese, in pieno stile Jobs act.

Ogni azienda infatti potrà persino mettersi in concorrenza con i Centri per l’impiego pubblici proponendo ai disoccupati un «patto per la formazione»: 100 ore gratuite che poi, in caso di assunzione, diventano uno sgravio contributivo di 780 euro al mese fino a tutti i 18 mesi di copertura del «reddito di cittadinanza».

Senza la «formazione» in azienda i mesi di sgravio per chi assumerà un disoccupato che beneficia del reddito di cittadinanza saranno comunque cinque: un incentivo non da poco, un taglio al costo del lavoro notevole in piena continuità con i governi del Pd, tanto «schifati» dal nuovo «governo del cambiamento».

Anzi, secondo il Sole24Ore la norma voluta da Di Maio sarebbe addirittura peggiorativa rispetto al Jobsact perché lo sgravio contributivo per l’azienda ci sarebbe anche in caso di assunzione con contratto a tempo determinato, sebbene di almeno 24 mesi.

La deriva del concetto stesso di «reddito di cittadinanza» come viene invece inteso nel resto del mondo – un sussidio senza condizioni – si dimostra anche nelle novità che riguardano i criteri di individuazione delle offerte di lavoro che il percettore del reddito non potrà rifiutare, pena la perdita del sussidio. La Lega spingeva per togliere completamente qualsiasi condizione: chi non accetta un lavoro qualsiasi non deve avere più il «reddito».

L’ultima versione del decreto invece prevede un mix di requisiti rispetto alla distanza chilometrica dal domicilio e alla durata del beneficio: più il tempo passa e più il beneficiario dovrà accettare lavori lontani, con una soglia che dovrebbe essere di 100 chilometri per i primi 12 mesi e una differenziazione a seconda dei carichi familiari. Nel calcolo dello sgravio contributivo alle imprese comunque entrerebbero anche fino a 150 euro per mutuo o fino a 280 euro per l’affitto nel caso in cui il beneficiario dovesse cambiare domicilio.

La durata massima del «reddito di cittadinanza» sarebbe di 3 anni ma dopo un anno e mezzo sarebbe previsto un «tagliando» per la verifica del mantenimento dei requisiti.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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