Il nuovo – e molto mediatico – segretario di un sindacato italiano, poco dopo essere stato eletto, ha attaccato il governo con una battuta che ha avuto un certo successo: “abbiamo due vicepremier che parlano di lavoro e povertà senza aver mai lavorato e senza essere stati poveri.”
Ho fatto anch’io politica, in un’epoca molto lontana – addirittura quando non c’erano i social – e so che nell’enfasi di un discorso, tanto più se ti rivolgi ai “tuoi”, una battuta ben assestata contro il tuo avversario fa sempre un certo effetto e ti garantisce un gratificante applauso. E naturalmente questo effimero successo è enormemente amplificato nell’epoca dei tweet, quando un “cinguettio” pare sufficiente a sostituire un intero discorso e anzi nessuno vuol più ascoltare un discorso: troppo lungo, bastano centoquaranta caratteri per fare politica. Però so anche che quando parli in pubblico – e specialmente ai “tuoi” – svolgi un’azione per così dire didattica e pedagogica, e quanto più tu sei autorevole, tanto più questa funzione è importante. 
Quella che ho riportato è una battuta efficace, ma molto stupida. Drammaticamente stupida. Antonio Gramsci non ha mai lavorato in fabbrica, eppure ha scritto sulla condizione dei lavoratori come nessun altro nella storia filosofica e politica del Novecento. Enrico Berlinguer non veniva da una famiglia povera e – come Di Maio e Salvini – non ha mai lavorato, eppure credo sia difficile immaginare un uomo politico capace come di lui di interpretare i bisogni della classe lavoratrice. 
Quello che ci siamo abituati a chiamare populismo – e di cui i due tizi oggetto di questa polemica sono indubbi campioni, avendo basato su di esso la propria fortuna politica – si deve contrastare non con il populismo, ma con il ragionamento. Perché se di fronte a un’affermazione populista noi rispondiamo con un’altra affermazione dello stesso tenore, avremo ottenuto il solo risultato di far crescere il populismo. Quella di questo nuovo segretario non è solo una battuta. Purtroppo. E’ l’ennesima prova che è ormai invalsa – ovunque a quanto pare – l’idea che fare politica non sia un lavoro.
Invece, caro Landini, la politica è un lavoro, faticoso e che richiede tempo, perché per studiare ci vuole tempo, tempo perso secondo questi tempi frenetici in cui l’unica cosa importante è fare, in cui ogni momento devi parlare, devi cinguettare.
Sarebbe davvero rivoluzionario se un leader politico – intervistato da uno di questi pennivendoli ignoranti che si vedono in televisione o che scrivono sui giornali – di fronte a una domanda dicesse: non lo so, prima di rispondere devo studiare. Invece tutti preferiscono dire la prima cazzata che viene loro in mente, magari una battuta, di quelle che vengono ripetute sui social. Tanto nessuno gliene chiederà mai conto. E sarebbe altrettanto rivoluzionario se alle argomentazioni populiste si rispondesse nel merito. Tra persone che urlano, il modo per essere ascoltati non è urlare più forte, ma parlare a bassa voce. Allo stesso modo quando stiamo tra i populisti, il modo per essere ascoltati è ragionare. Capisco che abbiamo perso l’abitudine a farlo. E siccome noi non siamo più capaci, allora è giusto che vincano loro. Che almeno non si vergognano a fare i populisti.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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