Di Robert Fisk

La maggior parte delle persone al di fuori degli Stati Uniti – e fino a questo mese, la maggior parte degli americani – non avrà sentito parlare di Michelle Alexander. Lei è un avvocato per i diritti civili e accademico e ha scritto un libro intitolato The New Jim Crow , e pochi mesi fa il New York Times l’ha assunta come giornalista regolare. Come milioni di americani neri – e bianchi – americani, Michelle è una seguace di Martin Luther King Jr .

La settimana scorsa ha iniziato il suo articolo di opinione,  sulla Vecchia Signora in Grigio (soprannome dato dai lettori al New York Times, n.d.t.) molto diffuso e di un conservatorismo irrepetibile, con un lungo e ammirato tributo all’attivista per i diritti civili  nero, Cristiano, non violento che, proprio un anno pima del suo assassinio, avvenuto nel 1968, aveva deciso che doveva far sentire la sua voce sul disastro della guerra del Vietnam.

Gli era stato detto di minimizzare il conflitto che era costato la vita a 10.000 americani, ma che era ancora sostenuto dall’establishment politico. Quindi, anche se sarebbe stato accusato falsamente di essere un comunista, scelse di rompere il suo silenzio.

Fin qui tutto bene, ma la scorsa settimana, la Alexander ha scelto di “rompere” il proprio silenzio. Non sul razzismo negli Stati Uniti o sulla cittadinanza di seconda classe o su Trump, ma sui Palestinesi.

Ops!

Infatti Michelle non solo ha ribadito la convinzione di Martin Luther King che Israele debba restituire parti dei suoi territori allora conquistati – Gerusalemme Est, Cisgiordania, Gaza e Golan – ma si è lanciata in una condanna lunga, eloquente, piuttosto paternalistica, autoindulgente ma coraggiosa, del trattamento oltraggioso da parte israeliana riguardo ai Palestinesi.

Come King, anche Michelle era stata in silenzio su “una delle grandi sfide morali del nostro tempo” – insieme al congresso degli Stati Uniti, agli attivisti per i diritti civili e gli studenti – ma decise che un ulteriore silenzio su Israele e i Palestinesi, sarebbe stato “tradimento”.

Se fossero stati saggi, gli amici di Israele, i loro sostenitori e lobbisti in America, avrebbero potuto mantenere la pace. Dopo l’elezione di Rashida Tlaib e Ilhan Omar al congresso, che sostenevano entrambe la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele – i commilitoni dello stato avrebbero potuto licenziare la Alexander come una parvenu, una studiosa fino ad allora rispettato che aveva cercato di avanzare nel suo status sociale, adottando la causa palestinese all’ombra di King senza la conoscenza né il sostegno politico ad appoggiarla. Invece no.

Il cielo è caduto. Era “cattiva” nelle sue opinioni, si sbagliava sui fatti, era potenzialmente antisemita, una “minaccia strategica” per Israele stesso. Il suo articolo era “pericolosamente imperfetto”, “un’invettiva piena di errori” che ignorava la violenza e il terrorismo palestinese. Era un segno proprio di come  gli amici di Israele siano stati scossi in un’America che sta infrangendo il vecchio tabù sulle relazioni tra USA e Israele e l’acquiescenza permanente di Washington alla colonizzazione illegale di Israele della terra araba che persino quel vecchio pezzo di artiglieria di Alan Dershowitz (giurista,  avvocato  e commentatore politico, n.d.t.) è stato gettato fuori dai  muraglioni  di Harvard per mirare a “uno degli articoli  più faziosi, scarsamente informati e storicamente inaccurati sul conflitto tra Israele e Palestina mai pubblicato da un giornale tradizionale”.

Come uno di quei magnifici cannoni di ferro che ci si aspetta che i turisti ammirino sulle antiche mura della fortezza, Dershowitz scagliò una serie di raffiche consecutive alla Alexander che aveva condannato la demolizione delle case palestinesi “senza menzionare che queste sono le case dei terroristi che uccidono bambini, donne e uomini ebrei”. Si era lamentata delle perdite a  Gaza  “senza menzionare che molte di queste vittime erano scudi umani dietro ai quali i terroristi di Hamas lanciavano missili contro civili israeliani”.

Ma questo tipo di spari è ora considerato così impreciso che gli americani – specialmente nel Partito Democratico – stanno cominciando a chiedersi che  cosa stia realmente accadendo in Israele e nelle terre palestinesi occupate.

Dershowitz non ha mai parlato del massiccio progetto di colonizzazione degli ebrei israeliani che sta rubando terra agli arabi palestinesi solo per gli ebrei e soltanto per gli ebrei in Cisgiordania.

La campagna di boicottaggio e disinvestimento contro Israele, che sostiene la Alexander – insieme alle donne del Congresso Tlaib e Omar – sta realmente “delegittimando” Israele, come sostengono i suoi critici? Oppure Israele si sta delegittimando da sola, confiscando la terra che non le appartiene?

Il vero motivo per tutto  questo fumo sul campo di battaglia  ha, naturalmente, meno a che fare con l’attacco della Alexander, robusto, anche se occasionalmente imbarazzante, all’ingiustizia israeliana vero i Palestinesi, che con   il suo background    colto, in quanto operatrice per i diritti civili delle persone di colore che potrebbe comprendere che cosa significa realmente l’ingiustizia, e le pericolose spaccature che appaiono all’interno del Partito Democratico riguardo all’appoggio dell’America a Israele, automatico, acritico, tranquillizzante e timoroso.

E’ facile accusare un americano bianco di essere antisemita per “avere infranto il silenzio” circa gli intrallazzi tra Stati Uniti e Israele; e del tutto un’altra faccenda condannare una persona american di colore senza dare l’impressione che tale condanna non sia di per sé razzista.

E leggete proprio quello che ha realmente scritto la Alexander.  Se gli Stati Uniti devono onorare il messaggio di King e non soltanto l’uomo,  insisteva nel dire,  “dobbiamo condannare le azioni di Israele: violente violazioni del diritto internazionale, occupazione continuata della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza, demolizioni di case e confische di terre. Dobbiamo gridare a gran voce contro il trattamento dei Palestinesi ai checkpoint, le perquisizioni di routine delle loro case e le limitazioni dei loro movimenti ”

Gli americani dovrebbero contestare “i fondi del governo USA che hanno sostenuto molteplici ostilità [sic] e migliaia di vittime civili a Gaza, così come i $ 38 miliardi di dollari che il governo degli Stati Uniti ha promesso in supporto militare a Israele”.

Ci sono i soliti errori, ovviamente. Gaza è – tecnicamente – non più “occupata” da quando Israele ha  chiuso i suoi insediamenti lì, nel 2005 .

Dal momento, però,  che la Striscia di Gaza è sotto assedio economico e militare, che i suoi confini terrestri e marittimi sono sigillati, che il suo territorio è in balia di bombe e proiettili israeliani ogni volta che Hamas lancia i suoi veri ma inesatti missili verso Israele – spesso per rappresaglia per le incursioni israeliane nella stessa Gaza – è pazzesco affermare che questo non costituisce una forma di occupazione.

Come ha aggiunto la Alexander: “Non dobbiamo tollerare il rifiuto di Israele perfino di discutere il diritto dei rifugiati palestinesi di tornare nelle loro case, come prescritto dalle risoluzioni degli Stati Uniti” senza dire che queste erano risoluzioni non vincolanti dell’Assemblea Generale dell’ONU e che pochi Palestinesi all’interno della Cisgiordania e di Gaza – non parliamo poi della vasta diaspora palestinese – credono davvero che i profughi del 1948 e i loro discendenti “ritorneranno” nella proprietà all’interno di quella che è ora Israele.

La schiera di critici, sia in Israele che negli Stati Uniti, che ora assaltano l’ultimo accademico americano liberal-tabù, probabilmente si rende conto di quanto serio possa essere l’editoriale della Alexander.

Si lamentano che attacchi infinitamente peggiori ai diritti umani si siano verificati in Siria, Iraq, Cecenia, Kurdistan. E’ vero,  ma il ruolo di Israele come alleato americano cambia queste equazioni. I siriani, gli iracheni, l’oceano di dittatori arabi e dei loro torturatori, i russi in Ucraina e i turchi in Kurdistan non pretendono di rappresentare noi, se non nella misura in cui tutti ormai strombazzano la loro battaglia apocalittica contro il “terrorismo mondiale”.

Ma gli israeliani dicono di essere uguali a noi, dicono che rappresentano i nostri valori di democrazia e libertà, che difendono le nostre libertà, che Israele e l’America devono essere inseparabili. E poi trattano i palestinesi con brutalità, negano la loro nazionalità, rubano e colonizzano le loro terre – e si aspettano che stiamo zitti.

Proprio il ricatto che è stato storicamente usato contro i politici, i diplomatici, i giornalisti e gli accademici statunitensi – cioè che sono “antisemiti” se osano esprimere il loro sdegno per le azioni di Israele – è uno degli obiettivi della Alexander. La paura generata dl sito della Canary Mission, che elenca studenti e professori favorevoli alla Palestina, e la locale legislazione degli Stai Uniti che può privare i cittadini americani dei loro mezzi di sostentamento se scelgono di boicottare i prodotti che provengono da un paese straniero che si chiama Israele, sta causando una rabbia reale.

Questo è il motivo per cui ai tentativi di imporre una nuova legge contro i movimenti di boicottaggio si oppongono Bernie Sanders  e i suoi colleghi. Il “silenzio” che la Alexander sta rompendo sul Medio Oriente, rappresenta proprio la minaccia americana alla libertà di parola che Sanders – che sia o no il candidato presidenziale nel 2020 – ha identificato.

Tuttavia, abbiamo ora raggiunto un altro strano precedente negli sforzi degli ipotetici amici di Israele di zittire la Alexander. Infatti molti di loro le stanno dicendo quello che avrebbe detto Martin Luther King se oggi fosse vivo. Era un sionista, le dicono. Avrebbe ripudiato le sue opinioni. E così, a un’accademica di colore si deve dire ora in che modo dovrebbe interpretare i pensieri e gli esempi del suo leader di colore iconico e ispiratore.

E se i membri coraggiosi e liberali della comunità ebraica americana che condannano Israele vengono regolarmente imbrattati come “ebrei che odiano se stessi”, come rende questo la Alexander?

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/why-u-s-figures-like-michelle-alexander-are-breaking-their-silence-on-israel

Originale : The Independent

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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