Che gli analisti finanziari della City, la borsa e i mercati spagnoli, sorridano sollevati per la rottura fra Iglesias e Errejón, spiega le disastrose conseguenze che potrebbe avere la crisi interna a Podemos.

Vacilla l’influenza dei podemisti sul governo Sánchez, proprio quando incalza il progetto di finanziaria per il 2019, con il suo aumento di tasse: la Tobin, quella per Google, l’Irpf, una tassa sui patrimoni, quella sul diesel. Ora potrebbe saltare tutto. Anche gli esiti, per la sinistra, alle prossime elezioni municipali, delle regioni autonome e del parlamento europeo, diventano una posta elevata che vede in gioco il futuro democratico della Spagna, con ripercussioni in Europa. Come primo effetto c’è l’euforia delle destre spagnole, PP, Ciudadanos e i fascisti di Vox, che percepiscono che l’onda lunga, che gli ha consentito di conquistare l’Andalusia, può riportarli a breve al governo in tutta la Spagna. Il terremoto di Podemos ha avuto il suo epicentro a Madrid con l’annuncio di Errejón di partecipare alla lista Más Madrid, la piattaforma della sindaca Carmena. Una scelta fatta con modi e tempi sbagliati, una operazione condotta con scarsa trasparenza, senza alcuna discussione collettiva. Una decisione che ha aperto all’offensiva delle destre, che potrebbe anche far cadere il governo Sánchez e le sue buone intenzioni. Poi scosse di assestamento con la rinuncia di Espinar a tutti i suoi incarichi istituzionali e sciame sismico a livello nazionale. Dalla chiamata di responsabilità della Carta di Toledo, sottoscritta da dieci segretari regionali per l’unità del partito, alla convocazione per il prossimo sabato del consiglio cittadino statale di Podemos, un conclave urgente. Sembra impraticabile una condotta differente dalle defezioni, appare impossibile far prevalere la ricerca di mediazioni intelligenti e un vero spirito unitario sulla disputa di personalità, sulle ambizioni e diffidenze per gli spazi di potere, su un apparato troppo centralizzato e burocratico. Agire senza una discussione collettiva segnala un deficit di democrazia nella vita interna di Podemos, oltre a svelare che le conclusioni del congresso di Vistalegre II hanno solo formalmente raccolto l’appello all’unità che saliva a gran voce dalle tribune del palazzo dello sport. Le numerose rotture fra fondatrici e fondatori di Podemos dicono quanto sia difficile, anche per un partito nato da un movimento sociale, uscire, una volta diventato partito, dalla triste parabola seguita dalle forze politiche tradizionali, dove non c’è armonia, ma solo ridicolo contrasto fra ciò che si dice e ciò che si fa, tra ciò che si fa e ciò che si è. Seppure con tempi e modi sbagliati, la domanda che Errejón pone è molto netta: per contrastare le destre e vincere le elezioni di maggio, partita europea compresa, Podemos serve ancora o è meglio ridimensionarne il ruolo? In buona sostanza Errejón & C. si chiedono se Podemos possiede ancora quella spinta propulsiva che gli ha consentito fino ad ora di rappresentare nelle istituzioni le istanze di cambiamento radicale che salgono dalla società spagnola, dalle piazze, dalle associazioni e dai movimenti. Errejón & C. hanno già deciso che quella spinta si è affievolita. Ora tocca a Podemos contrastare la forza normalizzatrice delle istituzioni, di uscire da ciò che allontana e tornare al confronto politico che può unire. Inutile ribadire la propria centralità, passando da nuove primarie per ridefinire la lista per la comunità di Madrid, mettendola in competizione con quella di Más Madrid. Il ruolo trainante di Podemos sarà legittimato solo da una realistica verifica del peso che Podemos ha nei conflitti che stanno attraversando ora la società spagnola. Per dimostrare che non è un progetto politico terminato, Podemos deve mostrare nei prossimi mesi di essere uno strumento utile alla riuscita dello sciopero globale femminista dell’8 marzo, alle ricorrenti manifestazioni dei pensionati in difesa del sistema pubblico, alle battaglie contro la Ley Mordaza ancora vigente, alle lotte contro il razzismo in difesa del ruolo delle Ong nel mediterraneo. È lì che va trovata la risposta a Errejón e alla sua ingenuità di pensare che si possano con più efficacia battere le destre sciogliendosi nel movimento e diluendo Podemos dentro una miriade di sigle. È un confronto che va aperto in fretta e su cui si dovrebbe tentare di coinvolgere l’insieme del corpo elettorale della sinistra e quindi anche i socialisti. Perché è del tutto evidente ormai che la crisi di Podemos sta ridando fiato a quel pezzo, non poco rilevante nel Psoe, che vuole affossare l’alleanza con Podemos e ritornare al dialogo con Ciudadanos, rilanciando l’incubo delle larghe intese. Non c’è molto tempo. Il rilancio di Podemos come forza decisiva di uno schieramento di sinistra vincente, lo decideranno le piazze e i conflitti sociali, non certamente il rimanere chiusi nelle sedi a leccarsi ferite e ridefinire liste elettorali.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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