di Jack Rasmus

A Davos, Svizzera, ogni anno l’élite capitalista globale si incontra per festeggiare… e per prepararsi all’anno in corso. Quest’anno risultano arrivare 1.500 jet privati. Migliaia di altri del loro personale sottoposto viaggerà in business class per gestire la loro logistica personale e societaria. Schermati dai media e dal pubblico, i grandi capitalisti condividono idee in privato e ascoltano esperti di finanza, politica governativa, tecnologia ed economia. Gli esperti sono specialmente sondati per identificare e spiegare il prossimo evento ‘cigno nero’ o ‘rinoceronte bianco’ prossimo a scoppiare. Anche celebrità ricche sono invitate a intrattenerli dopo cena e ai cocktail. Ma la vera socializzazione ha luogo privatamente dopo, in piccoli gruppi o singolarmente, tra gli stessi grandi capitalisti o in incontri privati con capi di stato, ministri delle finanze e presidenti di banche centrali.

Solitamente ogni incontro annuale ha un tema. Quest’anno ce ne sono diversi: il rallentamento dell’economia globale, la spaccatura del sistema del commercio internazionale, i crescenti livelli di debito insostenibile dovunque, mercati volatili delle attività finanziarie con bolle che cominciano a sgonfiarsi, crescente instabilità politica e svolta autocratica sia nelle economie avanzate sia in quelle emergenti, accelerazione della disuguaglianza di reddito in tutto il mondo, per citare solo una breve lista.

Alla vigilia della riunione del World Economic Forum di quest’anno, alcuni dei capitalisti più potenti, ricchi e più preveggenti hanno cominciato a parlare apertamente ai loro cugini capitalisti, sventolando un drappo rosso riguardo a quella che ritengono sia una crisi in arrivo.

Ray Dalio, il miliardario che ha fondato e gestisce il maggiore fondo hedge mondiale, Bridgewater Associates, ha avvertito che lui e altri investitori hanno spremuto i mercati finanziari a “livelli tali che è difficile vedere dove si possa spremere” ulteriormente. Ha ammesso pubblicamente in un’intervista a Bloomberg News che in futuro i profitti saranno limitati “per un tempo molto, molto lungo”. L’era della messa disposizione di denaro gratis da parte delle banche centrali, dei tassi bassi e dell’eccesso di liquidità ha completato il suo corso, secondo Dalio. Ha aggiunto che l’economia mondiale è infangata in livelli pericolosamente elevati di debito, paragonandola agli anni ’30. 

Paul Tudor, un altro grande capitalista finanziario, ha similmente ammonito circa i livelli insostenibili di debito – creati da imprese abbuffatesi di credito a basso costo dal 2009 – che “potrebbero essere sistemicamente minacciosi”. Non solo debiti governativi. Ma specialmente debiti societari, i cui livelli nei soli Stati Uniti sono raddoppiati a più di 9 trilioni dal 2009 (la maggior parte di essi ‘titoli spazzatura’ ad alto rischio e debiti obbligazionari societari di categoria “BBB” quasi altrettanto rischiosi).

Quasi altrettanto preoccupante, si potrebbe aggiungere, è il più di un trilione di dollari di debiti sul mercato dei prestiti leva negli USA (cioè prestiti equivalenti a titoli spazzatura). Il debito delle famiglie statunitensi sta anch’esso approssimandosi a 15 trilioni di dollari. E il debito governativo nazionale degli Stati Uniti, a 21 trilioni di dollari, sta per impennarsi nel prossimo decennio a 33 trilioni a causa dei tagli fiscali di Trump nel 2018. E questo senza contare altri trilioni di debiti statali e di amministrazioni locali statunitensi; o le decine di trilioni di debiti dollarizzati sottoscritti da economia dei mercati emergenti dal 2010;  o i 5 trilioni di dollari di prestiti bancari in sofferenza in Europa e in Giappone; o la sempre maggiore intensificazione del debito del settore privato in Cina.

I livelli di debito delle imprese non sono tuttavia da soli il problema. Il debito può crescere fintanto che lo fanno i prezzi delle attività finanziarie e i profitti reali; cioè rendendo disponibili i flussi finanziari per rimborsare il debito. Ma quando i profitti e i prezzi delle attività finanziarie (azioni, obbligazioni, derivati, cambi, contratti a termine su materie prime, eccetera) non crescono più, o cominciano a scendere, allora il debito (capitale & interessi) non può essere rimborsato. Seguono spesso insolvenze, causando la perdita di fiducia degli investitori. Successivamente crollano gli investimenti reali, l’occupazione e i redditi delle famiglie e l’economia reale è trascinata a sua volta. Il declino reale esacerba ulteriormente il collasso dei prezzi delle attività finanziarie e scatena un mutuo feedback di collasso economico finanziario e reale.

E i mercati finanziari hanno cominciato a sgonfiarsi nel 2018; e ora sta diventando sempre più chiaro che anche il lato reale dell’economia globale sta rallentando rapidamente.

A febbraio 2018 è apparso il primo segnale di preallarme per i mercati finanziari. Le azioni sono precipitate negli Stati Uniti, in Europa e persino in Cina. Si sono temporaneamente riprese: un ‘gatto morto può rimbalzare’ come dicono prima di un declino ancor più profondo in autunno. Poi i prezzi del petrolio e dei contratti a termine sulle materie prime sono crollati del 40 per cento o più nella tarda estate-inizi d’autunno del 2018. I mercati azionari hanno fatto di nuovo seguito nell’ottobre-dicembre del 2018 con un 30-40 per cento in Stati Uniti, Cina ed Europa e in mercati emergenti chiave. Anche le monete di mercati emergenti chiave – Argentina, Turchia, Indonesia, Brasile, Sudafrica – sono scese precipitosamente. E i prezzi delle case dalla Gran Bretagna all’Australia, alla Cina a New York hanno cominciato a implodere col finire dell’anno. Nel gennaio del 2019 i mercati azionari hanno recuperato, cioè una classica ripresa di breve termine di rialzo del mercato in quello che oggi un mercato globale fondamentalmente cedente a lungo termine.

In altri termini le preoccupazioni di Dalio e Jones riguardo al debito insostenibile e alla crisi incombente hanno cominciato a diventare reali.

Il loro divenire reali è anche prova di insolvenze emergenti, una fase cruciale che solitamente segue il declino del mercato dei titoli e il rallentamento dei profitti. Negli Stati Uniti c’è l’insolvenza della Sears, con JCPenney in attesa. E la mega società, un tempo la più grande del mondo, la General Electric Corp., sta dirigendosi goffamente all’insolvenza. I suoi profitti globali e il prezzo delle sue azioni stanno implodendo. La GE sta oggi svendendo disperatamente i suoi migliori attivi per raccogliere liquidità per rimborsare il suo debito in eccesso. Non è la sola. Dozzine di società dell’energia impegnate nella produzione statunitense di petrolio di scisto e di gas vacillano sull’orlo del baratro. In Europa ci sono problemi in aggravamento alla Deutsche Bank e quasi in tutte le banche italiane, all’UBS in Svizzera e nelle banche greche. Anche in Giappone ci sono trilioni di dollari di prestiti bancari incagliati che la banca centrale del Giappone continua a coprire. E poi c’è la Cina, con più di 5 trilioni di dollari di cattivi prestiti detenuti da amministrazioni locali, da banchieri ombra e da imprese di proprietà statale che la banca centrale e il governo cinese continuano a salvare emettendo “prestiti fiduciari” (cioè l’equivalente di titoli spazzatura negli Stati Uniti).

Fallimenti per insolvenza hanno cominciato a comparire dovunque nell’economia globale; in altri termini principali indicatori che l’accumulazione di debiti in eccesso e bolle finanziarie del decennio passato non possono essere ‘servite’ (rimborsato capitale e interessi) e hanno cominciato ad avere un impatto negativo sull’economia globale.

Quello che sta diventando chiaro è che la prossima crisi non emergerà dal settore immobiliare, con l’eccesso di debiti e bolle dei prezzi mossi da prestiti ipotecari subprime e derivati finanziari correlati. Quello che è più probabile è che la prossima crisi emergerà da insolvenze sul debito e da investimenti al collasso di imprese non finanziarie. Inoltre il momento critico è più prossimo di quanto gli economisti e i media ammetteranno.

I tagli fiscali di Trump nel 2018 hanno semplicemente gettato un velo sulla condizione reale dei risultati delle imprese negli USA l’anno scorso. I tagli fiscali hanno offerto una manna caduta dal cielo, un sussidio una tantum ai saldi di bilancio delle imprese. Si stima che i profitti delle imprese statunitensi della lista S&P 500 siano stati incrementati del 22 per cento dai soli tagli fiscali di Trump. Poiché i profitti delle società di S&P 500 per il 2018 erano circa del 27 per cento, significa che i profitti reali erano a malapena del 5 per cento. Questa è la situazione reale entrando nel 2019: una condizione che garantisce che i mercati azionari, quelli dei titoli spazzatura e i mercati dei prestiti leva degli Stati Uniti in particolare vivranno nel 2019 una contrazione anche maggiore di quella del 2018. Le bolle continueranno a scoppiare.

Nell’economia globale è ancor più evidente che entro la fine del 2019 è probabile che ci sarà recessione in vasti settori dell’economia reale globale in mezzo a ulteriori declini dei prezzi dei mercati finanziari.

In Europa il motore della crescita, la Germania, sta mostrando segni sicuri di rallentamento. La manifattura e la produzione industriale negli ultimi mesi del 2018 sono scese dell’1,9 per cento. Dopo il declino del PIL nel terzo trimestre del 2018, un’altra contrazione tedesca nel quarto trimestre 2018 significherà una recessione tecnica. Pari ad almeno un terzo di tutta l’economia dell’eurozonas, dove va la Germania va l’Europa. Anche la manifattura di Francia e Italia si sta contraendo. Avendo quasi stagnato allo 0,2 per cento nel terzo trimestre, l’economia dell’Europa in generale può essere già scivolata in recessione. E tutto questo prima che siano ulteriormente avvertiti gli effetti negativi di una Brexit britannica o dell’implosione di banche italiane o di un’intensificazione delle proteste in Francia.

Nelle economie dei mercati emergenti la costane ascesa del dollaro USA nel 2018 (spinta dall’aumento dei tassi d’interesse dalla banca centrale statunitense) hanno devastato a tutto campo le economie dei mercati emergenti. Il crescente valore del dollaro si è tradotto in un corrispondente collasso delle monete dei mercati emergenti. Ciò ha innescato una fuga di capitali da tali economie e a sua volta la caduta dei loro mercati azionari e obbligazionari. Per tamponare il deflusso le loro banche centrali hanno aumentato i tassi d’interesse il che ha scatenato una profonda recessione nell’economia reale, mentre le loro monete al collasso hanno generato anche prezzi più elevati delle importazioni e una generale inflazione nelle loro economie. Quella è stata la storia dall’Argentina al Brasile alla Turchia al Sudafrica e persino ad alcune parti dell’Asia.

Il blocco dell’aumento dei tassi statunitensi nel 2019 può alleviare in qualche misura la pressione sulle economie dei mercati emergenti. Ma tale alleggerimento sarà più compensato dal rallentamento dell’economia cinese ora in corso nel 2019. Ufficialmente al 6,6 per cento nel 2018, secondo statistiche cinesi, l’economia reale della Cina sta indubbiamente crescendo meno del 6 pe cento a causa dei metodi usati per stimare la crescita in Cina. La sua manifattura ha cominciato a contrarsi a fine 2018 anche con un considerevole declino degli investimenti privati e della spesa dei consumatori in auto e beni durevoli. Il rallentamento della Cina si tradurrà in minore domanda di prodotti e di materie prime delle economie dei mercati emergenti, tra cui petrolio e metalli industriali. Una tregua dell’aumento del dollaro per le economie dei mercati emergenti sarà dunque vanificata dal rallentamento della Cina.

Quando sia mercati delle attività finanziarie sia l’economia reale rallentano insieme si tratta di un ‘allarme rosso’ particolarmente forte per il percorso economico di fronte. E altre contrazioni delle azioni e di altre attività finanziarie, assieme al rallentamento della manifattura, del settore immobiliare e del PIL in Europa, USA e Giappone nel 2019 probabilmente significheranno guai in arrivo nel 2019.

Assieme a tutti i dati che sempre più indicano uno sgonfiamento delle attività finanziarie che prende piede a più lungo termine – e con indicatori dell’economia reale, come manifattura, settore immobiliare, PIL, esportazioni che anch’essi agitano ora drappi rossi – c’è anche una crescente lista di punti dolenti politici e di potenziali ‘rischi estremi’ che emergono nell’economia globale. Alcuni dei “cigni neri” sono identificabili; altri devono ancora esserlo.

Negli Stati Uniti il blocco della spesa governativa e le prospettive di uno stallo tra i partiti per due altri anni potrebbero qualificarsi come una fonte di un ulteriore scompiglio economico. In Europa ci sono diversi ‘rischi estremi’: la situazione della Brexit che esploderà in aprile, la sfida all’Europa da parte del nuovo governo populista italiano, le croniche e gravi proteste di piazza che continuano in Francia e la generale svolta politica e sociale a destra in tutta l’Europa dell’est. In America Latina ci sono le politiche estremamente repressive di Bolsonaro in Brasile e di Macri in Argentina che a un certo punto potrebbero finire in rivolte pubbliche di massa. In Asia ci sono la corruzione e gli scandali in Malesia e India. E c’è la guerra commerciale con la Cina su cui alcuni fazioni negli USA cercano di far leva per lanciare una nuova guerra fredda. Non ultimo c’è il potenziale collasso dei negoziati tra USA e Corea del Nord che potrebbe portare a rinnovate minacce di conflitto militare. Tutte queste ‘instabilità politiche’, considerato il numero e la portata, se lasciate irrisolte, o se consentito che si aggravino, avranno un ulteriore effetto negativo sulla fiducia delle imprese e dei consumatori – che oggi già rallenta rapidamente – e a sua volta sugli investimenti e perciò sulla crescita economica.

Gli avvertimenti di Ray Dalio e Tudor Jones alla vigilia di Davos hanno trovato eco in una lista crescente di notabili del capitalismo e dei loro servi ed echi governativi. La presidente del FMI, Christine Lagarde, ha ripetutamente dichiarato pubblicamente che il commercio e l’economia globale stanno rallentando. Riflettendo in particolare l’Europa, dove le esportazioni sono ancor più cruciali per l’economia, è stata particolarmente ammonitrice a proposito di una guerra commerciale potenzialmente grave tra USA e Cina che scompigli il sistema commerciale globale, e a sua volta l’economia globale. Il FMI ha diffuso ripetuti aggiustamenti al ribasso delle sue previsioni economiche globali. Lo stesso ha fatto la Banca Mondiale, così come un numero crescente di uffici ricerche di grandi banche, dalla Banca Nomura in Giappone alla UBS in Europa. Ex presidenti della banca centrali USA, Janet Yellen e Ben Bernanke, sono intervenuti e hanno alzato drappi rossi riguardo al corso dell’economia USA e di quella globale. L’ex presidente della Fed, Greenspan, ha persino dichiarato che gli USA sono già su una via alla recessione dalla quale non possono ora districarsi.

Considerati tutti i dati emergenti di conferma gli allarmi e gli avvertimenti riguardo allo stato attuale dell’economia globale e alle crescenti incertezze politiche globali, i Dalio, i Jones e altri tra la folla di Davos sono particolarmente preoccupati quest’anno.

Alla vigilia del primo giorno del Forum il 23 gennaio 2019 un argomento di spicco di discussione nei cocktail party è il mormorio a proposito del bollettino privato appena trapelato del miliardario Seth Klarman, che dirige uno dei maggiori fondi del mondo, il Beaupost Group. Nel suo bollettino fatto arrivare al New York Times e diffusamente circolato tra i primi partecipanti di Davos, Klarman risulta aver rimproverato i suoi lettori-investitori per non prestare maggiore attenzione alle instabilità politiche che crescono in tutto il mondo, alla direzione di Trump che è “parecchio pericolosa” e agli USA che in effetti arretrano dalla guida globale, lasciandosi dietro un vuoto pericoloso.  Gli investitori sono diventati anche troppo compiaciuti riguardo al debito e ai livelli di rischio globali che ora crescono pericolosamente, sostiene. Il tutto potrebbe ben portare a un panico finanziario, aggiunge. Gli USA, in particolare, sono a un ‘punto di flessione’. Conclude sinistramente: “Arrivati al momento in cui la crisi colpisce, sarà probabilmente tardi per mettere ordine nella nostra casa”.

Le recenti dichiarazioni di Dalio, Tudor Jones, Klarman e altri mi ricordano una delle ultime crisi e crollo del 2008. Quando a Charlie Prince, amministratore delegato di Citigroup, all’epoca la banca più grande, è stato chiesto dopo la crisi perché non l’aveva vista arrivare e non aveva fatto qualcosa per evitare la bomba tossica dei mutui-derivati per proteggere i suoi investitori e clienti, Prince ha replicato che l’aveva vista arrivare ma non aveva potuto fare nulla per fermarla. I suoi investitori e clienti pretendevano che la sua banca continuasse – come facevano le altre banche – a investire in mutui ad alto rischio [subprime], a prestare a banche ombra, a vendere derivati rischiosi e così a continuare a fare soldi per loro, proprio come stavano facendo le altre banche. La risposta di Charlie a perché non aveva fatto nulla per impedirlo o per prepararsi è stata: “Quando si è in ballo bisogna ballare”.

Indubbiamente la folla di Davos festeggerà e danzerà nei prossimi giorni nel suo elegante rifugio sicuramente blindato in Svizzera. Dopotutto gli ultimi dieci anni ha aumentato i loro redditi di capitale letteralmente di trilioni di dollari. E i capitalisti sono mossi da un’irrazionale mentalità da gregge quando hanno fatto soldi. Ritengono di poter continuare a farlo per sempre. Ritengono che la musica dei soldi non si fermerà mai. Ci si può solo chiedere se più in là quest’anno danzeranno alla stessa musica di Charlie nel 2008.

Il dottor Rasmus è autore del libro ‘Central Bankers at the End of Their Ropes: Monetary Policy and the Coming Depression’, Clarity Press, Agosto 2017 e dell’imminente ‘The Scourge of Neoliberalism: US Policy from Reagan to Trump’, 2019. Jack conduce il programma radiofonico Alternative Visions sulla Progressive Radio Network. Tiene il blog jackrasmus.com e il suo collegamento Twitter è @drjackrasmus.com               

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale:https://zcomm.org/znetarticle/global-economy-on-the-brink/

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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