«L’Abruzzo? È un voto marginale». Il senatore Gianluigi Paragone prova a minimizzare il tonfo elettorale del Movimento 5 Stelle mentre i vertici grillini tengono spenti i telefonini e i profili social sigillati. Il silenzio dura per tutto il lungo giorno che segue i deludenti risultati delle elezioni regionali. Ed proprio quest’insolita scomparsa dagli schermi di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, i due che hanno condotto questa campagna elettorale abruzzese, a segnalare che quel voto è tutt’altro che «marginale». Più di un’inquietudine circola tra i 5 Stelle, nelle alte sfere e nella base. Finisce che il silenzio dei capi, di solito impegnati a indicare le parole d’ordine e imprimere una direzione ben precisa alle esternazioni, lasci spazio ad un insolito commento a più voci del voto abruzzese, una sceneggiatura a più voci che spesso bisogna leggere tra le righe. L’altro parlamentare M5S che viene dal giornalismo televisivo, il deputato Emilio Carelli, prova ad abbozzare una timida discussione sulla sconfitta: «Bisogna accertarsi se qualche errore ci sia stato nella scelta di alcuni uomini, alcuni temi, alcuni toni – dice Carelli – Gli altri partiti di fronte a risultati non buoni hanno sempre finto che nulla fosse accaduto. Noi non siamo come loro. Analizzare gli errori e correggere la rotta sono atti di serietà, maturità e rispetto verso chi crede nella diversità del M5S». Il sottosegretario agli affari regionali Stefano Buffagni, che interpreta la linea più vicina a Di Maio, ridefinisce in questi termini il rapporto con Matteo Salvini, uscito trionfante dalle urne: «Noi facciamo le cose, lui è più bravo a venderle». Il rapporto con la Lega è blindato, perché il M5S in questo momento non avrebbe vantaggi immediati da una rottura e perché allo stesso Salvini interessa che tutto continui come se nulla fosse. Ecco perché manda un messaggio distensivo a Di Maio: l’equilibrio tra i due segnala che l’alleanza non si scioglie. Per oggi è prevista la riunione settimanale del martedì tra Di Maio e gli altri ministri e i due capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva. Nel pomeriggio circola la voce che sarebbe stata chiesta la riunione congiunta dei gruppi parlamentari. L’ultima volta partecipò il «cittadino» Alessandro Di Battista. Più di un eletto pone dei dubbi sui toni usati da Di Battista, sul suo presentarsi ai comizi con le stesse parole di quando il M5S era all’opposizione. Si attende che Di Maio renda conto dei prossimi passaggi, delicatissimi: il dossier Tav e la richiesta di processo che pende su Salvini. Tra i senatori, una spina nel fianco del «capo politico» come Elena Fattori invita esplicitamente a ritornare alle origini, «laddove avevamo cominciato il cammino». Ma i dati abruzzesi spingono a ben altre considerazioni che investono alcune regole fondative. La prima, inconfessata solo fino a qualche giorno fa, riguarda la possibilità di allearsi con altri soggetti, visto che il numero dei candidati ha qualche peso, soprattutto nelle elezioni locali. Lo ricorda l’europarlamentare siciliano Ignazio Corrao, che ascrive la sconfitta in Abruzzo come quella di mesi fa nell’isola: «Così come successo in Sicilia, in Abruzzo hanno vinto le accozzaglie di liste». Ma che genere di alleanze sarebbero ammesse per una formazione che ha sempre fatto della sua autosufficienza un vanto? Ancora da Bruxelles, la calabrese Laura Ferrara da una parte nega che nella sua regione in novembre il M5S andrà al voto assieme con l’alleato nazionale, cioè la Lega. Dall’altra non esclude affatto che si possa giungere ad accordi con qualche altra lista civica. Il che sarebbe già un passo non indifferente verso la costruzione di cartelli elettorali. Rispunta l’eterna questione: se rimane la tagliola del limite dei due mandati i più ambiziosi non sono disposti a candidarsi alle elezioni amministrative e magari bruciarsi una legislatura. La conferma che questa è la giornata dell’autocritica che si trasforma in critica dei capisaldi, arriva quando il deputato Andrea Colletti colpisce due piccioni con una fava: il verticismo di Di Maio e la piattaforma Rousseau di Casaleggio: «La nostra forza sono gli attivisti e i consiglieri comunali – dice Colletti – Dovremmo smetterla di considerarli solamente come risorsa da campagna elettorale e coinvolgerli, a tutti i livelli, nelle decisioni. Perché per me un attivista vale di più di un anonimo votante sulla piattaforma Rousseau». Trovare una sintesi tra tutto questo è la sfida immediata per Di Maio e i suoi.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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