Io c’ero nel ’92 e nel ’93, facevo politica attiva, vivevo quegli anni di improvvisi e spesso drammatici cambiamenti con inevitabile preoccupazione, ma – anche per via dell’età – con un certo ottimistico entusiasmo: pensavo davvero di poter fare la differenza. Ma evidentemente non è stato così.
Erano gli anni che per pigrizia giornalistica chiamammo di Tangentopoli. Erano i mesi in cui gli arresti si susseguivano a un ritmo sfrenato, perché le manette erano diventate uno strumento di indagine. Questo era in sostanza il metodo del tanto osannato pool dei magistrati milanesi: veniva tolta la libertà a molte persone e poi cominciava l’indagine, confidando in crolli psicologici e soprattutto nella viltà dei traditori. Qualcuno allora tentò di protestare, tentò di dire che quella strada ci avrebbe condotto al baratro, ma non volevamo ascoltare, perché volevamo quegli arresti. Ne volevamo sempre di più.
C’era cattiveria nell’aria. Ogni arresto era accolto da applausi e più l’arrestato era potente più questi erano fragorosi. Era la cattiveria che vedemmo nella notte del 30 aprile ’93, davanti all’ingresso del Raphael. Vedevamo le manette e gioivamo. Gli arresti erano diventati uno spettacolo televisivo, che aprivano ogni sera i telegiornali. E tante fortune politiche sono nate grazie a quelle manette: chi nelle piazze urlava contro i ladri e contro i corrotti veniva seguito, a prescindere da qualunque altra cosa dicesse, chi aveva fatto scattare quelle manette veniva portato sugli scudi.
Adesso, riguardando a quella storia con il disincanto di chi non ha più vent’anni, sono convinto che ci fosse un disegno. Non sono un complottista, non penso che ci sia stato qualcuno che deliberatamente fece scoppiare quello scandalo e condusse le vicende fino a dove sono giunte, ma certamente in tanti fummo guidati, più o meno consapevolmente, verso un esito che qualcuno aveva prefigurato e da cui ha tratto incredibili benefici. Il biennio di Tangentopoli ha segnato la fine definitiva della democrazia rappresentativa e parlamentare nel nostro paese, ha sancito la morte dei partiti politici e la decomposizione degli altri corpi intermedi, ha decretato la nascita di una sorta di post-democrazia, in cui le scelte sono sempre più sottratte ai cittadini a favore di un’élite tecnico-capitalista, che negli anni successivi si è imposta e ha dominato senza controlli e senza freni i paesi occidentali, non solo l’Italia, in cui la Costituzione è stata messa “sotto tutela” e spesso disapplicata.
E noi abbiamo partecipato a tutto questo, abbiamo fatto di tutto per uccidere i partiti – peraltro già agonizzanti – votando a favore dell’introduzione del maggioritario, dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle regioni, riducendo il finanziamento pubblico alla politica, assumendo come un dato di fatto un bipolarismo posticcio, in cui fingevamo di dividerci, per poi fare le stesse cose una volta arrivati al governo. E lo abbiamo fatto sempre elogiando i magistrati, anzi – in particolare nel campo di quello che cominciammo a chiamare centrosinistra – scegliendo preferibilmente come nostre guide alcuni di loro, perché erano nell’immaginario di quegli anni – e purtroppo per molti è ancora così – gli unici depositari delle virtù politiche.
Ripensandoci quegli anni sono stati terribili per la storia politica e sociale del nostro paese: eravamo cattivi, volevamo vendetta. Ma forse pensavamo ancora che qualcosa potesse cambiare. 
Anche perché mi ricordo bene di quegli anni, ho molta paura di quello che sta succedendo oggi. L’immotivato entusiasmo con cui abbiamo accolto la notizia dell’arresto dei genitori di un leader che disprezziamo, la sete di vendetta dei sostenitori di quel leader, che ora vogliono un arresto nell’altro campo, per una sorta di legge del taglione, lo scoramento che ha preso tanti per il mancato rinvio a giudizio di un ministro, sono i segnali che stiamo precipitando di nuovo in quel clima. Mi aspetto una stagione in cui le manette torneranno a essere protagoniste, in cui prima si arresterà e poi si comincerà a indagare, in cui gli arresti torneranno a essere uno spettacolo televisivo. Ma c’è anche una differenza profonda con quegli anni ormai lontani: adesso è solo rancore, è solo cattiveria, non c’è l’idea che qualcosa potrà cambiare.
Abbiamo visto quali sono stati gli esiti di quel biennio della storia italiana, come sia la democrazia e la politica ne siano uscite profondamente ridimensionate e ferite. Sinceramente non so, in questo clima avvelenato, quali potrebbero essere le conseguenze di una nuova stagione come quella. Temo le peggiori.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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