L’istruzione sembra diventata il bancomat dei governi, da cui prelevare risorse ogni volta che ce n’è bisogno. In Italia, un paese tra gli ultimi al mondo per la quota di spesa destinata all’istruzione (152° su 157 totali, dati Oxfam), quello di tagliare sulla scuola sembra essere un vizio costante, che lascia dietro di sé conseguenze devastanti. di Flavia Lepizzera – Senza Tregua Proprio così, perché dietro ai fondi sottratti ci sono milioni di studenti e famiglie di lavoratori, migliaia di insegnanti costretti a tenere in piedi la baracca in un perenne stato di austerità. Lo abbiamo visto in questi anni di crisi, segnati dall’attacco alla spesa sociale per rientrare nei vincoli imposti dall’Unione Europea. Anche la legge di bilancio approvata al termine del 2018 si inserisce in questo solco. Nei fatti, nonostante sia stata presentata come una manovra costosa, non mancano i tagli alla spesa sociale. Il fondo povertà viene decurtato di 6,6 miliardi per il triennio venendo destinato a parziale copertura del Reddito di Cittadinanza. Per i ministeri è previsto un taglio della spesa di circa 1,4 miliardi di euro solo per il 2019, mentre il taglio più consistente, forse non abbastanza discusso è quello del settore Scuola all’interno del comparto dell’Istruzione, Università e Ricerca. Non appena la notizia viene pubblicata su diverse testate giornalistiche, scendono in campo i Cinque Stelle per salvare la faccia e conservare la loro immagine di paladini del popolo, con i dovuti riguardi nei confronti di tutti quei lavoratori della scuola che hanno riposto fiducia nelle loro promesse. La prima replica – davvero inconsistente – arriva dal sottosegretario all’istruzione Salvatore Giuliano che parla di “razionalizzazione delle risorse” per mascherare i tagli con un termine più morbido. Lo segue a ruota Luigi Gallo, presidente della VII commissione alla Camera dei Deputati (quella che si occupa di cultura, scienza ed istruzione) il quale rilancia invitando a guardare le finanziarie del governo Gentiloni. Gallo infatti evidenzia l’aumento di circa 1,3 miliardi nel 2019 sulle previsioni dell’anno precedente: poche briciole, se paragonate al gioco a ribasso sull’istruzione e il diritto allo studio che da decenni governi di centro destra e di centro sinistra portano avanti! Dare con una mano e togliere con l’altra non scagiona il governo dalle accuse, allora Gallo invita ad attendere le finanziarie sugli anni successivi prima di esprimere giudizi. Resta il fatto che questi tagli sono messi nero su bianco e fondano già una dichiarazione di intenti che la dice lunga sulla natura di questo governo, che relega l’istruzione ai margini del dibattito pubblico. Sono bastati due deboli interventi farciti di propaganda per mettere tutto a tacere: la notizia scompare dai giornali e il silenzio dell’opinione pubblica dà a queste dichiarazioni traballanti il valore di una smentita. Tra le scelte politiche del governo e la propaganda c’è un abisso. Con un paio di slogan si mette a tacere il dibattito nascondendo la polvere sotto il tappeto, per lasciare spazio ai cavalli di battaglia di questo governo che nutre di menzogne il proprio elettorato e le classi popolari. In un quadro così fumoso dire la verità è un atto rivoluzionario ed è nostro compito smascherare le bugie. Si dice che i fatti hanno la testa dura: analizziamo quindi i dati contenuti nella manovra 2019 per fare chiarezza e capire davvero cosa succede. Alla tabella 7 della Legge di Bilancio troviamo i finanziamenti per il Ministero dell’Istruzione, ripartiti per categorie e voci di spesa. Partiamo da qui: Come è evidente si parla di una riduzione da 48,3 a 44,4 miliardi spalmata su tre anni (dal 2019 al 2021), con una diminuzione delle risorse sia per l’istruzione primaria (da 29,4 a 27,1 miliardi di euro) che per quella secondaria (da 15,3 a 14,1 miliardi). Tutt’altro che briciole, se si considera che corrisponde al 10% dei finanziamenti complessivi destinati al settore scuola! Nel corso del triennio spariscono 450 milioni per l’edilizia, mentre in tutta Italia le condizioni edilizie ed igienico-sanitarie degli istituti scolastici mettono a dura prova la sicurezza di lavoratori e studenti e la continuità didattica. Espressioni queste che, da un po’ di tempo a questa parte, si sentono spesso in merito alla scuola, parte dell’eterna campagna elettorale attraverso la quale il governo tenta di sfuggire dalle proprie responsabilità politiche. Mentre il Ministro Salvini lancia il piano “Scuole Sicure” per installare telecamere e aumentare i controlli di polizia nelle scuole, vengono tagliati fondi alla scuola pubblica già in ginocchio: nessuna risposta per gli studenti che ogni giorno fanno lezione al freddo in scuole che crollano letteralmente a pezzi, costretti a rinunciare a buona parte della loro formazione, per l’insufficiente capienza degli edifici o per le lacune di laboratori e palestre. Per dare un’idea della gravità dell’emergenza sull’edilizia scolastica, basti pensare che sarebbero circa 17milioni* i soldi necessari per attuare interventi di bonifica dall’amianto presente nelle strutture scolastiche solo a Roma! Viene meno un milione alla spesa per la prevenzione della dispersione scolastica, nel paese dove 151.555 studenti hanno abbandonato la scuola prematuramente nell’ultimo quinquennio, circa uno studente su quattro. Il taglio più drastico riguarda la riduzione dei fondi per gli insegnanti di sostegno per alunni disabili o con bisogni educativi specifici, un miliardo nel ciclo primario, 300 milioni in quello secondario. Un settore storicamente sotto organico, che presenta quest’anno una crescita del rapporto tra alunni disabili e insegnanti di sostegno. In Italia c’è un insegnante di sostegno ogni 1,73 alunni e i posti in più vengono assegnati a supplenti non specializzati, mettendo a rischio la continuità didattica sul soggetto e sulla classe. Il risultato è uno solo: meno ore di didattica per tutti. Mentre si taglia su ogni voce di spesa, il governo sembra aver trovato fondi per qualcosa. Indovinate? I contributi pubblici alle scuole private rimangono stabili, se non basta l’entità della complessiva riduzione dei fondi al settore scuola a farci riflettere. I soldi alle scuole non statali sono una costante nel nostro paese, una vergogna che procede senza soluzione di continuità. Un gran regalo ai diplomifici, in barba alle necessità di milioni di famiglie lavoratrici. Questo il bilancio di un’istruzione abbandonata a sé stessa che si regge sui contributi “volontari”, richiesti a famiglie di lavoratori già contribuenti. Un espediente introdotto gradualmente che permette e giustifica l’appiattimento della spesa pubblica, utile solo a regalare risorse ai grandi creditori. A farne le spese è la formazione dei più giovani, costretti dagli altissimi costi dell’istruzione a scegliere la scuola a seconda della propria possibilità economica e non in base alle proprie attitudini e aspirazioni. Il governo dichiara che alla scuola “serve impegno, duro lavoro e sacrificio” e non maggiori finanziamenti, perché i soldi non ci sono, salvo poi confermare l’impegno italiano nel programma F35 e ribadire che l’Italia punta a raggiungere l’obbiettivo Nato di spesa per la difesa del 2% del PIL. Piegato agli interessi dei grandi monopoli europei, questo governo si scopre in piena continuità con quelli precedenti, in un susseguirsi di misure antipopolari e tagli che non rispondono alle necessità reali dei più ampi settori della popolazione. È necessario interrogarsi sulle contraddizioni che sono emerse rispetto a questa breve analisi riguardante il bilancio di una delle sette economie più ricche del mondo. Per esempio dovremmo chiederci perché un paese come Cuba, che soffre degli effetti di un blocco internazionale pesantissimo, spende il 23,7% del proprio bilancio nazionale per l’istruzione. E dovremmo dare anche ai nostri coetanei l’opportunità di porsi questa domanda. Quella che abbiamo proposto in queste righe è la fotografia di una scuola che riflette ed alimenta le contraddizioni interne al sistema capitalista: non è certo il risultato di una sola manovra. Disinvestire sulla scuola vuol dire renderla garante del capitale, svuotandola di un qualsiasi intento educativo. Vuol dire metterla a servizio dei padroni, manifestando un unico obbiettivo: quello di forgiare una massa acritica ed assenziente, a cui offrire un futuro di precarietà, sfruttamento e disoccupazione. L’istruzione deve essere al servizio dei lavoratori e della società nel suo complesso e non uno strumento di profitto utile soltanto all’alta borghesia che impone un’istruzione sempre più per pochi. Questa, la scuola che rivendichiamo, è inconciliabile con il capitalismo. Una scuola gratuita e di qualità, accessibile a tutti, è l’unico modello di scuola per cui valga la pena lottare, mettendo a servizio di tale lotta le nostre braccia, le nostre menti e la nostra conoscenza.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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