E’ da più di un mese e mezzo che siamo a Madrid, a 600 chilometri da casa e dalle nostre famiglie e amici, e da più di 30 giorni è iniziato il processo alla democrazia. Siamo di fronte a una farsa giudiziaria, e più passano i giorni, più i cittadini di tutto il mondo se ne stanno accorgendo. di Oriol Junqueras Lo ripeteremo tutte le volte che sarà necessario: votare non è un reato, neppure fare un referendum, impedirlo con la forza forse sì lo è. Siamo prigionieri politici e siamo perseguitati per le nostre idee, ma non dobbiamo dimenticare una cosa: ciò che, in realtà, è in gioco la democrazia stessa. Chi è messo davvero alla prova è lo Stato, e non supererà l’esame. Il ritmo giornaliero è estenuante. Durante i giorni del processo non vediamo neppure la luce del sole. Tuttavia i volti familiari che vediamo tra il pubblico del processo ci riempiono di forza e di allegria. Sono quegli sguardi e sorrisi che possiamo cogliere senza vetro, senza interfono o telefono. Siamo dove è stato il presidente Companys (il presidente della Catalogna imprigionato e poi fucilato nel 1940, ndt) 80 anni fa, prendiamo in consegna questa e molte altre battaglie per la libertà e la democrazia. Siamo gli eredi e i portatori del testimone, e non ho dubbi che vinceremo. Lo facciamo per loro, ma anche per coloro che verranno, per i nostri figli. Cerco di camminare per il patio il più possibile nei giorni in cui non siamo citati alla Corte Suprema per approfittare delle ore di sole. Cerco anche di giocare a basket, anche se molte delle ore le passo a lavorare scrivendo lettere e documenti. Scrivo decine e decine di note e lettere a colleghi e amici e rispondo ad alcune delle tante lettere che riceviamo dai cittadini. Il loro sostegno è immenso, la generosità e i loro messaggi ci mantengono forti tra queste quattro mura. Siamo qui per loro, per la democrazia, per la libertà. Inoltre dedico ore allo studio, cerco di continuare a imparare, leggo di fisica, poiché preparo articoli sulla fisica quantistica, e intanto continuo a preparare il processo con gli avvocati. Negli ultimi mesi, ma anche da quando sono tornato a Madrid, approfitto per scrivere ai miei figli, Luca e Giovanna. Scrivo loro storie che parlano del mondo, dell’universo, esperimenti che mi permettono di fare padre a distanza, oltre le due ore al mese (le visite consentite dal regime carcerario, ndt). Voglio occuparmi di loro, coccolarli con queste lettere piene di tenerezza e di alcune storie che permettano loro di imparare la fisica, la chimica, aneddoti o semplicemente leggende. Difatti, sta per essere pubblicato un libro che raccoglie tutti questi racconti e che avrà un prologo dell’amico Pep Guardiola. Voglio che sappiano che il loro padre è una brava persona, che vuole bene agli altri e cerca di fare sempre il meglio per la collettività, ma soprattutto ama loro e la loro madre. Da 500 giorni sono in carcere preventivo. Ci vogliono mettere a tacere e pensavano che rinchiuderci in prigione avrebbe fatto sparire più di 2 milioni di persone, che svanissero le loro idee. Probabilmente gli ingenui non siamo stati noi. Questa ingiustizia li perseguiterà e li distruggerà, questa causa è ogni giorno più grande, meglio conosciuta in tutto il mondo, e come ricorda l’amico Jordi Cuixart, la priorità non è quella di uscire di prigione, ma denunciare la violazione dei diritti e della libertà, denunciare la censura e il blocco della democrazia, la difesa della legittimità e della ragionevolezza dei nostri ideali, ogni volta più rafforzati. Torniamo a essere convocati alle urne, abbiamo l’opportunità di dimostrare la nostra forza sul terreno che ci piace di più: la democrazia. Andiamo a vincere, per quanto provino a metterci a tacere. Ed è per questo che ho deciso di presentarmi insieme a Gabriel Rufián e Carolina Telechea e insieme al compagno di prigionia Raul Romeva al Senato. Voglio continuare a lottare, come ho sempre fatto, per la libertà del mio paese. E avremo successo. Il futuro della Catalogna, potete starne certi, solo si risolverà votando, non si deciderà in questo tribunale, maestoso come immagine, ma flebile e debole nella sostanza. Lo decideremo nelle urne tutte le volte che sarà necessario.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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