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di VALENTINA LA GORGA

21 marzo 2019. Nella giornata in ricordo delle vittime innocenti  e dell’impegno contro le mafie organizzata da Libera, qui un’introduzione al fenomeno dell’ecomafia nel Nord Est, una mostruosa piovra che con i suoi tentacoli invisibili avviluppa l’economia e la politica. (i.b.)

La Mafia in Veneto, prende forma come crimine d’impresa con alleati preziosi dentro la Pubblica amministrazione che in certi contesti si è elevata a sistema, promuovendo e condizionando l’avvio di iniziative economiche impattanti per la comunità (quando non estremamente pericolose), di opere pubbliche infrastrutturali inutili e dannose come il Mose o la Pedemontana, forme occulte di abusivismo edilizio, autorizzazioni improprie o illegittime per l’esercizio di discariche.

Le recenti indagini della Procura distrettuale antimafia di Venezia, la guardia di finanza e la Polizia di Stato dimostrano che le cosche storiche si sono insediate anche nella regione Veneto, prendendo il controllo della criminalità e allacciando rapporti con l’imprenditoria e la politica. 

I camorristi, insediati a Eraclea da oltre vent’anni, ottenevano il pizzo da imprese dell’edilizia e della ristorazione, controllavano il narcotraffico e la prostituzione e rifornivano le aziende di lavoratori in nero. Costituivano ditte destinate alla bancarotta e producevano false fatture. Insomma, avevano intrecciato stretti legami con l’imprenditoria locale, diventando protettori, dispensatori di favori e soci in affari. 

È del 12 marzo 2019, la notizia di trentatré ordinanze cautelari verso gli appartenenti a un’organizzazione criminale di matrice ‘Ndranghetista operante a Padova e dedita alla commissione di gravi reati, tra cui, l’associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, violenza, usura, sequestro di persona, riciclaggio, emissione e uso di fatture per operazioni inesistenti.

L’ecomafia é diventata un altro tassello fondamentale, spesso non considerato, nel grande puzzle dei danni ambientali. L’opaco binomio tra corruzione, mafia e saccheggio ambientale é una tra le cause principali degli effetti nocivi sul nostro territorio e sulla nostra salute. L’ultimo Rapporto Ecomafia di Legambiente indica che il fatturato dell’ecomafia è salito a 14,1 miliardi, una crescita dovuta soprattutto  alla lievitazione nel ciclo dei rifiuti che è sempre di più il cuore pulsante delle strategie ecocriminali.

Le finte operazioni di trattamento e riciclo per ridurre i costi di gestione e per evadere il fisco sono tra le forme criminali predilette dalle organizzazioni di stampo mafioso. Lo smaltimento dei rifiuti è infatti un settore di grande valore economico gestito da funzionari pubblici e singoli amministratori che hanno un ampio margine di discrezionalità. Così, coloro i quali dovrebbero in teoria garantire il rispetto delle regole e la supremazia dell’interesse collettivo su quelli privati, creano l’humus ideale per le pratiche corruttive. L’aumento delle inchieste sui traffici illegali di rifiuti è anche all’origine dell’incremento registrato degli illeciti ambientali, di persone denunciate e dei sequestri effettuati. 

Solo un anno fa abbiamo assistito all’inchiesta “Blood Money” del giornale napoletano Fanpage sul business del ciclo di rifiuti che, dalla Campania si sarebbe diramato al Nord, e riguardava un possibile affare legato allo smaltimento di rifiuti mediante una costruzione di un sito di stoccaggio a Marghera che avrebbe dovuto contenere rifiuti frutto di un sequestro degli anni 2004- 2005. 

E ancora, il sequestro di due cave nel 2018, riempite di immondizia a Noale, in provincia di Venezia, e a Paese, in provincia di Treviso dove, anziché trattare i rifiuti, eliminando amianto e metalli pesanti si attuava una miscela con altri rifiuti, meno inquinati, aggiungendo calce e cemento per produrre un amalgama da usare nell’edilizia o nelle grandi opere stradali. Risultato: 280mila tonnellate di materiale contaminato da metalli pesanti e da amianto utilizzato per lavori come il Passante di Mestre, il casello autostradale di Noventa di Piave, l’aeroporto Marco Polo di Venezia e il parco San Giuliano di Mestre. Due giorni fa, il 19 marzo, nel Basso Vicentino è stato scoperto un capannone, di proprietà di un noto istituto bancario di livello nazionale, in cui erano illecitamente occultate circa 900 tonnellate di rifiuti non riciclabili derivanti anche da processi di lavorazione industriale.

Il Veneto non è nemmeno immune alle Agromafie, altro settore illecito in crescita, correlato ai fenomeni della contraffazione, del riciclaggio e del Caporalato. Nell’agricoltura e nell’allevamento il capolarato è una piaga che toglie dignità al lavoratore mediante abusi, sfruttamento e salari inferiori rispetto alle regolari tariffe del mercato. Le condizioni lavorative disumane a cui sono costretti i braccianti sono difficilmente denunciate per paura di perdere il lavoro. Ciò accade perché la posta in gioco per i lavoratori, molto spesso extracomunitari regolari, è troppo alta: avere un’occupazione è condizione imprescindibile per mantenere il permesso di soggiorno, per cui una denuncia potrebbe causare effetti ancora più gravi come il non riuscire più a rinnovare il permesso di soggiorno, in quanto per la legge Bossi-Fini per rimanere regolarmente in Italia è necessario avere uno stipendio. 

Tre anni fa, nel veneziano, si era scoperta una baraccopoli in cui vivevano in condizioni sanitarie pessime alcuni braccianti bengalesi che lavoravano sette giorni su sette a 150-200 euro al mese. Mentre, a settembre 2018, è stata sgominata una rete di caporalato che faceva riferimento a due cooperative fittizie le quali reclutavano in nero la manodopera dall’Albania e dalla Romania, facendo fare ai lavoratori la spola fra i campi del Veneto e della Toscana. 

Grazie alla l.68/2015 che disciplina gli ecoreati e che li ha introdotti nel Codice penale, si sono compiuti molti passi in avanti. Tuttavia ciò non basta, soprattutto dopo l’abolizione del divieto di vendita dei beni sequestrati alle mafie, in sostanziale modifica alla L.109/1996 la quale prevedeva il loro riuso prevalentemente per fini pubblici e sociali creando un autentico e pulito riscatto economico e sociale. 

Infatti, il Decreto-legge Sicurezza, ora convertito in L.132/2018, non è altro che un regalo alle Mafie. Vendendo i beni immobili confiscati ai privati implicitamente si favoriscono i clan, che potrebbero riacquistare i beni attraverso prestanomi e riciclare i patrimoni e le ricchezze accumulate illecitamente. 

Inoltre, con la nuova manovra, le pubbliche amministrazioni potranno sostenere spese fino a 240.000 euro senza fare gare o appalti: ciò significa che la Mafia non dovrà nemmeno fare uno sforzo per partecipare. 

Breve bibliografia di riferimento

Gianni Belloni e Antonio Vesco, Come pesci nell’acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto. Mafie, impresa e politica in Veneto, Donzelli, 2018.

Legambiente, Rapporto ecomafia, 2018.

Antonio Pergolizzi, Emergenza Green Corruption. Come la corruzione divora l’ambiente, Andrea Pacilli Editore, 2018

Visula Lab – Gruppo Gedi, Atlante criminale Veneto, 2018

Osservatorio Placido Rizzotto – Flai Cgil, Quarto rapporto agromafie e caporalato, 2018
Fanpage, Bloody Money, 2018

http://www.eddyburg.it/2019/03/ecomafia-in-veneto.html?m=1

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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