Tra indagini, arresti e scandali, la vicenda dello stadio della Roma calcio è l’emblema di una capitale al collasso, in cui la politica appare inesorabilmente segnata dalla sudditanza nei confronti del mondo degli affari e della speculazione. Il 2 dicembre 2014 prende il via l’inchiesta “mondo di mezzo” che azzera la classe politica che governava la città. Elemento dominante del malaffare era l’accaparramento da parte di imprese e cooperative colluse con la malavita di funzioni che fino a pochi anni prima erano state svolte egregiamente dalle amministrazioni pubbliche e che la cieca furia privatizzatrice aveva distrutto, disarticolandole in una miriade di scatole cinesi alla cui guardia erano stati piazzati uomini fidati e imprese “amiche”. Il sistema degli appalti pubblici fu sottoposto a una profonda verifica e la creazione di un’autorità preposta a salvaguardare la morale pubblica ha dato buoni frutti. In quello stesso periodo, il governo delle città, la vera radice di tutti i mali italiani, non fu purtroppo sottoposto a un’identica, rigorosa, revisione. Pochi mesi prima, in data 1 gennaio 2014, era entrata in vigore la legge 147, che ai commi 304 e 305 disciplina le procedure per favorire la costruzione degli impianti sportivi “…attraverso la semplificazione delle procedure amministrative e la previsione di modalità innovative di finanziamento…”. Di fronte al perdurare della crisi economica e produttiva del Paese e all’aggravarsi delle condizioni di vita delle famiglie italiane, il governo di centrosinistra aveva così trovato la bacchetta magica: costruire nuovi stadi di calcio per società sempre più indebitate. Qualche speculazione immobiliare garantita dalla cultura della deroga avrebbe risollevato le sorti del Paese. È a questa grave involuzione culturale che dobbiamo il gigantesco scandalo dello “stadio della Roma calcio”, che ha riportato Roma a essere inchiodata a un passato di scandali e corruzione che si poteva – e doveva – superare. Nel giugno 2016 la capitale aveva infatti affidato ai 5Stelle e alla candidata Virginia Raggi le chiavi del governo della città con la speranza di porre in essere una profonda discontinuità di metodo e di contenuti. E la vicenda dello stadio della Roma era in tal senso decisiva, poiché i 5stelle si erano impegnati a cancellare quella folle speculazione. La legge sugli stadi, nella sua parte più grave, permetteva alle società di decidere in piena autonomia la localizzazione dell’impianto. Il potere pubblico non poteva che accettarlo senza contraddittorio. La Roma calcio insieme al gruppo economico di riferimento, la Parsitalia di Luca Parnasi, aveva dunque deciso di costruire l’impianto in un terreno di proprietà dello stesso Parnasi che non aveva i minimi requisiti di urbanizzazione. Così, per garantire trasporti pubblici e viabilità privata indispensabili per assicurare l’arrivo di oltre 30mila autoveicoli, la Roma calcio dovette prevedere nuovi ponti, svincoli, linee metropolitane e altro. Un impegno economico insostenibile per il privato, che infatti lo mise disinvoltamente a carico della collettività: ed ecco concretizzarsi la cultura della deroga prevista dalla legge. Invece dei 300mila metri cubi legittimamente riconosciuti dal piano regolatore (e cioè dalle leggi, in uno Stato di diritto), furono previsti oltre 900mila metri cubi di cemento. Tre volte tanto quello consentito. Il sindaco Ignazio Marino accettò tutto ciò e decise addirittura di attribuire al progetto il carattere di “interesse pubblico”. E per la giunta Raggi non c’era soltanto al sfida dello stadio. I segnali che sull’urbanistica si sarebbero dovuti accendere i fari dell’attenzione erano stati molto espliciti. Il 16 dicembre 2016 viene arrestato Raffaele Marra, potente braccio destro della sindaca Raggi. L’urbanistica mette in moto interessi così giganteschi che la trasparenza dà fastidio a chi ha il potere economico-fondiario ed è molto meglio lasciare tutto nell’ombra di oscure trattative. In poco tempo, anche grazie al “commissariamento” della Raggi imposto da Di Maio attraverso due uomini di sua fiducia (i deputati – oggi ministri – Fraccaro e Bonafede), l’urbanistica romana è ritornata in linea di continuità con le precedenti amministrazioni comunali. Lo stadio si deve fare anche per i nuovi inquilini del Campidoglio, che compiono così un’aperta sconfessione delle promesse di legalità. Entrano in gioco mediatori e facilitatori, il primo dei quali, l’avvocato Luca Lanzalone, compie nei mesi di febbraio e marzo 2017 il miracolo di raggiungere un compromesso con la Roma calcio: lo stadio si farà. Invece di 900mila metri cubi, se ne faranno 600mila. Il doppio di quanto consentito dalla legge. La vicenda dello Stadio della Roma sta tutta in questa forbice tra l’esigenza di trasparenza e di moralità che la giunta Raggi aveva promesso a una città che sperava in un cambiamento profondo. Ma la vicenda stadio non è la sola. A Ostia, sciolta l’amministrazione per mafia, nonostante due anni e mezzo di commissariamento, è stata approvata solo una bozza di piano degli arenili che lascia in mano al potente partito dei balneari il destino del litorale. Del resto, le meritorie demolizioni degli abusi iniziate per merito dell’allora commissario al litorale, il magistrato Sabella, sono state abbandonate. Il settore del commercio ambulante è stato riportato indietro rispetto alle politiche di Ignazio Marino. La rete delle esperienze sociali che tengono viva la città, a partire dalla Casa internazionale delle Donne, sono ignorate e rischiano lo sgombero. Sulla fame di case pubbliche non si è fatto nulla e continuano le dolorose occupazioni da parte della città dei poveri. Sull’area pubblica dei Mercati generali di Ostiense si vuole approvare un progetto che prevede il verde pubblico – per gli abitanti di quel quartiere del tutto privo di parchi – ubicato a venticinque chilometri di distanza. Con il commissariamento del comune di Roma ad opera del gruppo dirigente 5Stelle siamo tornati agli orrori dell’urbanistica contrattata. E tutto sembrava andare per il verso giusto. Un inedito consenso sembrava aver messo le ali al progetto. I motivi del generale consenso sono forse da rintracciare negli attori economici della vicenda. Il gruppo Parnasi aveva accumulato un debito con la banca Unicredit di 160 milioni, mentre a 20 milioni ammontava il debito della Roma calcio sempre con Unicredit. Le aree di Tor di Valle con la “valorizzazione fondiaria” innescata dallo stadio sarebbero servite meravigliosamente a chiudere molte partite. Il valore del terreno in base al piano urbanistico è pari a 100 milioni di euro. Con il progetto iniziale approvato dalla giunta Marino il valore fondiario era schizzato a 300 milioni. Con la mediazione Raggi ci si attesta a 200 milioni. Come si vede, parliamo di plusvalenze di cento-duecento milioni. Somma colossale, che nessuna operazione imprenditoriale può raggiungere. La rendita urbana è il motore della città di Roma. Ma il disegno dei gruppi dirigenti della città e dei temporanei amministratori si infrange nel luglio 2017, quando la Procura della Repubblica di Roma arresta Luca Parnasi, Luca Lanzalone e una serie di politici non riconducibili allo schieramento dei 5Stelle. Un terremoto giudiziario imponente che sembrava aver cancellato il progetto stadio. E invece si va avanti sulla base della constatazione che nessun esponente del mondo dirigente grillino era stato sfiorato dallo scandalo. La sindaca Raggi decide di proseguire a ogni costo senza dare ascolto alle voci che la ricamavano alla prudenza. Nel marzo 2019 la nemesi si abbatte sui poveri dilettanti allo sbaraglio. Stavolta a essere arrestato è il presidente grillino del consiglio comunale, Marcello De Vito, e un suo stretto collaboratore. La giunta Raggi si era insediata al grido di “onestà, onestà” e pagava così il ritorno al porto delle nebbie urbanistico. Sono sei anni che la città è bloccata su una localizzazione dello stadio insostenibile sotto il profilo urbanistico. C’è un solo modo per risolvere la vicenda: sedersi intorno a un tavolo con la Roma calcio e trovare un altro luogo. Del resto, era stata la stessa società proponente a indicarne più di una. Si riprenda quell’elenco e si trovi un’altra localizzazione. È l’unico modo per fare lo stadio. Mentre è sul tradimento delle speranze per una città che doveva guardare ai bisogni delle periferie e non agli affari, che dovremo aprire la discussione. È infatti indubbio che questo ennesimo grave colpo all’immagine della capitale potrà provocare disorientamento e ulteriore distacco dalla partecipazione politica. Per riportare la capitale degli scandali urbanistici ad avere fiducia nel futuro, è necessario un progetto di città che sappia mettere per sempre in soffitta affaristi e politica succube. È solo con una profonda svolta etica verso la città intesa come bene comune che potremo ricostruire il futuro di Roma.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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