Abbiamo guardato con sgomento alle fiamme che distruggevano il tetto della cattedrale di Notre-Dame, perché, indipendentemente dalla città in cui siamo nati e cresciuti, Parigi è anche la nostra città e quindi la chiesa di Parigi, anche se siamo fieramente atei, è pur sempre la chiesa della nostra città. E se brucia la chiesa della nostra città, una chiesa che è diventata nei secoli uno dei simboli della storia di quella città e quindi della nostra storia, siamo ovviamente pieni di dolore.
Passata qualche ora, quando l’emozione è calata, dobbiamo però riconoscere che una chiesa – come qualunque altro edificio – può bruciare, specialmente se è antica ed è fatta di legno. Non dovrebbe succedere, dobbiamo lavorare duramente affinché non succeda, ma dobbiamo accettare che è successo, che può succedere e che succederà ancora. Perché Notre-Dame è una costruzione umana e, come tale, soggetta a finire.
Arriverà un giorno in cui Notre-Dame non esisterà più. E noi non possiamo farci nulla. Come non esistono più le chiese dedicate a santo Stefano e alla Vergine Maria, abbattute all’inizio del XII secolo per far posto alla nuova cattedrale, e come non esiste più il tempio di Giove che sorgeva in quell’isola in mezzo alla Senna.
E anche Notre-Dame ha corso il rischio di essere distrutta, durante la Rivoluzione, perché era un simbolo del potere che doveva essere abbattuto, come la Bastiglia e come il re. E probabilmente se noi fossimo vissuti in quegli anni tumultuosi, avremmo gioito nel vedere la testa insanguinata di Luigi rotolare ai piedi della ghigliottina e i muri sbrecciati della grande basilica. Poi è più facile tagliare una testa che distruggere una cattedrale e così Notre-Dame ha resistito, per quanto malconcia, alla furia rivoluzionaria.
E poi è cambiata nel corso dei secoli, e così noi vediamo una Notre-Dame diversa da quella che vide Pantagruel nel suo scorrazzare per Parigi o quella che ammirarono Usbek e Rica, così diversa dalle loro “chiese” di Baghdad. Perché nel frattempo l’architetto Viollet-le-Duc l’ha un po’ trasformata, ricostruendo quella splendida guglia, così medievale, e che pure è quasi coeva alla Tour Eiffel. E la Notre-Dame che vediamo noi è anche un po’ diversa da quella che vedeva ogni mattina il commissario Maigret mentre andava al lavoro al 36 del Quai d’Orfèvres, perché – come noi invecchiamo e cambiamo – anche Parigi e i suoi edifici invecchiano e cambiano. E i nostri figli vedranno una Notre-Dame diversa da quella che abbiamo visto noi e la composita famiglia Malaussène. Con una nuova guglia, ancora sorvegliata dalle pazienti gargolle, che ne hanno viste tante.
A me non fa paura il fuoco, almeno non quanto mi spaventano gli uomini.
Victor Hugo, che conosceva molto bene quella chiesa – almeno quanto conosceva gli uomini – scrisse

Sul volto di questa vecchia regina delle nostre cattedrali, accanto a una ruga si scorge sempre una cicatrice. Tempus edax, homo edacior, che io tradurrei volentieri così: il tempo è cieco, l’uomo è stupido. Se avessimo agio di esaminare a una a una con il lettore le varie tracce delle distruzioni rimaste impresse nell’antica chiesa, il ruolo del tempo risulterebbe minimo, lo scempio peggiore sarebbe quello attribuibile agli uomini, e agli uomini dell’arte in particolare.

E oggi mi spaventano non tanto gli “uomini dell’arte”, ma i mercanti che hanno preso il loro posto. E mi spaventa che la discussione sulla ricostruzione di Notre-Dame verta unicamente su quanto costerà. Fosse successo in Italia il tema sarebbe stato quale amico degli amici avrebbe vinto l’appalto per rifare la guglia. Mi spaventa non il fuoco, che può essere sempre spento, ma la stupidità degli uomini, che non riconoscono il bello, che non studiano la storia, che non sono consapevoli di quale patrimonio hanno ereditato e che non hanno il coraggio e la capacità di costruirne uno nuovo. E contro questa stupidità non c’è salvezza.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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