Leggo che in questi giorni il romanzo Notre-Dame de Paris è arrivato improvvisamente al secondo posto dei libri più venduti su Amazon. Sono più di cinquecento pagine, troppe per voi lettori dell’era digitale: immagino che molte delle copie acquistate rimarranno lì, intonse sui scaffali delle vostre librerie, accanto a Cinquanta sfumature di grigio.
Se siete anche voi tra quelli che nell’impeto dell’emozione hanno acquistato quel “mattone” e adesso non sapete cosa farne – anche perché ormai di Notre-Dame in rete si parla sempre meno – vi svelo un piccolo segreto, che vi permetterà comunque di fare bella figura, se vi dovesse mai capitare di parlare del libro in società: la storia è la stessa del film Disney Il gobbo di Notre-Dame – e quello l’avete visto certamente. C’è una sola differenza – ma è facile da ricordare – alla fine del romanzo muoiono praticamente tutti.
Se poi volete proprio fare gli intellettuali, vi consiglio il bel film del 1939 con la regia di William Dieterle, in cui spicca la grande interpretazione di Charles Laughton nel ruolo di Quasimodo. Laughton è stato un grande attore inglese che ha alternato con successo nel corso della sua carriera cinema e teatro. Nel 1947 ha interpretato una celebre edizione del Galileo di Brecht, con cui ha anche collaborato per la traduzione. Il Quasimodo del film Disney – con la voce di Tom Hulce – è chiaramente un omaggio a Laughton. Esmeralda in quel film era Maureen O’Hara, certo molto bella, ma credo che quella del film di animazione sia molto più sensuale, certo la più “peccaminosa” delle eroine Disney. Per dovere di cronaca devo citare anche il film del 1956 – oggettivamente meno riuscito – con un improbabile Anthony Quinn nel ruolo di Quasimodo e una sfolgorante Gina Lollobrigida in quello di Esmeralda.
Però, visto che ormai lo avete comprato, provate a leggere il romanzo di Victor Hugo: vi farà bene. Preparatevi perché – bisogna ammetterlo – a tratti è decisamente noioso: le descrizioni della cattedrale sono davvero molto lunghe (come quelle di Eco – per intenderci – per cui a suo tempo avete smesso di leggere Il nome della rosa, aspettando il film). Ma il giovane Victor voleva proprio scrivere un libro su quella chiesa, che in quegli anni – il romanzo uscì nel 1831 – stava andando in rovina. C’era stata la Rivoluzione, quello che poteva essere portato via era stato portato via, per alcuni anni quella chiesa era stata abbandonata. Non era detto che la cattedrale sarebbe stata ricostruita: troppo gotica. E a quei tempi in Francia c’era ancora il re che, a differenza di Macron, non doveva fare campagna elettorale. Hugo scrisse quel romanzo affinché i francesi – e i parigini in particolare – tornassero ad amare la loro chiesa. E ci riuscì.
Al di là delle estenuanti e dettagliate descrizioni Victor Hugo era un poeta, che era nato pochi anni dopo lo scoppio della Rivoluzione e a cui stava sempre più stretto il clima della Restaurazione. E così i “cattivi” della sua storia sono un prete, addirittura l’arcidiacono della cattedrale di Notre-Dame, un militare, il capitano degli arcieri del re, e la sua ricca fidanzata borghese – e anche il re Luigi XI non ci fa una gran figura. Mentre i “buoni” sono gli zingari, lo squattrinato poeta Gringoire e il deforme campanaro Quasimodo. Se siete di quelli che piangono perché è bruciato un simbolo della cristianità, forse rimarrete delusi dal romanzo, perché i preti non ci fanno una bella figura, se siete elettori di Salvini, è meglio che mettiate il libro da parte. Anche se comunque per voi il romanzo finisce bene: gli zingari vengono sterminati davanti a Notre-Dame dai soldati del re, Esmeralda – che oltre a essere zingara è anche donna, e quindi puttana – viene impiccata, dopo un processo farsa. Anche Quasimodo muore: si lascia morire accanto ad Esmeralda, perché, morta la donna grazie a cui ha scoperto l’amore, non ha più senso per lui vivere.
Se siete di destra, ricordate che Victor Hugo tra la Parigi del potere, della legge e della ricchezza e quella della Corte dei miracoli, si mette certamente dalla parte dei “miserabili”, di cui pure descrive in maniera cruda e spietata tutti i difetti e le colpe. Ma non dimentica mai che sono degli sfruttati. E ci racconta che non è colpa di Esmeralda il fatto di essere una donna bellissima, libera e indipendente, è Frollo che è troppo debole per accettare che una donna zingara sia migliore di lui, e per questo la vuole o possedere o uccidere. Se siete maschilisti lasciate il libro nello scaffale. E se siete razzisti, ricordatevi che la pelle di Esmeralda non è esattamente candida. Ma forse voi siete di quei razzisti a cui piacciono le puttane nere e zingare, siete proprio come Frollo.
Voi che in questi giorni avete blaterato sull’identità cristiana dell’Europa fareste bene a leggere il romanzo di Victor Hugo anche perché uno degli elementi fondamentali di quella storia è che la Parigi dell’ordine e della legge – la Parigi dei signori che confinano gli zingari nei ghetti e anche quella dei poveri che li vogliono cacciare da Torre Maura – questa Parigi, francese e cattolica, deve accettare che all’interno della cattedrale vige il principio dell’immunità: chi si è rifugiato a Notre-Dame – anche una zingara come Esmeralda, che in città non ha alcun diritto – dentro alla cattedrale è protetta dalla legge. Chissà se qualcuno si è preso la briga di raccontare questa storia a Trump, prima che scrivesse il suo tweet di solidarietà, in cui invitava a lanciare su Notre-Dame delle bombe d’acqua, che l’avrebbero distrutta. Perché se negli Stati Uniti esistono le cosiddette città-santuario – da New York a Los Angeles, da San Francisco a Chicago – in cui le amministrazioni cittadine rifiutano di applicare le norme federali contro gli immigrati è anche perché c’è stata Notre-Dame.
Se Victor Hugo scrivesse oggi il suo romanzo prenderebbe ancora la parte delle puttane, delle donne sfruttate, dei miserabili, dei reietti della società, contro i tanti Frollo che siedono nei governi e nei consigli di amministrazione, mai così potenti come oggi. E senza neppure un Quasimodo capace di vendicarsi. 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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