Alan García è stato responsabile di massacri, torture e assassinii politici.


Francesco Cecchini


Alan García, che si ha suicidato in carcere, secondo il Procuratore fu a capo, nel suo secondo mandato (28 luglio 2006 – 6 giugno 2011), di un’organizzazione criminale per favorire l’impresa di costruzioni brasiliana Odebrecht nell’aggiudicazione di alcuni lavori: metropolitana Lima e l’Interoceanic Highway South. L’organizzazione criminale riciclava denaro e corrompeva, La carriera criminale di Alan García Pérez è ricca. Iniziò giovane dirigendo squadristi dell’APRA che reprimevano gli studenti dell’Università Villareal che chidevano democrazia. Sembra che durante la sua prima presidenza (28 luglio 1985 – 28 luglio 1990) minacciasse nell’ombra Alfonso Barrantes di Izquierda Unida perché si ritirasse definitivamente. Inoltre indurì la repressione contro tutti i politici che gli si opponevano. Con una politica pseudo populista, cercò di dare un’immagine internazionale di sinistra al suo governo. Ma il Perù con Alan García continuò la politica di dipendenza agli Stati Uniti, promuovendo politiche di difesa agli interessi dell’Impero e svendendo gli interessi nazionali.
Nel 1985, García Pérez ordinò l’assassinio di circa 40 detenuti nella prigione di Lurigancho, che furono massacrati con bombe al fosforo. La repressione aumentò nel popolo peruviano le simpatie per Sendero Luminoso. Le migliaia di prigionieri politici con cui Alan Garcia ha saturato le sue prigioni, nel 1986 si ribellarono nelle tre prigioni principali del paese e fecero tremare il regime corrotto di Alan García. Il 18 giugno 1986, i detenuti delle prigioni di San Juan de Lurigancho, El Frontón e di quella femminile di Santa Bárbara, si ribellarono. La repressione fu feroce. Alan García decise di porre fine nel sangue alla protesta. Alle tre del mattino del 19 giugno, ordinò il bombardamento della prigione di San Juan de Lurigancho da una nave da guerra. L’ordine che diede di persona fu che i soldati entrassero nella prigione attraverso le buche aperte dall’artiglieria pesante e che non lasciassero superstiti. Nel penitenziario di Lurigancho gli ordini che gli ufficiali davano ai soldati erano quelli di un’operazione di sterminio: “Nessuno esca vivo!” Nella prigione di El Frontón e dopo la resa, 124 detenuti furono uccisi dai soldati della Marina da Guerra con un colpo sulla nuca. Questo omicidio di massa non è mai stato dimostrato perché i marinai hanno fatto sparire i corpi. Nel Fronton su 200 detenuti ne sopravissero 30, ma non esiste una contabilità precisa di quanti prigonieri nelle carceri, in rivolta, ma disarmati siano stati assassinati. Comunque oltre a quelli nelle carceri, nel suo primo mandato, Alan García è responsabile di altri massacri, avvenuti nel secondo mandato. Il 5 e il 6 giugno 2009, Alan García Pérez ordinò una violenta repressione di nativi che protestavano contro la messa in vendita delle proprie terre ancestrali a multinazionali. Morirono 50 nativi, un centinaio furono feriti e una trentina dipersi; inoltre nello scontro furono uccisi 11 poliziotti. Questo bagno di sangue fu un vero e proprio genocidio etnico con obiettivo di consegnare l’Amazzonia alle grandi compagnie petrolifere e minerarie internazionali. In questa violenta repressione parteciparono 600 agenti di polizia 200 soldati dell’esercito con l’appoggio di elicotteri e carri armati. Giorni dopo questa carneficina, Alan Garcia con il suo caratteristico cinismo giustificò il massacro affermando che il governo non accettava il ricatto di un gruppo di nativi. Nel 2010 e nel 2011 furono uccisi 47 minatori a Chala ( Arrequipa) e 17 a Madre de Dios.
Non si vedrà Alan García in tribunale. Non si vedranno centinaia di testimoni di accusa. Alan García non si è suicidato per l’ ingiustizia della sua detenzione, ma si è tolto la vita perché sapeva che tutti i suoi crimini, oltre alla corruzione, sarebbero venuti alla luce.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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