La discussione sulla proposta di “autonomia differenziata” va inquadrata in un contesto politico di nuovo assalto alla Costituzione (nonostante la vittoria popolare contro il referendum Boschi Renzi) che molto mi preoccupa. E’ stato inaudito e gravissimo sentire, ad esempio, il nuovo segretario PD Zingaretti affermare, al ritorno dal suo viaggio a Torino per sostenere il SI’ al TAV, che la vittoria del NO al referendum del 4 dicembre 2016 è stata causa dell’attuale tragica configurazione del quadro politico. Tema di riflessione ancor più rilevante è che la Lega stia cercando di costruire un regime istituzionale che punta alla progressiva dissoluzione della Costituzione. La controprova più recente sta nella proposta di legge elettorale approvata al Senato, strettamente connessa al taglio del numero dei parlamentari. Queste scelte, che sfuggono alla critica dell’opinione pubblica ( ma anche all’attenzione dell’”inclita” compagnia mediatica, spesso tesa ad un politicismo banale) celano la vera intenzione, l’asse fondamentale: l’elezione diretta del Presidente della Repubblica che sarebbe del tutto compatibile, nella visione della Lega, proprio con l’”autonomia differenziata”. Essa, infatti, creando un assetto disarticolato di regioni a statuto speciale, troverebbe nel regime del “capo assoluto” l’unico punto di riferimento unitario. Questo assetto di governatori/presidenti, associati al presidente capo assoluto, corrisponderebbe al totalitarismo della Lega. E’ inaudito che PD e M5S fingano di non comprendere a che punto giunga la deriva anticostituzionale. Serve, allora, una “operazione verità”, una controinformazione cosciente e colta da parte nostra. L’operare nostro, all’interno dell’Osservatorio, del Comitato per la Difesa della Costituzione, dei Giuristi Democratici, ha certo contribuito a disvelare la trattativa segreta che il governo stava conducendo con tre presidenti di regione che avrebbe dovuto portare ad un’intesa approvata nel febbraio scorso senza nemmeno coinvolgere il Parlamento, se non per un’unica formale votazione. Un’ora e via, così volevano cambiare l’assetto statuale. Siamo riusciti ad ottenere una nuova audizione della commissione parlamentare per le questioni regionali. Questo è un risultato importante, anche se solo iniziale, perché sta permettendo di mettere sotto pressione i gruppi parlamentari. Se un anno fa era il PD a spiegare (attraverso la parole del sottosegretario Bressa, artefice, nel governo Gentiloni, dell’avvio del processo di “autonomia differenziata”) che al Parlamento spettava una “mera ratifica”, ora è lo stesso PD ad apparire preoccupato, per lo meno in alcuni settori , del tentativo del governo di scavalcare le Camere perché vuole rendere inemendabile la legge che recepirà le intese. Preoccupazioni tardive, forse generate dalla azione di persuasione del Presidente della Repubblica, ma comunque positive, emergono anche nei gruppi parlamentari del M5S. Nella sua importante audizione in Commissione è stato proprio il presidente della Corte Costituzionale a smontare una delle motivazioni dei leghisti, che adducevano l’eccesso di conflittualità tra Stato e regioni, dimostrando, nei fatti, che essa (dopo il numero elevato di ricorsi causato dalla riforma del titolo V della Costituzione) si è assestata su livelli fisiologici grazie anche “all’azione chiarificatrice svolta dalla Corte con i suoi giudizi in via principale”. Secondo il presidente dello Svimez, istituto storico di alta cultura meridionalista, il “regionalismo rafforzato” è, in realtà, una riforma costituzionale clandestina ma evidente. “Non ha nulla a che fare con il federalismo, ha spiegato, si tratta di un caso di “sovranismo regionale”; le regioni diventano stati secondo un modello confederale”. E la riforma viene pagata dalle regioni più deboli (secessione dei ricchi). O lo Stato aumenterà i debiti o, più probabilmente, taglierà in misura devastante i servizi sociali. Il Governo sta, sul tema, facendo mera demagogia per coprire la truffa. Gli studiosi più attenti, come Viesti (a cui si deve la prima e più completa elaborazione), Piero Bevilacqua, Del Monaco, correggono, infatti, la stima del residuo fiscale avanzata da Lombardia, Veneto, Emilia, che adducono la pretesa della restituzione della differenza tra le tasse raccolte e la spesa pubblica sul territorio. Aggiungendo, dimostra Giannola, solo gli interessi sul debito pubblico pagati sul territorio, il residuo fiscale del Veneto passa da 12 a 4 miliardi; quello della Lombardia da 40 a 20 miliardi. Del resto, la tematica della spesa pubblica sul territorio è strettamente legata al “patto di stabilità interno”e all’art 81 della Costituzione (che è, come abbiamo sempre sostenuto, un cappio al collo anche per i bilanci comunali e regionali). Ma allora, in realtà, di che cosa stiamo parlando? E’ lo Stato che si autodissolve. Non si tratta, infatti, di trasferimento di funzioni amministrative alle regioni. Già vi è una potestà normativa concorrente sulle 23 materie elencate dall’art. 117 Costituzione, comma 3 (in base alla pessima riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra e da noi sempre osteggiata). Il centrosinistra si illuse, allora, di bloccare la Lega secessionista spianandole, di fatto, la strada. Ora ci troviamo di fronte alla richiesta delle suddette regioni (a cui altre seguiranno nell’illusione dei presidenti regionali di accrescere i propri poteri) del trasferimento di una quota della potestà legislativa statale di principio. Vi è un effetto inevitabile: per il numero e l’ampiezza delle materie coinvolte in settori fondamentali dello stato sociale e del sistema istituzionale lo Stato non è più in grado di programmare politiche economiche,di fornire servizi, di corrispondere al dettato costituzionale in merito ai diritti universali di cittadine e cittadini. Del resto abbiamo da anni analizzato che il disegno di settori delle borghesie del Nord Est è quello di costruire una macroregione mitteleuropea con Baviera, Carinzia, ecc. Il Sud, a quel punto, può essere parte di una regione mediterranea. Il disegno classico delle Lega di Miglio e Bossi della “secessione dei ricchi” si attuerebbe mascherato da arzigogoli istituzionali. A questo siamo. PD e M5S si stanno assumendo responsabilità storiche nella disintegrazione della nazione. Il Servizio Sanitario Nazionale, già oggi così estenuato, morirebbe, sostituito da sanità ricche finanziariamente e strutturalmente da un lato, e sanità ridotte all’osso in altre regioni. E non parliamo della fine della formazione e della istruzione della scuola costituzionale, laica, repubblicana che, come affermava Gramsci, è il fondamento unitario della nazione. E il sistema stradale e ferroviario? E la politica ambientale e il ciclo dei rifiuti? Verrebbe inoltre, (è bene si mobilitino seriamente i sindacati) abbattuto il contratto nazionale di lavoro, diventerebbero materie regionali tutela e sicurezza del lavoro retribuzioni aggiuntive, previdenze integrative, gabbie salariali. Sarebbe la disperata eutanasia del sindacato democratico e di classe. E l’ipercentralismo regionale soffocherà il governo locale aggiungendosi al centralismo statalista. E’ un mix istituzionalmente disperante. A partire da De Magistris, Orlando, ecc., i sindaci e i consiglieri comunali democratici, applicando la “disobbedienza costituzionale”, devono aprire una guerriglia istituzionale contro tale ipercentralismo. Occorre anche cogliere l’occasione per ricominciare a discutere seriamente di federalismo solidale nella accezione trentiniana, di centralità della democrazia comunale, della democrazia di prossimità come alternativa al regionalismo di regioni “a statuto speciale”. E non dimentichiamo le procedure costituzionali. L’approvazione e la firma delle intese ,ad avviso del governo, devono avere un rapido passaggio parlamentare esclusivamente per la loro ratifica. Stiamo anche studiando una eventuale ricorribilità alla Corte Costituzionale come giuristi democratici. Incostituzionalità che deriva anche dal fatto che, successivamente alla ratifica parlamentare, tutto il potere di definizione normativa sarebbe trasferito a Commissioni paritetiche Stato/Regioni fuori dal controllo parlamentare. Come ci ricorda Viesti, il regalo delle concessioni idroelettriche nazionali alle regioni del Nord, realizzato di recente con il decreto Semplificazioni, è anticipazione di quello che accadrà. In definitiva, si tratta di un processo che arriva da lontano, dalla Lega del teorico della secessione Miglio, che oggi si ripresenta in maniera sofisticata, sotto mentite spoglie. Il centrosinistra, di fronte a questa determinazione progettuale della Lega, si è illuso di giocare di rimessa, di adottare una politica emendativa, senza progetto, con due gravissimi, decisivi errori: la riforma del titolo V e, ora, il passaggio definitivo con la firma della preintesa da parte del governo Gentiloni il 28 febbraio del 2018, a quattro giorni dal voto delle politiche. L’accelerazione voluta dalla Lega risponde anche alle condizioni politiche ed economiche interpretate dal blocco sociale della Lega. La lunga recessione ha indotto i poteri economici del Nord e dell’Emilia a tentare di sequestrare le proprie risorse per rilanciare la propria accumulazione, abbandonando Roma e il Sud. E’ una evoluzione del classico progetto Alpe Adria e della macroregione Mitteleuropea, con Baviera , Carinzia, Slovenia, Croazia, ecc. Vi è un tema strutturale, quindi, che emerge con nettezza che riguarda i processi di valorizzazione del capitale dentro la crisi. L’efficienza dei servizi, di cui parlano Fontana, Zaia, Bonaccini, sono pietose bugie, foglie di fico. Dovremo evitare, incalzandoli con la lotta istituzionale e il conflitto sociale, che altri presidenti di regione entrino in questo gorgo istituzionale, per motivi di potere regionale, di dislocazione di interessi, di illusioni oligarchiche. Sarebbe gravissimo (lo ha già fatto l’Emilia Romagna a conduzione piddina) perché il progetto leghista diventerebbe progetto largamente condiviso dal sistema politico. Un dramma. Una annotazione non marginale: dove è finita l’intellettualità democratica? E’, salvo eccezioni, muta, così come la stampa democratica. Eppure esploderà, con ribellioni, rivolte, vandee purtroppo, ne sono convinto, una nuova questione meridionale all’interno di uno Stato che si frantuma sempre più accentuando le disuguaglianze. Non vorremmo un Mezzogiorno che vivesse contemporaneamente rivolte senza progetto e repressione da Stato penale permanente. Rifiutiamo uno Stato che travolge la Costituzione e che attua una torsione della stessa concezione della cittadinanza, che sarebbe determinata dalla residenza; cambierebbe, cioè, a seconda della regione in cui risiedi, la qualità e quantità del godimento dei diritti universali dello Stato di diritto.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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