Il Brasile ospita una delle maggiori comunità indigene del pianeta, erede diretta dei popoli che, per primi, si stabilirono nel continente. L’ultimo censimento disponibile, compilato nel 2010, riporta l’esistenza di più di 800mila individui, divisi a loro volta in 305 diverse etnie sparpagliate tra i centri urbani, l’entroterra del Paese e le zone più inaccessibili della Foresta amazzonica. Meno di un milione di indios custodisce oltre 270 idiomi locali precedenti l’avvento del portoghese; di questi, il 17% comunica esclusivamente con il proprio dialetto tradizionale, mentre la restante parte conosce anche la lingua dei conquistadores. Nel tempo sono stati registrati circa 70 casi di tribù isolate che non sono mai entrate in contatto con l’uomo contemporaneo. Queste comunità vivono in una condizione simile a quella degli indigeni incontrati dai conquistadores al loro arrivo in America. Qualche reporter o ripresa aerea sono riusciti a regalare preziose testimonianze di uomini seminudi che difendono con archi e frecce le loro capanne di paglia nascoste nella foresta. Ma aldilà del loro fascino, la rarità di questi incontri restituisce anche uno spaccato di quanto poco sia sopravvissuto dall’ecatombe iniziata con l’arrivo dei Portoghesi. Dall’inizio del Cinquecento alla metà del Novecento, gli indigeni sul territorio brasiliano passarono dall’essere tre milioni ad appena 70 mila.
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