Quattro punti Illusioni, magie dei flussi elettorali, mutazioni delle coscienze o, più semplicemente, cambiamenti repentini di pseudo-opinioni in una popolazione che ha attraversato in pochissimi anni tre stagioni completamente differenti della politica italiana: dal tecnicismo dei governi Monti e Letta al renzismo; dal renzismo all’ondata grillina con un 32,7% tributato al Movimento 5 Stelle che oggi si ritrova al 17,1% (una perdita secca di ben 6 milioni di voti in un colpo solo… andare al governo non fa poi così bene…) e, infine, il passaggio alla stagione leghista: tutti col capitano Matteo Salvini. Chi ha dato il “voto utile” alla destra economica del PD non ha fermato Salvini (che non poteva essere fermato in una elezione proporzionale) e ha penalizzato la sinistra vera. Chi ha votato i Verdi ha fatto una scelta legittima e probabilmente nemmeno molto ha sottratto a La Sinistra quanto il trascinamento del “fenomeno” zingarettiano. Tuttavia una scelta divisiva. Questo lo si potrebbe rovesciare e dire per gli elettori de La Sinistra nei confronti dei Verdi. Con tutta evidenza a me i dati su cui riflettere sembrano quattro: 1 – lo ripeto ancora una volta: i lavoratori e gli sfruttati non sentono il bisogno di uguaglianza e quindi nemmeno della sinistra. Viviamo quindi in una fase di ampia assenza di coscienza sociale e critica, di coscienza “di classe”; 2 – le forze di destra estrema, Lega e Meloni, insieme lambiscono una soglia che li porta verso il tentativo di autogestione governativa in un prossimo futuro, anche senza Forza Italia; 3 – il Movimento 5 Stelle lascia la scena a Salvini che se la prende tutta e da secessionista padano, antimeridionalista, dei “valori” leghisti del passato conserva solo l’idiosincrasia per gli “stranieri” e la valorizzazione delle “tradizioni”. Quindi dalla destra economica del PD si è passati a preferire quella populista e borghese dei Cinquestelle e ora quella sovranista della Lega. Le classi dirigenti, favorite dall’incoscienza di classe dei più deboli turlupinate da messaggi ingannevoli e menzogne su pericoli e fobie antisociali, puntano quindi su una radicalizzazione del protezionismo economico e su una Italia che sia più concorrenziale con gli altri stati dell’Unione. Così avviene in Francia e in toni differenti in Germania, dove almeno la protesta non si salda con l’Afd; 4 – Il risultato de La Sinistra è disastroso: non fa nemmeno la metà dei voti che presero LeU e PaP. Questo significa, fatte tutte queste considerazioni a caldo e precipitosamente, che se la falce e martello non paga elettoralmente, nemmeno pagano le unioni posticcie fatte – come è spesso avvenuto in questi ultimi anni – ad un mese dal voto, con patetiche votazioni sui simboli in stile grillino, con divisioni fondate su ormai cristallizzate posizioni di magra rendita identitaria per tutti. Le tentazioni da “centrosinistra” Al momento il PD, pur perdendo 125.000 voti rispetto alle politiche, può dirsi soddisfatto di aver solo scavalcato i Cinquestelle. Ma niente più. Il PD rimane un problema per il Paese. Minore rispetto a Salvini perché apparentemente è “democratico”, sul piano dei diritti civili. Ma resta un fedele cane da guardia del sistema economico liberista. Dunque allearsi o dialogare con il PD non è una soluzione ai mali del Paese e a quelli della sinistra. Se qualcuno tentasse di rimettere in campo una qualche certa idea di “centrosinistra”, ciò significherebbe davvero la fine di qualunque possibilità per l’anticapitalismo, per un nuovo socialismo e comunismo interpretato da una unità anche bislacca e tutta da rivedere, ma da conservare, espresso da La Sinistra. La trazione di un fronte democratico – progressista (vogliamo dire meglio “liberal-socialista”? Quindi PD più magari Bonino, Verdi e La Sinistra…?) sarebbe tutta interna ad una logica privatistica, improntata sugli stessi architravi politici che hanno dato vita alle controriforme costituzionali renziane, alla dequalificazione del lavoro con il Jobs act e al depotenziamento pubblico della scuola in favore di un collegamento sempre più stretto tra logica produttiva (mondo imprenditoriale e quindi esigenze del mercato) e sapere, conoscenza, libertà di costruzione delle proprie vite a quel punto messe sotto il giogo delle variabili degli indici di borsa. Neofascisti da operetta e… Dai risultati delle urne, si evince poi che il pericolo sovranista non appare, quanto meno immediatamente (diciamolo anche una certa qual dose d’ironia), rappresentato da Casa Pound o Forza Nuova: c’è chi fa politica, come Salvini, e chi fa “rumore” come due forze che infatti l’elettorato percepisce inutili ai fini di una svolta a destra piena del Paese. Tuttavia non va sottovalutato l’intero impianto delle destre che si divide elettoralmente sulle schede ma che si riunisce “a rete”, si salda e riesce a far emergere una collaborazione su piani e ambiti diversi: qualcuno fa ciò che gli altri al potere non possono fare. Altri al potere sostengono, aiutano senza aiutarli coloro che non siedono a Palazzo Chigi. E’ un “mutuo soccorso” politico – organizzativo per fomentare gli animi esasperati di un proletariato moderno che manca, oggi più che mai, degli strumenti necessari a riconoscere i suoi veri nemici di classe: non il migrante o lo “straniero” povero, ma semmai chi sfrutta il lavoro di tutti i poveri e di tutti coloro che pedalano con una grande borsa in spalla per pagarsi gli studi o che fanno mille lavoretti perdendo tante ore di sonno, tante ore di vita con gli amici. La frustrazione, la disperazione a volte sono produttrici di slanci inaspettati di autocoscienza, di comprensione dello stato personale in cui si vive. Ma al momento questa presa d’atto non c’è nella stragrande maggioranza degli sfruttati: tanto nelle fasce giovanili quanto in quelle di media età della popolazione. Saldatura interclassista Il lento logoramento dei diritti sociali, la consunzione della stabilità del lavoro e il mare di precarietà che è stato introdotto proprio dal PD e dai suoi governi tecnici insieme a Forza Italia e col sostegno di altre forze di destra, sono alla base dell’annichilimento dei valori e della cultura solidale (quanto meno) e di classe (quanto massimo). Del resto, l’unico tipo di cultura di classe che poteva promanare dal Partito Democratico era quella di padroni che avevano la tessera numero 1 o di altri che vi sono entrati da Nord a Sud per cavalcare l’onda renziana sostenuta, come sempre, come nel caso di Di Maio e ora di Salvini, da una larga fascia di popolazione proletaria e piccolo borghese. La saldatura interclassista a sostegno delle politiche liberiste in nome della democrazia e della stabilità del Paese è una chiave di lettura non contestabile: non è evidente soltanto dai dati che emergono dalle votazioni politiche del 2018 e oggi da quelle europee; è un fenomeno che si ripete e che, di volta in volta, viene sostenuto dopo la trasformazione antisociale del Paese operata dal berlusconismo ventennale. Una mutazione antropologica della collocazione ideale, ideologico-politica e civile di una classe sociale che si è divisa: i lavoratori, i precari, i pensionati, tutti coloro che vivono del lavoro delle proprie menti e braccia, tutti coloro che non sfruttano nessuno per vivere, sono stati atomizzati e divisi da un competitivismo aggressivo, mostrato invece col volto del nuovo corso politico dietro ad una economia sempre più concorrenziale per via del multipolarismo del capitale. Quando si parla della Cina e del suo prepotente ingresso nella scena mondiale dell’economia politica, del suo sfondamento monopolistico in molti settori economici di un’Africa sempre sotto le forche caudine della colonizzazione (che assume molte forme a seconda dei tempi e dei modi di sviluppo del capitale mondiale), proprio a questo ci si deve riferire: ad una polarizzazione delle forze economiche che si scontrano e producono migrazioni verso altri poli economici importanti come l’Unione Europea. E’ un giochetto da ragazzi (in gamba, va ammesso…) mostrare questo “capolavoro delle classi dirigenti”: povero contro povero, lavoratore italiano contro lavoratore straniero e liberissima circolazione delle merci e dei grandi patrimoni che si spostano con la pressione di un tasto su un computer da un conto all’altro, da un paradiso fiscale ad un altro. Domande e non-risposte Quale sia la risposta per poter rovesciare almeno politicamente, almeno da sinistra questo regime di saldatura tra economia liberista e sovranismi autoritari, tra padroni e fascisti del terzo millennio (sotto qualunque sigla si mostrino: guerrieri, tartarughe, due lettere maiuscole, fiamme tricolori eccetera…) è al momento un quesito. La risposta è una domanda perché non c’è formula magica che tenga, che possa garantire un successo in campo sociale e in campo politico. Sembra però necessario che si debba tornare a studiare, a leggere, a conoscere, ad apprendere che viviamo in un sistema economico fatto di pochi privilegiati e di tanti disperati e che compito nostro, dei comunisti, della sinistra di alternativa, è praticare certamente l’unità ma la domanda successiva è “quale” unità. Dobbiamo anche continuare a praticare la nostra autonomia, ma anche in questo caso dobbiamo domandarci: “che tipo” di autonomia. Vi sono compagne e compagni che disperano, che ritengono che non abbia più alcun senso comunicare con la solita “cassetta degli attrezzi”, quindi con la cultura e l’analisi che abbiamo fatto fino ad ora degli eventi sociali, della fase liberista e finanziaria dell’economia attraverso gli strumenti di analisi del marxismo. Dovremmo cambiare strumenti? Dovremmo pensare che, sconfitta elettorale e sociale su sconfitta elettorale e sociale, stiamo sbagliando nell’affermare che vogliamo contrastare le ingiustizie e l’iniqua distribuzione delle ricchezze prodotte? Non penso che la “cassetta degli attrezzi” sia il punto da rivedere e riformare. Orizzonti a sinistra Noi abbiamo una chiara percezione degli eventi: siamo stati in grado di riconoscere nel grillismo una forma di destra che infatti ha consentito la nascita del governo più nero della Repubblica, anche se viene chiamato “giallo-verde” (e non diventa certo blu se si sovrappongono i colori…). Sappiamo da decenni quali sarebbero le riforme da mettere in campo per, se non fare proprio la rivoluzione, quanto meno migliorare la logorante quotidiana stanchezza di una vita che si trascina per milioni di proletari moderni che non hanno diritto e accesso alle fondamentali soddisfazioni dei bisogni per poter dedicare più tempo proprio alle loro vite, diminuendo quindi l’orario di lavoro a parità di salario, istituendo una tassa patrimoniale sopra i redditi da capitale e da speculazione finanziaria, istituendo un salario minimo garantito che permetta di controbilanciare la scomparsa ormai ultratrentennale del contratto collettivo nazionale di lavoro. La sinistra non è stata in grado di comunicare la necessità imprescindibile di queste proposte elementari e fondamentali per un allargamento dei diritti sociali dei lavoratori e dei precari. Non siamo stati capaci di comunicare soprattutto la novità di una soggettività politica che, nei fatti, non c’era: la lista formata da Rifondazione Comunista e Sinistra Italiana è apparsa ennesimamente come una mera sommatoria. La sommatoria della disperazione di forze che da sole significano ben poco e che unite rappresentano ancora meno di quanto riuscivano a fare quando si sono trovate frontalmente avversarie nella competizione per le politiche del 2018. Abbiamo due possibilità: continuare a costruire un fronte della sinistra che si esprima con chiarezza su un piano di critica “senza se e senza ma” nei confronti delle tante contraddizioni prodotte dal capitalismo nella sua declinazione sovranista e liberista, oppure tornare ognuno a casa propria e consegnarci ad una fredda, inerte testimonianza di valori e visioni dell’avvenire che sarebbero solo miraggi. Occorre lavorare, pur con tutte le nostre deficienze e lacune, su due piani paralleli: la ridefinizione dell’autonomia delle singole forze e la costruzione di una unità proprio nella diversità comunista e in quella socialista di sinistra, libertaria e ambientalista. La valorizzazione delle interpretazioni culturali della critica al capitale, espresse nella forma di partiti, movimenti, associazioni, deve diventare la ricchezza de La Sinistra. Se così non sarà, si tratterà allora soltanto di un calcolo politicista, senza la voglia di ridare una base organizzativa politica e sociale all’uguaglianza come espressione nuovamente ideologica di una analisi critica continuamente dialettica nei nuovi tempi moderni. Comunismo e socialismo nel nuovo millennio non possono nascondersi dietro invenzioni di sinistre prive di carattere e votate al governismo, ad una mera gestione dell’esistente dettato dalle classi dominanti. La sfida della sinistra è, in una parola, tutta qui… Scusate se è poco…

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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