C’è voluto un vertice di 21 ore tra i capi di stato e di governo dei paesi europei per trovare una quadra, dove i principali sconfitti sembrano essere proprio i socialisti che non riescono a scansare i popolari da nessuna delle postazioni di comando di maggiore peso, accontentandosi della politica estera e della presidenza del parlamento, forse tra tutte le cariche in gioco le due col minor peso reale. Regge l’asse franco-tedesco mentre entra in gioco il gruppo di Visegrad La Cancelliera tedesca Angela Merkel, che in un primo momento aveva visto cadere tutto il suo pacchetto di proposte per i ruoli chiave (a partire dalla candidatura di Manfred Weber alla Commissione UE) è rientrata abilmente in gioco, trattando col presidente francese Macron un nuovo pacchetto di proposte che accontentava i transalpini sulla nomina del liberale Michel alla presidenza del Consiglio e soprattutto della francese Christine Lagarde alla guida della BCE per il dopo Draghi (ma gradita anche a lei, meno ai “falchi” interni alla CDU). Sembra essere lei la vera compositrice del complicato puzzle europeo delle nomine, un lavoro di fino suggellato dal “salvataggio” di Manfred Weber, che a metà legislatura subentrerà all’italiano Sassoli per la presidenza del Parlamento. Per trovare una quadra complessiva, tuttavia, la Merkel ha dovuto cercare una sponda esterna a quella che sarà probabilmente la nuova maggioranza di governo in Europa (popolari, socialisti e liberali) appoggiando la candidatura di Ursula von der Leyen alla Commissione, che viene dal suo stesso partito e rappresenta in questo momento la maggiore garanzia per i paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria in testa), per via delle sue posizioni ferocemente atlantiste sulla gestione dell’Europa orientale e per la nomea di ultra-rigorista sulla gestione dei conti degli Stati membri che si è conquistata ai tempi della crisi greca, quando in quanto a rigidità riuscì a superare perfino il Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Una sponda, quest’ultima, su cui si è inserita anche l’Italia. La posizione italiana Se la componente di maggioranza composta dal Movimento 5 Stelle praticamente non tocca palla (del resto i suoi eurodeputati non hanno ancora neanche trovato un gruppo parlamentare che li accetti), per la Lega il risultato della partita sulle nomine è tutt’altro che esaltante: l’unico italiano eletto, il democratico David Sassoli, è esponente del principale partito di opposizione, mentre in tutte le altre cariche praticamente l’Italia non tocca palla, fatta eccezione per la presidente della Commissione, dove si accoda al gruppo di Visegrad. La vera contropartita richiesta dall’Italia sembrerebbe essere quella dello stop alla procedura d’infrazione, che infatti è stato annunciato da Bruxelles poche ore dopo la chiusura sulle nomine (ma l’Italia ha promesso comunque una corposa manovra di rientro per quest’autunno). Tuttavia, anche in quest’occasione, emergono le contraddizioni tra gli interessi reali italiani e l’ambiguo collocamento internazionale di Matteo Salvini: per un leader che rivendicava ad alta voce la libertà dai “lacci e lacciuoli europei” aver contribuito a portare un’ultra-rigorista tedesca ai vertici della Commissione non è esattamente il massimo della coerenza, così come l’orientamento apertamente anti-russo di Ursula von der Leyen costringerà ormai lo stesso Salvini a schierarsi in maniera netta al fianco di Trump, proprio mentre Putin è atteso domani per una visita ufficiale a Roma.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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