Mura, muri, recinti, fili spinati, cemento, blocchi di jersey, ostacoli ovunque. E’ tutto un rinchiudersi in piccolissime patrie, micromondi in cui in apparenza la paura viene mitigata e pare…

di Marco Sferini

Mura, muri, recinti, fili spinati, cemento, blocchi di jersey, ostacoli ovunque. E’ tutto un rinchiudersi in piccolissime patrie, micromondi in cui in apparenza la paura viene mitigata e pare di vivere “più sicuri”.

Pare così di vivere lontano dalle minacce di tanti nemici creati ad arte dai manipolatori delle coscienze per dirigere meglio l’opinione pubblica ed ottenere consensi tali da gestire politiche di nuovo autarchismo e protezionismo in campo economico per fronteggiarsi sul terreno mondiale di una concorrenza di capitali sempre più concentrati in una globalizzazione ormai senza limiti.

Le mura sono ormai parte di un discorso che si ripete quotidianamente nell’elenco di misure sovraniste da mettere in pratica per proteggere per l’appunto i confini tornati ad essere, nonostante il Trattato di Schengen, quelle frontiere un po’ dimenticate perché, come cittadini europei, eravamo e siamo abituati a oltrepassare le linee immaginarie tra un Paese e l’altro senza dover più mostrare un passaporto. Al massimo una carta di identità.

Le merci viaggiavano libere più degli esseri umani e oggi sono ancora in condizione di avere questo privilegio, visto che viviamo nel capitalismo e nel sistema delle merci cosa può esservi mai di più libero delle merci stesse.

Nonostante gli esseri umani siano forza-lavoro, siano merce essi stessi, non godono dei privilegi della merce prodotta dall’unica merce (quella umana) che ha una capacità esclusiva: quella di produrre valore in cose inanimate o nel far acquistare valore di uso e di scambio sempre maggiore anche a tutto ciò che la natura offre in quanto materie prime.

Dunque le mura e le recinzioni, alte staccionate o sentieri di fili spinati tra Ungheria, Serbia, Romania, tra Messico e Stati Uniti d’America, blocchi stradali tra Austria e Italia, hanno come unico scopo quello politicamente disumano di simulare una protezione dall’ingresso “illegale” in un determinato Paese.

Un sondaggio di SWG ci dice che ben il 55% degli italiani è favorevole alla proposta del ministro Salvini di erigere alla frontiera con la Slovenia una barriera che impedisca lo sconfinamento dei migranti in Italia.

Ascoltando queste proposte leghiste, mi è venuto in mente che nemmeno le Alpi sono riuscite a trattenere Annibale dall’entrare in Italia e, per giunta, con pachidermi come gli elefanti e con un esercito, certamente decimato da lotte precedenti in Iberia e nella Gallia ancora non preda dei romani, ma pur sempre con migliaia e migliaia di uomini; tenendo poi in scacco l’esercito e il Senato per alcuni anni prima della sconfitta di Zama.

Così Livio descrive quel momento storico nell’ “Ab Urbe condita“:

“Sugli alti monti vi era grande abbondanza di nevi e tutti i soldati, stanchi per i pesanti lavori, temevano nuove difficoltà e pericoli.
Allora Annibale indicò ai soldati i ricchi campi dell’Italia e confortò gli animi turbati; poi ordinò la partenza, i soldati obbedirono all’ordine del comandante; ma per l’asprezza dei luoghi, molti uomini trovarono la morte nel viaggio; gli elefanti e i cavalli precipitarono con i bagagli in una voragine. Ormai tutti si disperavano e piangevano la propria sorte con grandi grida.
Infine i monti furono meno aspri e la via apparve facile fino ai campi aperti.”.
(Tito Livio, “Ab Urbe condita”vol. XXI-XXX)

Se i muri naturali non sono mai stati un confine invalicabile, non lo potranno mai essere nemmeno i reticolati e i fili spinati dei sovranisti. Ancorché ci si ingegnasse (ammesso che tutto ciò possa essere ascrivibile all’ingegno, se non quello messo al servizio della crudeltà e della discriminazione) per trovare delle “soluzioni” in merito, il contenimento del fenomeno migratorio, dovrebbe ormai essere evidente anche ai più sprovveduti e meno avvezzi alle questioni sociali, politiche ed economiche, è possibile solo se si trasforma la vita globale del pianeta da sfruttamento intensivo di determinate zone in luoghi di vivibilità sostenibile.

Non possiamo aspettarci che il sistema capitalistico metta mano a tutto ciò e ci consenta un giorno di vivere dignitosamente: continuerà, per sua specificità, a produrre disuguaglianze e quindi povertà immani, contrasti bellici per il dominio strutturale di mercati sempre più innovativi, venendo poi ad uno scontro finale, se non con chi vuole distruggerlo e capovolgerne ogni carattere fondativo e fondamentale, con la natura stessa che restringerà sempre più le condizioni di vita sulla Terra, perché sarà essa stessa a trasformarsi sotto la pressione dello sfruttamento ambientale e della produzione di tante innaturalità che solo apparentemente sono in contrasto con la biodinamica complessiva.

La natura sa adattarsi: certo, tutto ciò ha un costo. E non lo si può pagare con la moneta sonante dei padroni, ma con disastri immani che noi giudicheremo tali perché ci condanneranno a morire per cambiamenti climatici titanici, ma che sarà, nell’economia generale dell’universo, una briciola insignificante rispetto ai mutamenti che in ogni momento accadono nel mistero che ci avvolge.

Noi, che abitiamo in questo microcosmo, nella nostra piccolissima casa chiamata Terra, invece di preoccuparci del cambiamento climatico percependolo come una questione dirimente per i destini della specie umana, scendiamo ancora di più nel micromondo microbico, quello delle ancestralità, delle fobie che sono irrazionali sentimenti che pure tanto possono e che influenzano intere masse di esseri umani.

Non vediamo nessuna “questione di classe”, non ci accorgiamo che tutto questo disastro è frutto del sistema delle merci, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, del capitalismo.

Vediamo solo un povero, con il colore della pelle magari diverso dal nostro, che rischia di passare la frontiera e di venire quindi ad impoverire noi. Perché ormai non siamo capaci di vedere al di là della punta del nostro naso; abbiamo così tanta paura, generata dalla disperazione frutto dell’economia che ha impoverito milioni e milioni di italiani, che non ci siamo resi conto che il primo nemico dell’Italia sono proprio coloro che dicono di volerle bene e di volerla mettere “al primo posto”.

Nessuno dovrebbe mai occupare un “primo posto”, perché se costui esiste vuol dire che qualcun altro è rimasto indietro e non ha gli stessi diritti e nemmeno i doveri di chi è al primo posto.

Ma intanto l’ipotesi del muro tra Italia e Slovenia va avanti, soprattutto dopo la sconfitta plateale della Lega e del suo capo nella questione Sea Watch 3.

La rabbia, del resto, è la cifra costante dei sovranisti: senza attacchi di bile indotti a tanti disperati moderni proletari non avrebbero senso di esistere.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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