Noi che amiamo il cinema dobbiamo essere grati a Rutger Hauer per molte sue interpretazioni, ma l’attore olandese si è ritagliato un posto nella storia dell’immaginario grazie a una sola scena – neppure quattro minuti – la morte del replicante Roy Batty alla fine di Blade Runner. Ma il vero motivo per cui dobbiamo ringraziare Hauer è che quel breve monologo, che in tanti ricordiamo a memoria, è stato in gran parte inventato da lui.

David Peoples, lo sceneggiatore del film, aveva scritto diverse versioni di quella scena, ma pare che nessuna fosse davvero convincente, almeno per Hauer, che così, al momento in cui venne girata, tagliando un testo che sarebbe dovuto essere nelle intenzioni di Ridley Scott un po’ più lungo, recitò il monologo come noi lo abbiamo imparato a conoscere. Terminata la ripresa, dalla troupe partì un applauso liberatorio, mentre qualcuno cominciò a piangere. Erano stati testimoni della nascita di una leggenda: succede a pochi.

Rutger Hauer, pur riconoscendo che aveva trovato il testo di Peoples troppo lungo, con una certa modestia ammette soltanto di aver aggiunto “e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”.

Ma la lettura della sceneggiatura originale non lascia spazio a dubbi. Anche “è tempo di morire” è opera sua. E comunque tutto il “suo” testo è più efficace di quello di Peoples.

E cosa c’è di più umano di questa consapevolezza, per ironia della storia raccontata da un replicante? Nessuna filosofia ci dice – e certo non lo fa con questa icastica semplicità – che la nostra vita in fondo è tutta qui: nella capacità di accettare che a un certo punto – che per lo più non siamo noi a stabilire – dobbiamo morire e che la nostra vita, per quanto sia stata ricca di storie, è destinata a svanire insieme a noi.

A molti di noi non basta una vita per imparare questa elementare verità, a Roy Batty sono bastati meno di quattro anni. Noi inventiamo ogni sorta di filosofia per provare a convincerci che non è così, mentre il replicante costruito per combattere, che verosimilmente non ha mai letto un libro in vita sua, ha capito perfettamente quello che noi rifiutiamo di accettare.

Noi che siamo mai stati – e che non ci staremo mai – in prossimità delle porte di Tannhäuser, non sapremo mai cosa ha visto davvero Roy Batty. Eppure deve essere stato qualcosa di incredibile per permettergli di raggiungere questa consapevolezza. O forse ci prende in giro – e il suo sguardo beffardo ne è un indizio – non serve aver provato mille esperienze. Basta guardarsi dentro. Lui ne ha viste di cose perché semplicemente ha fatto quello che noi facciamo di tutto per non fare mai, ha guardato dove noi – che siamo di solito così curiosi – non guardiamo mai: dentro di sé. E facendo questo esame con onestà non ha potuto che riconoscere questa drammatica verità.

Noi facciamo di tutto per dimenticarlo, ma la parola uomo deriva etimologicamente da humus, che significa terra. Noi siamo terra – che raramente dimostra una qualche improvvisa genialità, che talvolta riesce perfino a creare bellezza – ma pur sempre terra. Proviamo a ricordarcelo.

I’ve seen things you people wouldn’t believe, attack ships on fire off the shoulder of Orion, I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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