Giulio Marcon

Una ricerca di CNR e Istat appena pubblicata descrive un quadro drammatico sulla violenza sulle donne. Una vera e propria emergenza nazionale, di fronte a cui non si interviene con misure e finanziamenti adeguati. Al contrario, esponenti del governo veicolano una cultura maschilista e patriarcale.

33mila donne (di cui 24mila italiane) prese in carico dai 338 centri antiviolenza nel 2017; 54mila che hanno comunque contattato i centri per avere supporto; un milione di donne che hanno subito violenza negli ultimi 5 anni (cioè in media 200mila l’anno): questi alcuni dei numeri della ricerca appena resa nota di Istat e CNR su incarico del Sottosegretario alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora.

Una realtà drammatica, la punta di un iceberg di una situazione che non può più essere tollerata. È principalmente un problema legato al predominio di una cultura maschilista e patriarcale che alimenta una pratica di violenza, di sottomissione, di odio. Riguarda tutti, tutte le categorie sociali: è un problema generale. La stragrande parte delle violenze domestiche è sulle donne. Anche il linguaggio è violentemente sessista. L’esempio dovrebbe partire dall’alto, dalla politica. Il Sottosegretario Spadafora afferma – giustamente – come “l’Italia viva una pericolosa deriva sessista. Come facciamo a contrastare la violenza sulle donne se gli insulti alle donne arrivano proprio dalla politica, dai suoi esponenti più importanti? Un esempio? Gli attacchi verbali del vicepremier alla capitana Carola”.

Il Vicepremier Salvini non è nuovo alle sparate sessiste: basta consultare i suoi social. Nel 2016 ha esposto a un comizio della Lega – come fosse uno scalpo – una bambola gonfiabile dicendo: “C’è la sosia di Boldrini qui”. Il putiferio seguito alle dichiarazioni di Spadafora ha portato all’annullamento della conferenza stampa di presentazione dei dati della ricerca CNR-Istat e alla richiesta di dimissioni del Sottosegretario.

Serve una rivoluzione culturale, servono cambiamenti legislativi radicali, anche iniziative e misure economiche capaci di cambiare le carte in tavola. Secondo il Gender Gap Report 2019 la differenza delle retribuzioni tra uomini e donne è di 2.700 euro lordi. Solo il 15% dei/lle dirigenti sono donne. Abbiamo ritardi gravissimi nel raggiungimento dell’obiettivo della parità di genere, cui ci siamo impegnati con la sottoscrizione dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite nel 2015.

Nel 2016 il Parlamento ha modificato la Legge di Bilancio, prevedendo il Bilancio di Genere. È rimasto sostanzialmente lettera morta: un compitino che è quasi impossibile rintracciare sul sito del MEF. E poi i soldi, pochi, troppo pochi: briciole per la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita e per gli asili nido pubblici, e solo 37 milioni per i centri antiviolenza. Sono 7 milioni in più rispetto all’anno scorso (molti di questi soldi ancora non spesi e bloccati), ma una parte – come ci ricordano le organizzazioni femministe – si perde nei meandri della burocrazia e di azioni inutili. Servirebbero investimenti in iniziative educative e culturali e in attività di prevenzione. Bisognerebbe potenziare la realtà dei centri antiviolenza. Sbilanciamoci! ha ricordato che con il costo di un solo cacciabombardiere F-35 potremmo avere 103 centri in più.

Cambiare rotta è sempre più indispensabile di fronte a quella che è una vera emergenza di questo paese. Non si può più rimandare

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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