Indios massacrati e Amazzonia deforestata. Questo il Brasile di Bolsonaro. Nei primi sette mesi della sua presidenza sono stati distrutti 4.200 chilometri quadrati di foresta.

di Marina Zenobio

Mercoledì scorso dozzine di garimpeiros(cercatori d’oro) hanno fatto irruzione armati nella terra indigena del popolo Wajãpi, nello stato di Amapá, nord del Brasile, assassinando il leader indigeno Emyra Waiãpa. Il suo corpo è stato ritrovato in un fiume vicino al villaggio in cui viveva. Non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo attacco alle popolazioni indigene brasiliane che occupano territorio troppo ricchi, che vanno deforestati perché fanno troppo gola alle multinazionali.

Tuttavia, “I dati sulla deforestazione sono falsi, e comunque l’Amazzonia è nostra e non vostra. ”. Ha esordito così il presidente brasiliano Jair Bolsonaro nella sua prima conferenza con la stampa straniera tenutasi a Brasilia lo scorso 19 luglio, ribadendo così quanto dichiarato qualche mese fa dal generale Augusto Heleno Pereira, suo consigliere per la sicurezza: “L’idea che l’Amazzonia sia patrimonio mondiale è una sciocchezza, gli stranieri devono farsi i fatti loro e non immischiarsi”.

Dichiarazioni che non fanno presagire nulla di buono per il futuro perché se è vero che l’Amazzonia si trova nella sua maggior parte in territorio brasiliano la sua esistenza è indispensabile per la vita dell’intero pianeta, è definita infatti “il polmone del mondo” che si estende lungo 7,4 milioni di chilometri quadrati e in cui si concentra il 60% della biodiversità mondiale.

In quanto patrimonio dell’umanità (il Brasile ha accettato la Convenzione UNESCO per i Beni dell’Umanità il 1 settembre 1977) il grande stato sudamericano è obbligato a curare l’Amazzonia ed evitare, in primo luogo, la deforestazione, soprattutto nella situazione attuale, mentre gli equilibri ambientali si stanno rompendo con serie minacce per la sopravvivenza di flora, fauna e dell’intera umanità.

Bolsonaro e il suo consigliere per la sicurezza non possono dire ai governi stranieri e alle realtà ambientaliste nazionali e internazionali che non hanno il diritto ad esprimere opinioni su quanto succede al “polmone del mondo” perché riguarda tutti e tutte, hanno il dovere di informare cosa accade alla vita animale, vegetale e agli indigeni che ancora vivono (o sopravvivono) in Amazzonia.

Ciò nonostante, la politica ambientale di Jair Bolsonaro ignora, o meglio dire si disinteressa alla grave pressione attualmente sperimentata dagli ecosistema, peggio ancora rivede le leggi sull’Amazzonia a favore dello sfruttamento minerario e agricolo e propone, per i prossimi dieci anni, di raddoppiare la produzione di soia. Il risultato sarà una maggiore deforestazione facilitata dall’unificazione del ministero dell’ambiente con quello dell’agricoltura, a cui si aggiunge una riduzione delle terre dove vivono gli indigeni perché, secondo Bolsonaro e il generale Heleno Pereira “di terra ne hanno già abbastanza”.

Aumentano così le preoccupazioni delle ong locali e delle organizzazioni internazionali. Secondo uno studio del WWF pubblicato ad ottobre scorso, negli ultimi cinquant’anni è sparita la quinta parte della foresta. Per Greenpeace negli anni 70 la deforestazione della foresta Amazzonia era dell’1% mentre attualmente è arrivata al 18%. Poi c’è l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE) secondo il quale tra il primo gennaio 2019, data dell’entrata in carica di Bolsonaro, e il 24 luglio sono stati distrutti 4.200 chilometri quadrati di foresta, in pratica il 50% in più rispetto ai primi sette mesi del 2018 e oltre il doppio dell’area deforestata nello stesso periodo nel 2017. E questi sono dati veri.

Ma l’attuale presidente del Brasile, invece di affrontare con responsabilità le violenze contro gli indios e la crescente deforestazione dell’Amazzonia, preferisce imitare il suo omologo nordamericano, Donald Trump, ritirandosi dagli Accordi di Parigi sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

Nel secondo decennio del Ventunesimo secolo il pianeta terra si trova ad affrontare importanti sfide ambientali. L’accelerazione di processi di industrializzazione, di industrializzazione e del commercio globale stanno esercitando una estrema pressione sugli ecosistemi, con conseguenti e gravi pericoli per il pianeta. I limiti di sicurezza del cambiamento climatico sono stati già superati, la biodiversità diminuisce sempre di più, boschi e foreste si riducono altrettanto e assorbono sempre meno anidride carbonica, l’uso di fertilizzanti e pesticidi in agricoltura hanno superato i limiti tollerabili danneggiando piante, acque e pesci.

L’Amazzonia, che dovrebbe essere lo scudo principe per combattere il deterioramento degli ecosistemi, viene distrutta giorno dopo giorno. Ne pagheranno le conseguenze il Brasile e le regioni amazzoniche, ma anche l’umanità intera e le future generazioni. La capacità di assorbire CO2 diminuisce, perderemo la maggior parte delle specie animali e vegetali, e il riscaldamento globale continuerà la sua inesorabile marcia. La sopravvivenza del pianeta è in gioco ma chi obbligherà Bolsonaro ad assumersi le sue responsabilità davanti all’umanità?

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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