di Fabrizio Verde

Hong Kong è scossa dal tentativo di paralizzare completamente il governo della città autonoma. Quella è in atto è una rivolta che possiede tutti i crismi di una rivoluzione colorata. I manifestanti che scendono in piazza con le bandiere del Regno Unito, la vecchia potenza coloniale che ha avuto il controllo della città fino al 1997, per raggiungere l’obiettivo di portare di nuovo Hong Kong sotto il controllo del mondo occidentale ricorrono a tutti i mezzi. Comprese azioni terroristiche. Lo stesso copione già visto in Libia, Siria, Ucraina, Venezuela, solo per ricordare alcuni paesi aggrediti con la richiesta di “democrazia”. Occidentale, liberale e liberista ovviamente. Con tutte le conseguenze del caso. 

La copertura mediatica mainstream delle rivolte di Hong Kong è semplicemente vergognosa. Scrive ad esempio Euronews, sempre in prima fila nell’esaltare le gesta in odore di terrorismo di manifestanti filo-occidentali, quindi buoni per antonomasia, che «gli abitanti di Hong Kong temono l’influenza di Pechino, hanno paura di perdere i propri diritti, come la libertà di parola e di espressione, la libertà di riunione e associazione pacifiche». Per questo devastano la città e assaltano i giornalisti che hanno l’unica colpa di fare il proprio mestiere raccontando quanto accade ad Hong Kong. 

Nella giornata di ieri il giornalista del Global Times, Fu Guohao, è stato preso d’assalto, aggredito da rivoltosi e picchiato nell’aeroporto internazionale di Hong Kong durante la seconda protesta illegale consecutiva che ha paralizzato uno dei centri di trasporto più trafficati del mondo. Nel nome della libertà di parola e del diritto alle manifestazioni pacifiche, ça va sans dire. 

Talmente è stato violento l’attacco che finanche il personale medico ha avuto difficoltà a prestare aiuto. 

Scrive il Global Times: «L’intera redazione del Global Times è stata oltraggiata dai rivoltosi che hanno trattato il nostro giornalista in modo così disumano e ha condannato fermamente l’atto, che potrebbe essere considerato terrorismo. Abbiamo anche esaminato i resoconti dei media sulla brutalità dei mob e abbiamo scoperto che alcuni media di Hong Kong come Apple Daily e giornalisti occidentali, hanno cercato di trovare una scusa per l’atto brutale».

Come volevasi dimostrare, in nome della finta democrazia liberale, tutto è concesso ai violenti di ogni risma. 

Il quotidiano in questione, Apple Daily, è arrivato a giustificare l’aggressione perché il giornalista cinese «non presentava la sua vera identità». Scrive ancora il quotidiano di Pechino: «Alcune giornaliste occidentali, tra cui una giornalista soprannominata Chan, che è molto brava a infangare la Cina pubblicamente, hanno insinuato che un giornalista che lavora per il Global Times meritasse di essere aggredito.

Un giornalista della BBC ha anche incolpato Fu per non essersi identificato con precisione quando i manifestanti glielo hanno chiesto, il che avrebbe potuto essere un grosso errore da parte sua.

Eravamo a pochi chilometri dal mio collega quando è stato brutalmente attaccato dai manifestanti, ma non siamo riusciti a salvarlo perché i rivoltosi hanno bloccato la strada. Abbiamo provato la stessa disperazione ogni volta negli ultimi mesi quando abbiamo coperto assemblee illegali di manifestanti antigovernativi, che sono diventati tutti violenti, brutali e disumani».

Ruolo dei giornalisti

Il quotidiano cinese tocca anche un punto molto importante: «Che ruolo hanno avuto alcuni media di Hong Kong e giornalisti stranieri in mezzo alle rivolte? Abbiamo potuto identificarli come complici solo perché hanno contribuito a ostacolare la polizia nel processo di applicazione della legge, hanno attaccato verbalmente la polizia e gli ufficiali governativi che non erano d’accordo con loro e hanno inviato informazioni relative alla polizia ai ribelli in prima linea». 

Si tratta di una condotta corretta? La risposta è no. Dovere dei giornalisti è quello di supervisionare le autorità governative. Persino sfidare le autorità quando necessario ma avallare azioni di stampo terroristico decisamente no. 

A questo punto facciamo nostra una domanda che pone il Global Times. Mentre il terrore nero colpisce la città e la maggioranza silenziosa non osa esprimere le proprie opinioni, dov’è la cosiddetta democrazia? E con essa la tanto invocata libertà?.

E i giornalisti stranieri che giustificano le azioni violente e non condannano la brutale aggressione a un loro collega che aveva come unica colpa quella di provare a svolgere con coscienza il proprio dovere di cronista, difendendo tali atti terroristici, se non sono complici, cosa sono? 

Conosciamo bene la risposta alla domanda posta dal Global Times. Certo ‘giornalismo’ lo conosciamo da vicino, purtroppo

Global Times✔@globaltimesnews

#环球时报 Editorial: We should together defend reporters’ right to personal security, and defend an ordinary person’s right to not being tied up and beaten just because of suspicions. Above all, this is not politics, but conscience. http://bit.ly/2Z85P4W 

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212:45 PM – Aug 14, 2019

Ps. La Redazione de l’AntiDiplomatico esprime piena solidarietà al collega Fu Guohao e al quotidiano Global Times. Nei prossimi giorni si impegnerà attraverso una lettera aperta a raccogliere la solidarietà di quanti vogliono condannare la brutale aggressione subita dal collega cinese. E prendere le distanze da quei media mainstream che hanno addirittura provato a giustificare un inaccettabile atto terroristico compiuto per intimidire chi aveva intenzione solo di fare al meglio il proprio lavoro documentando le efferate violenze dei gruppi radicali che provano a portare a termine l’ennesima rivoluzione colorata

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-hong_kong_immagini_shock_del_brutale_pestaggio_ad_un_giornalista_cinese/82_30062/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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