Ci sono dischi – non molti ovviamente – che fanno la storia. E ce ne sono pochissimi che sono leggenda. Kind of blue ha fatto la storia ed è diventato leggenda.
Io non voglio raccontarvi di questo disco o di Miles Davis. Almeno per oggi. L’eroe di questa storia è Roger Wendell “Buck” Hill, il sassofonista che non ha suonato in Kind of blue.
Buck è nato il 13 febbraio 1927 in un sobborgo a nord-est di Washington D.C. e in questa stessa città è morto il 20 marzo 2017, a novant’anni. Washington, con la sua fortissima comunità nera, è sempre stata una delle città del jazz e qui Buck, all’età di tredici anni ha imparato a suonare il sassofono. A sedici ha cominciato a esibirsi in una band di ragazzi neri in cui suonava la batteria un suo compagno di liceo, Jimmy Cobb, che ha suonato in Kind of blue. A diciotto anni Buck si è diplomato e poi è entrato per qualche anno nell’esercito, dove ovviamente ha continuato a suonare nella banda militare. Una volta congedato è tornato a Washington, si è sposato con Helen Weaver ed è diventato postino, un lavoro che gli permetteva di sostenere la propria famiglia, che intanto ha cominciato a crescere.
Nella capitale Buck può continuare a suonare il sassofono ad alti livelli durante la notte e nei fine settimana, mentre la mattina fa il suo giro per consegnare la posta. Negli anni Cinquanta il “suo” club è il Showboat Lounge, dove suona nell’orchestra del chitarrista Charlie Byrd, che negli anni Sessanta mescolerà il jazz con i ritmi della bossa nova e della musica brasiliana. In quegli anni a Washington bianchi e neri potevano suonare insieme.
A Washington passano tutti e tutti suonano con Buck: Sonny Rollins, Dizzy Gillespie, Miles Davis. I sassofonisti che arrivano in città sfidano Buck in lunghe jam session, ma the jazz mailman vince sempre. Famosi sono i suoi “scontri” con Sonny Stitt “il lupo solitario”, ma Buck ha quasi sempre la meglio. 
Nel ’58 Davis, tornato negli Stati Uniti dopo aver creato per Louis Malle la colonna sonora di Ascensore per il patibolo e aver rivisto l’amata Juliette Gréco, gli offre di entrare nel suo gruppo, al posto di John Coltrane, licenziato perché faceva uso di eroina. Buck rifiuta: seguire Miles avrebbe significato rinunciare al lavoro sicuro alle poste e alla sua famiglia.
Il 2 marzo e il 22 aprile del 1959, il sestetto di Miles Davis incide le cinque tracce di Kind of blue. Con lui ci sono Bill Evans al pianoforte – l’unico bianco, ma soprattutto l’unico che, prima di registrare, abbia qualche idea di quello che Davis vuole fare – Julian “Cannonball” Adderley al sax contralto, Paul Chambers al contrabbasso, Jimmy Cobb alla batteria, e infine John Coltrane al sax tenore. La sua “punizione” è durata poco, anche perché Miles sa bene cosa significa la dipendenza e sarebbe stato ipocrita privarsi solo per questo di un artista come Coltrane.
E Buck? Continua a consegnare la posta al mattino e a suonare la notte e nei fine settimana nei locali di Washington. Fino al 1998, quando va finalmente in pensione. E’ ormai il leader di un proprio gruppo, compone alcuni brani, incide dischi – comincia tardi, a più di cinquant’anni – tanti giovani musicisti vanno a Washington solo per poter suonare con lui. Con il suo sassofono accompagna spesso la cantante Shirley Horn, anche lei una figlia della comunità jazz di Washington, che come lui ha deciso di stare in quella città e di fermarsi qualche anno per allevare la figlia.
Aveva rimpianti Buck? Sarebbe ipocrita pensare che non ne abbia avuti: poteva fare la storia ed entrare nella leggenda. Forse non amava il soprannome the wailin’ mailman con cui i giornali di Washington lo hanno salutato quando è morto: Buck non era triste. Ha sempre potuto fare quello che amava fare di più: suonare. Mi piace pensare che Buck abbia capito, forse molto prima di quanto lo capiamo noi – e qualcuno non lo capisce affatto – che è la vita che sceglie per noi. E che, una volta accettato questo, occorre impegnarsi per far bene quello che dobbiamo fare. Per questo Buck è diventato una leggenda.

p.s. in rete trovate molti pezzi suonati da Buck Hill: io ho scelto Tenor madness

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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