L’affanno governativo, da notte a mattina, come se avesse dovuto correre per ore e ore alla ricerca dell’Araba Fenice, senza poi sapere bene se l’ha trovata, è stato dettato in queste ore dal tentativo di dare una prima strutturazione alla manovra di bilancio che, come volevasi dimostrare, sarà una tortuosa salita. Altro che maratona notturna, scontro frontale tra PD e Italia Viva sull’Imposta sul Valore Aggiunto, sulla riscossione della medesima con formule di rimodulazione bocciate sonoramente dai grillini addirittura in diretta televisiva. La manovra economica è condizionata inevitabilmente dai legami con Bruxelles: il 65% delle cifre che dovranno essere gestite è sotto il vincolo dei dettami europei e da lì non si scappa. Il governo si trova alla prima prova dei fatti e sembra andare incontro alla sorte di un pasticcio niente affatto male che coinvolgerà certamente un duplice intervento fatto di tutela dei grandi patrimoni da tassazioni dirette e indirette (appunto come l’IVA), per cui l’esigibilità avverrà partendo da un tetto minimo con la tracciabilità tramite carte di credito e la penalizzazione, di contro, per chi continuerà ad usare il contante e non potrà evitare eventuali aumenti dell’imposta. Qui arriva il dilemma dell’evasione fiscale ancora perpetuabile con l’evitamento degli scontrini, mentre con le carte di credito o le prepagate è impossibile non ricorrere alle maglie del fisco. Ribatte la ministra Bellanova che nei piccoli comuni, laddove la persona magari anziana è abituata a comperare quasi tutto in contanti, sarà difficile applicare la norma che prevede l’utilizzo della carta per mettere in pratica la tracciabilità del venduto e delle spese. Così volano le accuse e gli stracci notturni tra PD e Italia Viva, tra un “Volete mantenere l’evasione fiscale” a un “Non capite la reale situazione del Paese“. Un po’ la “Guerra dei Roses“, quando ci si incontra per le scale e ci si insulta molto amabilmente con epiteti indicibili. Ma intanto si prosegue, chi sale e chi scende e sembra proprio che Italia Viva tenga al guinzaglio il governo visto che Renzi si affretta a dichiarare: “Senza di me non c’è maggioranza“. Ed ha pure ragione, numeri alla mano. Si sapeva e ora lo si sa ancora meglio. Si chiama “imposta indiretta” proprio per questo motivo: dovrebbe colpire tutte e tutti indistintamente. Apparentemente è una misura egualitaria; in realtà è quanto di più ingiusto si possa creare e si sia creato. Perché, come bene ci ha insegnato Don Milani, “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.“. A dire il vero, l’Europa biasimerebbe misure di giustizia sociale in tal senso, ma è ovvio che se si decidesse di mostrare al popolo d’essere davvero un governo di sinistra o quanto meno vagamente tale, si introdurrebbe la tanto vituperata “patrimoniale” e si cambierebbero certe voci di bilancio che attribuiscono alla spesa militare ancora un esagerato bilancio di investimenti di cui l’Italia può del tutto francamente fare a meno. La “patrimoniale” risolverebbe molti problemi ma, indubbiamente, andrebbe a toccare i grandissimi capitali bancari e immobili dei ricconi, del padronato, di “lor signori” insomma. Se ne può tranquillamente escludere la prima casa di proprietà, qualche motorino o l’automobile cittadina: più difficile tenerne fuori lo yatch di famiglia parcheggiato a Portofino, la grande villa a picco sul mare in Costa Smeralda e magari la tenuta di campagna sui colli fiorentini. Ma se davvero la nostra Costituzione contempla tra i suoi princìpi la tassazione progressiva, se ne evince che una forma patrimoniale di esigibilità fiscale sarebbe non solo equa socialmente ma anche costituzionalmente adeguata alla conformazione strutturale del regime repubblicano e finalmente chi ha moltissimo di più pagherebbe moltissimo di più e chi ha solo una casa e poche altre cose ne sarebbe escluso e pagherebbe in base al reddito da lavoro, con le trattenute che già gli toccano nella busta paga. Ma, non sia mai! La “patrimoniale” rimane un pericolosissimo crinale da non oltrepassare, magari su cui stare ad ondeggiare per mostrarsi ora amici del popolo (ce ne scusi Marat per la non voluta citazione del titolo del suo celebre quotidiano rivoluzionario), ora un po’ di sinistra, ma alla fine esclusa da qualsivoglia sia programma di governo giallo-verde, giallo-rosso e di qualunque altro abbinamento cromatico possa venirsi a creare. Il cammino della legge di bilancio è appena cominciato e già volano gli stracci. Del resto nessun governo oggi, come ha giustamente detto un amico e compagno di Partito, può prescindere dall’essere liberista. Pertanto da costoro non c’è che da aspettarsi una gestione in tal senso sul piano economico, con qualche correzione fintamente sociale per generare gli effetti di una certa “pace sociale” indotta. Quindi, osservato quanto sopra, sarebbe il caso di organizzare fin da ora una opposizione di classe, sociale, fermamente incentrata su una serie di rivendicazioni sociali che aprano contraddizioni soprattutto in seno al PD e ai Cinquestelle che rivendicano un collegamento di base con una cittadinanza che guarda a sinistra e che, pur ingannandosi nel sostenere queste due formazioni politiche sperando di tutelare i propri diritti, rimane una parte di Paese con valori e determinazioni progressiste. Valutando, in aggiunta a quanto detto, che la finanziaria non sarà l’unico provvedimento antisociale che si riverserà sul Paese: la tenuta sociale e la tenuta democratica, se non proprio di pari passo, quanto meno l’una dietro all’altra marciano e si guardano reciprocamente. L’attacco che il governo si appresta a mettere in campo con il taglio dei parlamentari è una ennesima controriforma costituzionale non certo di minore impatto nel tentativo di ridimensionamento dei poteri e del ruolo complessivo del Parlamento nel nostro architrave costituzionale. Ma i segnali di vita a sinistra sono se non inesistenti quanto meno contraddittori tra loro e impossibili ad addivenire ad una sintesi ragionata e concreta nella proposta politica conseguente. Eppure serve ricomporre un polo di classe, di alternativa anticapitalista e comunista per fronteggiare queste ipocrisie liberiste travestite da sinistra moderata e riformatrice e svelare tutti questi inganni, lavorando giorno per giorno, con grande pazienza, alla strutturazione proprio primordiale di un movimento che diventi riconoscibile per la sua presenza, prima di tutto, nel mondo del lavoro, della scuola e del sociale. Lavoriamo oggi in questa direzione per poter un giorno sempre noi essere coloro che potranno veramente disporre una tassazione fortemente progressiva, una “patrimoniale” per cui, come dicevamo un tempo e dobbiamo tornare a dire ora: “Anche i ricchi piangano!“.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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