Da un quarto di secolo soffriamo in silenzio in attesa di qualcuno che dica qualcosa di sinistra. Oggi ci basterebbe qualcuno che facesse qualcosa di civile. Che mettesse riparo ai guasti spaventosi prodotti nel nostro Paese almeno a partire dall’avvento del padrone delle tv travestito da cantore della libertà, oggi aggravati dall’ondata sovranista. Niente da fare. Il sospiro di sollievo che abbiamo tirato due mesi fa nel vedere l’agitatore di talismani e reliquie temporaneamente nell’angolo, si è affievolito fino a scemare. Abbiamo accettato di buon grado il colpo di genio interessato del funambolo Renzi, avendo negli occhi lo spettro di un presidente della Repubblica post-costituzionale. Abbiamo accolto come liberatore un personaggio che ci aveva tolto la soddisfazione di dare del pericolo pubblico all’uomo con cui aveva da poco orgogliosamente condiviso il cartello «decreto Salvini». Abbiamo chiesto al riluttante Zingaretti e al dilaniato Pd di fare un piccolo sforzo e di trangugiare il boccone amaro in nome della causa superiore. Abbiamo immaginato che sotto la nostra benefica influenza la setta populista telecomandata dal comico, controllata dall’informatico e guidata dall’automa programmato al dogma della democrazia diretta dall’alto, si trasformasse pian piano in una forza soavemente ispirata al riscatto dei deboli, senza pregiudizio per la qualità della democrazia. Niente da fare. Certo, qualche persona più civile in giro s’è vista. Qualche piccola cosa come un ministro che avrà i suoi difetti ma parla un linguaggio decente, incoraggia i ragazzi alle manifestazioni ambientaliste e reintroduce la storia nell’esame di maturità. O come il flebile Speranza, che ha esibito giustamente l’abolizione del superticket sulle prestazioni mediche, sia pure con la consueta espressione tanto mesta da far torto al suo nome. O come un ministro dell’economia che invece di fare proclami dai balconi argomenta pacatamente le sue scelte. Ma sulle cose più urgenti? I peggiori misfatti commessi dal governo precedente sono stati cancellati? Non risulta. I decreti sicurezza rimangono lì, neppure emendati nei punti raccomandati dal Presidente della Repubblica. La Alan Kurdi ha finalmente trovato un porto per i suoi ottantotto naufraghi, ma altri gommoni vagano senza che nessuno si decida a lanciargli una cima di ormeggio. Il trattato con la Libia che tortura i migranti e spara sulle Ong è stato rinnovato. La mozione al parlamento europeo sui porti aperti – una semplice tautologia – è stata respinta grazie all’astensione dei deputati grillini: forse memori di quando avevano fatto combutta con Farage, o di quando Grillo li aveva diffidati dall’indulgere troppo all’accoglienza perché altrimenti i voti sarebbero andati a picco. In compenso, il provvedimento di taglio dei parlamentari per risparmiare sulla democrazia è passato trionfalmente, con la pudica promessa di una futura riforma elettorale: un provvedimento ispirato alla più plateale demagogia qualunquista, secondo la quale i parlamentari meno sono meglio è. Almeno la vituperata riforma renziana, contro la quale si era levato un meraviglioso coro in difesa della Costituzione, conteneva un disegno. Qui no, zac, si taglia e basta. Il ministro Buonafede, a sua volta programmato per far capire che nessun corrotto la farà mai franca e che nessun indagato sarà mai prescritto, ossia che i processi potranno andare avanti all’infinito, non demorde. A un certo punto è persino parso che ci dovessimo far andar bene la sindaca di Roma, un autentico disastro nazionale per opinione unanime. Quali altri bocconi amari ci riserva il domani? Nel frattempo, mentre i democratici continuano a dividersi alla luce del sole, i 5 stelle continuano ad essere un buco nero, in cui non si sa chi pensa cosa, dove si decide, se e dove si discute, e per sapere qualcosa su di loro bisogna ricorrere alle interviste a sconosciuti, alle sentenze oracolari, ai messaggi cifrati, alle rivelazioni dei transfughi. Forse nelle loro file si celano persone di grande qualità, con le quali sarebbe facile andare d’accordo e fare battaglie davvero serie per la democrazia e per combattere le diseguaglianze. Ma non è possibile saperlo. A quanto pare non hanno ancora deciso se si sta meglio in compagnia di Salvini o di Zingaretti. Un punto che sarebbe meglio chiarire. Ora le elezioni umbre gettano lo scompiglio in un panorama già paludoso. Di Maio, terrorizzato al pensiero di perdere il suo elettorato senza volto, quello qualunquista nostalgico dei vaffa, quello a cui tiene di più perché forse è il più consistente, non si sogna neppure di accettare una svolta rispetto alle politiche fatte con Salvini. «Noi a sinistra? Orrore!». Ma non volendo andare alle urne cerca di salvare capra e cavoli, governo Conte e politiche securitarie, retorica antipolitica, giustizialismo manettaro. Probabilmente, porterà a fondo il suo movimento senza che il suo creatore riesca a fermarlo. E noi che abbiamo sperato, noi che abbiamo patito per evitare il peggio? Una sola cosa: stiamo attenti a non essere trascinati a fondo dalla sua presa disperata.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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