Giulio Chinappi1

Svoltesi lo scorso 28 settembre, le elezioni presidenziali dell’Afghanistan non hanno ancora un verdetto. Prevista per il 14 novembre, la pubblicazione dei risultati è stata rinviata a data da definirsi.

L’ultimo uomo ad essersi fregiato del titolo di presidente dell’Afghanistan essendo in effetti in grado di controllare la maggioranza del territorio nazionale è probabilmente stato Mohammad Najibullah, leader del Paese al momento della fine della Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Il governo filosovietico, come noto, fu contrastato dagli Stati Uniti finanziando gruppi armati che oggi indichiamo come Talebani: allora, invece, si chiamavano mujāhidīn ed erano considerati dalla stampa occidentale come “patrioti anticomunisti”.

Arrivando alla storia più recente del Paese, la carica di presidente è stata spesso definitita come equivalente di sindaco di Kabul, visto che il governo riconosciuto internazionalmente è effettivamente in grado di controllare solamente la capitale e poche altre aree circostanti. Dopo l’intervento degli Stati Uniti in Afghanistan, in guerra questa volta contro i “terroristi” Talebani da loro stessi finanziati anni prima, questa carica più simbolica che effettiva è stata ricoperta da due fantocci di Washington – e non poteva essere altrimenti.

Il 9 ottobre 2004, la stampa occidentale spacciò con il nome di “prime elezioni democratiche nella storia del Paese” una consultazione elettorale che sanciva la nascita effettiva della nuova Repubblica Islamica dell’Afghanistan. A vincere fu, con il 55% delle preferenze, Hamid Karzai, uomo che di fatto era stato scelto a tavolino da George W. Bush e dal suo entourage, che non a caso lo avevano posto a capo del governo afghano sin dal dicembre 2001.

Se, nel 2004, il 70% degli afghani aventi diritto era riuscito a recarsi alle urne (circa otto milioni di persone), nel 2009 furono solo quattro milioni di cittadini a rieleggere Karzai con quasi il 50% delle preferenze, dimostrando come la democratizzazione del Paese fosse solamente uno specchio per le allodole. Dopo tredici anni di governo effettivo, Karzai ha visto la successione di Ashraf Ghani nel 2014, eletto con 31.56% delle preferenze ed un’affluenza alle urne nuovamente in ascesa (7.1 milioni di votanti).

Ghani è incredibilmente riuscito a fare “meglio” del predecessore Karzai in fatto di genuflessione agli ordini imposti di Washington: sindaco di Kabul, dunque, oppure governatore per conto della madrepatria statunitense si sarebbe detto in tempi di colonizzazione. Il settantettenne, che non a caso ha studiato presso la Columbia University, era non a caso il favorito per la riconferma alla virgilia delle quarte elezioni presidenziali della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, tenutesi lo scorso 28 settembre.

Oltre a Ghani, altri diciassette nomi comparivano sulla scheda elettorale, tra i quali spicca quello dell’infaticabile Abdullah Abdullah, cinquantanovenne eterno secondo sia nelle sfide con Ghani che precedentemente con Karzai. Ex ministro degli Esteri di Karzai, Ghani può vantare l’appoggio di una forza politica organizzata come il Congresso Nazionale dell’Afghanistan (Etelaf-e Milli).

Viste le difficoltà nelle operazioni di spoglio e conteggio dei voti, la pubblicazione dei risultati delle elezioni presidenziali era già stata rimandata dal 19 ottobre al 14 novembre, dunque un mese e mezzo dopo lo svolgimento delle votazioni. Il giorno prima della scadenza, tuttavia, le autorità competenti hanno proclamato un nuovo rinvio a data da definirsi. Al momento, l’unico dato trapelato è un record negativo d’affluenza, a dimostrazione di come, a diciotto anni di distanza dall’inizio dell’invasione statunitense, le istituzioni democratiche in Aghanistan siano solamente una sovrastruttura imposta dall’esterno che non hanno una reale influenza nella vita del Paese.

Sfortunatamente a causa di problemi tecnici e di altri problemi, domani non saremo in grado di annunciare i risultati delle elezioni“, ha detto il portavoce della Commissione Elettorale Indipendente, Abdul Aziz Ibrahimi, mercoledì 13 novembre, senza fornire dettagli o una nuova data. Secondo alcune fonti, il conteggio dei voti sarebbe stato bloccato dai sostenitori di Abdullah, che hanno denunciato pesanti irregolarità. “Il conteggio dovrebbe essere interrotto. Stiamo cercando di salvare il processo dai truffatori“, ha dichiarato il principale avversario del presidente in carica, Ghani.

Le elezioni di quest’anno erano state pubblicizzate, dalla stampa main stream, come “le più pulite della giovane democrazia afghana” dalla stampa borghese occidentale, con un’azienda tedesca che ha fornito macchine biometriche che avrebbero dovuto impedire alle persone di votare più di una volta. Ma quasi un milione di voti iniziali sono stati eliminati a causa di irregolarità, portando il numero di voti validi ad appena 1.8 milioni su 9.6 milioni di elettori registrati ed una popolazione di 37 milioni di persone – come anticipato, un nuovo record negativo di affluenza. I numeri dicono tutto sul fallimento dell’intervento imperialista occidentale ammantato di democrazia, nel quale anche l’Italia si è notoriamente resa complice.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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